Sidi Bouzid, la città in cui è iniziata la primavera araba, oggi è soffocata dalla disoccupazione e dalle disparità. «Qui non è cambiato nulla. Abbiamo chiesto progetti di sviluppo e hanno costruito caserme», dice un’attivista
- All’alba del 17 dicembre la città di Sidi Bouzid è avvolta da una fitta nebbia. La via principale è sorvegliata da un ingente numero di forze dell’ordine, impegnate a controllare l’accesso alla piazza dove dieci anni fa si diede fuoco Mohamed Bouazizi.
- Quel gesto disperato del giovane venditore ambulante diede vita a una serie di proteste che portarono quasi un mese dopo alla caduta del regime di Zine El Abidine Ben Ali. Dalla Tunisia i venti rivoluzionari toccarono paesi vicini e lontani, dando vita così alle cosiddette primavere arabe.
- «Qui non è cambiato nulla. Abbiamo chiesto un ospedale universitario e hanno costruito una caserma di militari. Per Sidi Bouzid non ci sono aspetti positivi, c’è una libertà di espressione che non porta a nulla», spiega un’attivista.
All’alba del 17 dicembre la città di Sidi Bouzid è avvolta da una fitta nebbia. Le strade che portano a questa piccola città dell’entroterra tunisino sono accompagnate da una distesa di fichi d’india avvolte da sacchi di plastica, ulivi e insediamenti informali abitati dagli agricoltori della zona. In città i caffè sono aperti come tutti gli altri giorni, pronti ad accogliere i clienti locali fino alla chiusura delle 18, come impone il protocollo nazionale anti Covid. Solo che il 17 dicembre non



