Gli incendi che hanno devastato i dintorni di Gerusalemme, scanditi dagli appelli Telegram a «bruciare tutto» non testimoniano solo la difficoltà di fidarsi di un’organizzazione come Hamas, la stessa che stringeva lauti patti col governo israeliano fino a pochi giorni prima del 7 ottobre mentre pianificava l’infame attacco e che, proprio in questi giorni, proponeva piani per un cessate il fuoco pluriennale.

Rivelano, a ben vedere, linee di fondo che attraversano il fronte gazawo da decenni e che possono essere riassunti nella distanza teologica fra lo sceicco Ahmed Yassin, fondatore del gruppo, ucciso tramite omicidio mirato da Israele nel 2004, e il grande imam Yusuf Al-Qaradawi, che anni dopo la sua morte, ne erediterà, seppur solo in parte, lo scettro di guida spirituale del movimento.

L’investitura verrà definitivamente sancita nel 2013, quando Al-Qaradawi, già tra i più stimati esponenti della Fratellanza musulmana in Egitto, si recherà per la seconda volta in vita sua a Gaza, dove verrà prelevato all’aeroporto nientemeno che da Ismail Haniyeh, che, allora capo del movimento nella Striscia, gli farà sostanzialmente da autista per tre giorni, portandolo anche nella casa-museo dello stesso Yassin in presenza dello stato maggiore di Hamas.

La Spianata delle moschee

Scontratisi già su altri terreni, a cominciare dalla possibilità per le donne di partecipare al jihad contro Israele, non ammessa da Yassin e avvalorata da Al-Qaradawi anche con una fatwa del 2003, il punto di maggiore frizione si può trovare riguardo la possibilità di pregare nei luoghi santi dell’islam a Gerusalemme, anzitutto Haram al-sharīf, «il nobile Santuario» noto come Spianata delle moschee, a giudizio di chi scrive il luogo più bello e suggestivo dell’intera città vecchia.

Yassin considerava la Spianata, notoriamente spazio sacro anche per gli ebrei, come luogo esclusivamente islamico e si opponeva a qualsiasi forma di sovranità israeliana sul sito, rifiutando accordi che prevedessero una divisione o condivisione della sovranità, perché forma di compromesso inaccettabile.

Conseguentemente, incoraggiava i musulmani, specialmente i palestinesi, a mantenere viva la loro presenza sul sito e a pregarvi regolarmente, come forma sia di culto sia di resistenza politica e simbolica, nel quadro della più ampia guerra contro l’«entità sionista».

Al-Qaradawi ne dava, invece, un’interpretazione opposta, considerando la presenza araba e palestinese nel luogo come una legittimazione della stessa occupazione israeliana. A vedere gli eventi di queste ore sembra abbia ormai prevalso nella dirigenza, quello che ne è rimasto, del gruppo bollato come terrorista dalla maggior parte delle democrazie occidentali, quest’ultima opinione.

Deporre le armi

Cosa porterà tutto questo? Solo disgrazia per i palestinesi. Per gli israeliani, che hanno trasformato il deserto in un giardino, ogni albero è una vita.

Il valore simbolico di un incendio è immenso, come ben sanno nella Striscia, da dove già in un recente passato partivano palloni incendiari diretti verso il sud Israele. Attacchi a cui i cittadini dello stato ebraico risposero con una mobilitazione enorme per spegnere le fiamme.

Il governo di Tel Aviv, va da sé, ne approfitterà per colpire duro, trovando nuove giustificazioni per estendere la durata del conflitto. Insomma, non si può che essere d’accordo con il primo ministro dell’Anp, Mohammed Mustafa, che ha recentemente esortato Hamas a deporre le armi data la sua conclamata impossibilità a vincere la guerra. 

E, forse, proprio in queste dichiarazioni, da leggersi nel consueto scontro egemonico interno al fronte palestinese, sta il motivo di quanto si vede in queste ore: nel 2011 Al-Qaradawi si scontrò apertamente con il ministro per gli Affari religiosi dell’Anp, Mahmoud al-Habbash, proprio sulla questione della preghiera sulla Spianata e, in generale, su come condurre la lotta contro lo stato ebraico. La polemica si estese anche al Mufti di Gerusalemme, Muhammad Ahmad Husein, e contò pure un intervento di Abu Mazen in Qatar. 

Insomma, Hamas stretta dalla morsa delle proteste interne da una parte, dall’Anp dall’altra, a cui, ancora in una data solenne del calendario israeliano (quasi tutte le iniziative per Yom HaAtzmaut, giorno dell’indipendenza, sono state sospese a causa degli incendi), vuole forse dimostrare di essere la vera paladina in difesa degli oppressi palestinesi. Quelli stessi che, vivendo in Israele nelle zone coinvolte dal rogo, si trovano oggi campi e case distrutti. In politica è legge universale inserirsi nelle contraddizioni dell’altro fronte, un’altra occasione che il governo Netanyahu non sfrutterà.

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