Il nuovo numero di Scenari, la pubblicazione geopolitica di Domani, è questa settimana dedicato al tema della disinformazione russa e della libertà di stampa: la macchina della disinformazione di Vladimir Putin uccide le coscienze. In venti pagine, gli approfondimenti inediti firmati da Dario Fabbri e altri analisti e studiosi e le mappe curate dal nostro cartografo Luca Mazzali (faseduestudio/Appears) approfondiscono il risveglio della stampa libera, e lo stallo dell’occidente nella infowar globale, la guerra comunicativa e di propaganda.

Cosa c’è nel nuovo numero

(Vladimir Astapkovich/Sputnik Pool Photo via AP)

Nel suo punto sulla guerra, Dario Fabbri guarda al ruolo globale della nuova Francia di Emmanuel Macron: fautore di un europeismo marcatamente gallico e dunque perfettamente strumentale, nel prossimo mandato il presidente francese tenterà di dare sostanza alle sue pretese, inibendo la Russia – pur considerando indispensabile l’interlocuzione con il Cremlino –, imbrigliando la Germania, limitando l’ingerenza degli Stati Uniti sul continente, e attirando gli alleati nella Françafrique. Questi sono i contorni di una politica estera che vuole la Francia grande potenza dell’oggi e dell’avvenire.

Il politologo Gabriele Natalizia descrive invece il paranoico senso di accerchiamento dell’attuale élite russa e il mito dell’espansione Nato che ha contribuito all’invasione.  Nella tradizionale conferenza stampa di fine anno dello scorso 23 dicembre, Vladimir Putin è infatti tornato a citare l’evento “madre” di tutti gli equivoci nei rapporti tra il Cremlino e la Casa Bianca: quel fatidico «not an inch to the East» pronunciato dall’allora segretario di Stato americano James Baker nel corso di un incontro con Mikhail Gorbachev nel febbraio 1990.

L’immagine del “tradimento” della promessa del non allargamento della Nato è stata utilizzata dal presidente russo come cornice generale all’interno della quale iscrivere le mosse compiute in Georgia nel 2008 e in Crimea nel 2014 nonché la guerra in corso contro l’Ucraina. Ma la versione putiniana non regge alle prove della storia. 

A seguire, la politologa Mara Morini mette a confronto stampa ucraina e propaganda russa. Nella tormentata vicenda ucraina si è consumata l’identificazione fra stampa libera e patriottismo, e di recente un nuovo decreto del presidente Zelensky ha accorpato tutti i canali tv del paese per creare «un’unica piattaforma informativa» per «una comunicazione strategica».

Il Cremlino ha nel frattempo consumato poco alla volta lo spazio per i giornalisti indipendenti, combinando repressioni e violenze con sacche di tolleranza. La propaganda ha sempre avuto un ruolo rilevante nell’Unione sovietica e, attualmente, costituisce ancora uno strumento comunicativo strategico, adattatosi alle innovazioni tecnologiche del Ventunesimo secolo.

L’analista Matteo Pugliese discute poi la forza e i canali principali dell’arsenale mediatico russo, equiparabile e, anzi, più potente dei carri armati: nella dottrina militare russa la manipolazione dell’opinione pubblica e l’inquinamento della realtà sono infatti fattori centrali. Il loro potenziale è ben più tangibile e pericoloso di altre armi che la Russia minaccia di usare, e anche una vittoria dell’Ucraina sarà vana se la società russa si sentirà vittima di un’aggressione occidentale e resterà ignara dei crimini di guerra.

Nelle pagine a seguire è presentato un estratto dal libro Misure attive. Storia segreta della disinformazione, del politologo Thomas Rid, edito nella sua versione italiana da Luiss University Press (2022). Rid racconta come nel primo decennio del Ventunesimo secolo la Russia ha iniziato a sperimentare la combinazione di due tattiche distinte: l’uso classico di materiale compromettente e i primi tentativi di hacking e sabotaggio, resi possibili grazie alla rete. Nessun paese aveva ancora perfezionato questa duplice strategia, fondamentale per il consolidamento del potere di Putin.

