Questa intervista è parte di una serie realizzata da The New Institute di Amburgo.

Evgeny Morozov, cos’ha rivelato il Covid del capitalismo?

Non credo che il Covid abbia rivelato qualcosa che non conoscessimo già del capitalismo, un sistema che stabilisce determinate priorità, e queste priorità si basano principalmente sugli ideali di profitto e taglio dei costi. Nel caso del Covid l’abbiamo visto manifestarsi nel dibattito su quali siano i lavori essenziali e quali no. L’allocazione e la distribuzione del valore nel capitalismo sono avanzate in primo piano. Sì, i ricchi sono diventati più ricchi e posso provare indignazione morale per questo, semplicemente però non trovo che sia una cosa intellettualmente molto illuminante.

E il trionfo del capitalismo delle piattaforme: il modo in cui le aziende digitali hanno trionfato in questa crisi?

Ripeto, credo che pensare al Covid in questi termini ci porti fuori strada: non è né un catalizzatore né un grande rivelatore. Ma se dovessi riformulare la domanda e chiedermi se ci sono certi problemi nel capitalismo e se ci sono dei modi in cui la tecnologia può darci una risposta, direi certamente di sì: ci sono degli enormi problemi strutturali nel capitalismo.

Può spiegare i problemi principali che vede?

La maggior parte delle incomprensioni e dei problemi più grandi del capitalismo hanno a che fare con il modo in cui effettivamente blocca e crea ostacoli nel nostro percorso di ciò che chiamerei scoperta. Il capitalismo rende più difficile scoprire come il mondo realmente è: lo si vede chiaramente quando si parla di clima. Ma lo si vede anche quando ci impedisce di creare le istituzioni attraverso le quali possiamo risolvere i problemi insieme: non istituzioni di mercato che accelerano i problemi che loro stesse hanno creato.

Questo è sempre stato un elemento del capitalismo?

Marx vede nel capitalismo un elemento liberatorio perché distrugge la religione tradizionale, allo stesso tempo però il capitalismo tronca e limita questa liberazione. Hayek aveva ragione a dire che il capitalismo facilita la scoperta. Il punto centrale di un’economia di mercato è di facilitare la scoperta di cose nuove attraverso la concorrenza; ma scopri soltanto cose che essenzialmente ti rendono più facile vendere beni per profitto o consumare beni un po’ più economici. Qualsiasi altra forma di conoscenza o la capacità di formare delle istituzioni semplicemente non è riconosciuta. Non solo non viene necessariamente soppressa, ma non è nemmeno valutata.

Crede, come Marx, nel potere di emancipazione della tecnologia?

Quello che la tecnologia offre è la capacità di svelare le cose per quello che sono, e anche un modo per sperimentare la scoperta di cose nuove, nuove forme dello stare insieme, nuovi modi d’agire. Questo certamente richiederebbe una diversa visione della tecnologia, al di fuori di ciò che è puramente strumentale, e rivelerebbe quello che il mondo realmente è.

Può fare un esempio?

Pensi al sistema dei trasporti di una città, che potrebbe sembrarle estremamente efficiente, costruito secondo certi criteri di ottimizzazione da designer e architetti. E la loro narrazione è che il sistema è efficiente. La contro-narrazione invece metterà in luce tutte le difficoltà delle persone disabili nell’uso di questa infrastruttura pubblica: allora emergerà che il sistema è altamente inefficiente.

La ragione per cui ora questo aspetto è più chiaro, è che ora c’è un ulteriore livello di dati che prima non c’erano. La nozione di efficienza non è universalmente buona e vera. Efficiente per qualcuno significa altamente inefficiente per altri.

La tecnologia è in questo senso una forza illuminante.

Ciò di cui dobbiamo discutere è il ruolo della politica in tutto questo. Rifiuto la dicotomia tra tecnologia e politica. Ciò che finisce sotto l’etichetta di tecnologia in ogni epoca storica è il risultato di lotte di potere ed egemonia. Sono interessato a domande tipo: come possiamo seriamente affrontare le domande che la tecnologia pone? Come sono in rapporto la tecnologia e la modernità? Cos’è una modernità capitalista? Cosa sarebbe una modernità non-capitalista? E come si collega questo alle questioni di autonomia, emancipazione e tecnologia?

Chi sta affrontando però queste domande nell’arena politica?

Certamente non la sinistra. La verità è che la sinistra non sa che posizione prendere nei confronti del capitalismo, non sembra voler costruire un sistema alternativo al capitalismo. Però poi si finisce in questa situazione bizzarra in cui anche alcuni candidati socialisti, sia nel Regno Unito sia negli Stati Uniti, suggeriscono che la soluzione migliore sarebbe quella di ricostruire la Svezia degli anni Settanta.

Il problema è che anche se ci si riuscisse a liberare dei Jeff Bezos e degli Elon Musk attraverso una tassazione più progressiva, tutti gli interrogativi sulla crisi ambientale o sul rapporto nord-sud non scomparirebbero.

Un ritorno agli anni Settanta significherebbe un ritorno dello stato?

Una conseguenza del Covid è sicuramente che vedremo i governi intraprendere molte trasformazioni strutturali. Sono seduti su una montagna di soldi che gli viene incontro, ma in molti casi non hanno una burocrazia forte per portare avanti la trasformazione. Chiedono aiuto in giro e normalmente si rivolgono a grandi società di consulenza, grandi studi legali, grandi aziende tecnologiche: assistenza dall’esterno all’interno del sistema indebolito dell’ente statale. Questo è il risultato di una trasformazione molto strategica della burocrazia secondo un piano d’azione e un modello. Lo stato è sostituito dalle società di consulenza perché è nella natura dello stato neoliberista costruire questa collaborazione tra pubblico e privato. E il Covid sta accelerando il processo verso il capitalismo della consulenza.

Un’ultima domanda. Può completare la frase: questo è personale perché...

...ho passato quasi un decennio a cercare di capire l’esatto ruolo del socialismo come ideologia.

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