25 marzo 1999, russian president boris yeltsin talking with director of the russian federal security service (fsb) vladimir putin in the kremlin

Katerina Sergatskova, co-fondatrice del media indipendente ucraino Zaborona, scrive poi della (poca) fiducia che gli ucraini hanno nei media nazionali. In Ucraina la maggior parte dei media sono di proprietà di clan di oligarchi e società connesse a politici, che usano il giornalismo per promuovere interessi politici o commerciali, così col tempo si è affermata l’idea per cui solo la stampa occidentale dicesse la verità, e dal conflitto del 2014 il punto di vista dell’informazione di Kiev è stato sempre ignorato. Ma oggi più che mai è importante dare ai giornalisti locali la giusta voce. 

Segue poi un estratto del discorso che Barack Obama, presidente degli Stati Uniti dal 2009 al 2017, ha tenuto all’università di Stanford, in California, il 21 aprile 2022. Obama spiega che gli autocrati come Putin utilizzano le piattaforme come armi strategiche contro i paesi democratici, da loro considerati una minaccia, e che le decisioni sulle regole della comunicazione social «non dovrebbero essere lasciate agli interessi dei privati». Senza certi limiti, le implicazioni di queste tecnologie sono profonde e spaventose, ma sta a ciascuno di noi decidere a cosa dare valore e quindi utilizzare gli strumenti che abbiamo a disposizione per promuovere quei valori.

Foto AP

L’analista Teresa Coratella di Ecfr ricorda come la lotta alla disinformazione sia il punto debole dell’Europa. L’Ue ha trovato una politica comune sulla guerra, ma ha gestito male gli attacchi propagandistici del Cremlino. Servono azioni graduali e permanenti, non solo decisioni importanti prese nel momento più acuto della crisi.

Segue il contributo di Ann Cooper, analista dei media e professoressa emerita alla Columbia University School of Journalism, già apparso sulla rivista Nieman Reports con il titolo “Fighting for A Free Press in Ukraine — and Beyond”.

Cooper racconta come sopravvive la stampa indipendente in Ucraina e in altri tre stati  post sovietici, Moldavia, Armenia e Georgia. In questi quattro paesi vige infatti una “libertà vigilata” dei media e i cronisti cercano di proteggere i margini di indipendenza conquistati a fatica negli anni, tra finanziamenti in calo e dipendenza da fondi stranieri.

Veronica Cirillo torna poi sull’ambigua figura di Marina Ovsyannikova, la giornalista che la sera del 14 marzo scorso ha fatto irruzione sul primo canale della tv russa mostrando alle telecamere un cartello: «Fermate la guerra, non credete alla propaganda, qui vi mentono». Ovsyannikova è diventata un’eroina, ma per gli ucraini è una propagandista mascherata da dissidente. Assunta da Die Welt, non si sa in questo momento dove si trova né a che punto sia il processo a suo carico.

Davide Maria De Luca ha intervistato Jānis Sārts, il direttore del Nato Stratcom, un centro studi indipendente dalla struttura di comando dell’alleanza il cui scopo è studiare la infowar, la guerra comunicativa e di propaganda, e suggerire strategie per contrastare gli avversari e passare al contrattacco. Secondo Sārts, i primi mesi della guerra in Ucraina mostrano i limiti e gli errori compiuti dai “soldati della propaganda” di Putin, ma è anche vero che la comunicazione del Cremlino sta avendo successo in patria, e inaspettatamente nei paesi in via di sviluppo. 

Infine, il giornalista Henri Astier parte dalla Bbc, chiedendosi quanto sia possibile far convivere insieme il principio dell’inclusione con quello dell’oggettività dell’informazione: un’ondata di iniziative ben intenzionate sulla diversità sta infatti compromettendo il mandato dell’emittente pubblica britannica di rimanere imparziale. L’evoluzione della società richiede che tutte le organizzazioni si adattino, ma l’ossessione verso le quote è contraria al principio che ha reso la rete inglese il punto di riferimento per l’informazione globale. Astier ha lavorato per Bbc dal 1991 al 2021.

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