L’ex premier, Giuseppe Conte, ha minacciato la crisi di governo per l’aumento delle spese militari al 2 per cento del Pil (come promesso e sempre disatteso dall’Italia da anni). Il segretario della Lega, Matteo Salvini, manifesta insofferenza pubblicamente per l’invio di armi agli ucraini: «Ci sono uomini di stato e di governo che parlano con troppa facilità di armi, di bombe, di missili, dall’altra pare dell’oceano addirittura qualcuno di nucleare», ha detto ieri.

Atteggiamenti di fronda al governo che prendono le mosse dal primo esecutivo Conte quando il presidente russo, Vladimir Putin, arriva a Roma nel 2019 e incontra calorosamente i leader del governo giallo-verde.

Errori del passato

La foto ufficiale dell’incontro alla Farnesina ritrae un sorridente quadretto composto da Vladimir Putin, Giuseppe Conte, e i suoi due vice: Matteo Salvini e Luigi Di Maio ai lati. È il momento della massima apertura a Mosca e a Pechino del governo italiano.

È quel processo di scivolamento a oriente che Mario Draghi ha duramente stigmatizzato il 9 marzo scorso al question time in aula, quando ha ricordato come «l’aumento della dipendenza energetica dalla Russia, non era da considerarsi un problema economico, ma una sottovalutazione di politica estera». 

Come se il mondo politico italiano avesse abdicato, alla sua funzione critica e di allarme del pericolo all’orizzonte e avesse accettato, dopo l’annessione militare della Crimea nel 2014, di essere più dipendente da Mosca, autrice dell’invasione.

I rapporti speciali con Mosca

Conte e Salvini si muovono sottotraccia in controtendenza rispetto a un premier Draghi che ha fatto della scelta atlantista e europeista un segno distintivo del suo governo rispetto al Conte due.

Ma quella insofferenza, quella freddezza, quella presa di distanza da Washington e Bruxelles ha radici lontane e comincia proprio nel 2019 quando a palazzo Chigi si tessevano rapporti privilegiati con il Cremlino e si firmava il protocollo di intesa, unico grande paese europeo, sulla via della Seta con Pechino.

Erano i tempi in cui Massimo D’Alema definiva l’occidente «una grande potenza che vive una vecchiaia rancorosa», sposando una tesi cara alla dirigenza cinese di Xi Jinping.

Il caso Petrocelli

Le spie del dissenso alla linea degasperiana e filo-atlantica di Draghi sono numerose. La principale è quella di Vito Petrocelli, presidente M5s della commissione esteri al Senato, che ha disertato la seduta in aula con il presidente ucraino Zelensky e poi ha scritto su Twitter: «Fuori da questo governo interventista, che vuole fare dell’Italia un paese co-belligerante».

Per i 5 stelle è una «posizione personale», ma dal resto delle forze politiche sono arrivate richieste di dimissioni. Un altro problema per Conte che aveva chiesto all’interessato «un basso profilo».

Salvini a Mosca

Il 6 marzo 2017 la Lega Nord siglò un accordo di cooperazione e collaborazione con Russia Unita, il partito del presidente Vladimir Putin.

L’accordo venne firmato a Mosca da Matteo Salvini, segretario della Lega, e Sergei Zheleznyak, vicesegretario del Consiglio per le relazioni internazionali di Russia Unita.

In quell’occasione il Financial Times scrisse che quell’intesa era «l’ultimo tentativo del Cremlino di sviluppare rapporti formali con gruppi populisti in vista delle elezioni che si terranno quest’anno e nelle quali le destre aumenteranno i loro consensi». La pericolosità di quei rapporti era già molto evidente agli analisti internazionali.

Questo è il passato che non passa e spesso ritorna a galla. Infatti quando Di Maio si allinea con le posizioni transatlantiche di Draghi subisce gli attacchi del ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov che gli ricorda che «la diplomazia serve a risolvere situazioni di conflitto, non per viaggi a vuoto in giro per paesi a degustare piatti esotici». 

Di Maio poi rincara lo scontro con il Cremlino quando equipara Putin a un animale: a quel punto Lavrov chiede una formale lettera di scuse ma ottiene solo scuse televisive del ministro che riconosce l’errore e dice: «Non volevo rivolgere offese a nessuno».  

Conte al Copasir

Conte ha un’altra grana all’orizzonte: gli aiuti russi nel momento della pandemia in Lombardia. «Una cosa sono le intenzioni, altro i risultati. L'effetto propagandistico era evidente anche dall'hashtag #dallaRussiaconAmore, ma non è stata solo la Russia a fare un uso propagandistico degli aiuti inviati, pensiamo anche alla Cina, che era la fonte del virus. Bisogna però tener presente che Russia e Cina hanno una chiara strategia volta a condizionare le democrazie occidentali anche con strumenti da “guerra ibrida”».

Così in un'intervista al Fatto Quotidiano il presidente del Copasir, Adolfo Urso, si è espresso sull'ipotesi che la missione del marzo 2020 dei russi in Lombardia per portare aiuti sanitari in piena pandemia avesse obiettivi di intelligence.

Poi Urso ha avvertito: «La missione russa era composta in gran parte di militari che spesso rispondono all'intelligence. La vicenda di Walter Biot (il militare italiano arrestato per spionaggio a favore di Mosca, ndr) insegna che quando si parla di Russia bisogna sempre essere vigili, oggi è chiaro a tutti perché».

Coincidenze? Attacchi politici? Ma Conte è sempre più pressato sui suoi rapporti con il Cremlino.

Renzi a San Pietroburgo

L’ex premier Matteo Renzi nel corso del programma tv L’Aria che tira il 9 marzo scorso ha detto che non è rimasto sorpreso dalla crisi ucraina: «Questa vicenda ucraina va avanti dal 22 febbraio 2014 a piazza Maidan dove inizia il grande freddo tra Unione europea e Russia. Putin si muove sulla base delle debolezze dell’occidente».

«Putin si muove nel febbraio 2014 quando si prende la Crimea perché vede qualche mese prima la debolezza degli americani in Siria. Così quando sei mesi fa gli americani lasciano l’Afghanistan e mostrano un segnale di debolezza in tanti gli abbiamo detto: occhio».

Già, ma a molti è sembrato un allarme lanciato con singolare ritardo, visto che Renzi era il premier che il 17 giugno 2016 andò al Forum economico di San Pietroburgo, alla presenza di 600 imprese russe e in piena tempesta sanzionatoria occidentale.

Prima di partire per la Russia il premier disse al Tg2: «L'Italia lavora per costruire ponti e non per tirare su muri». Poi al Forum Renzi chiarì meglio il suo pensiero.

«L’espressione guerra fredda non può stare nel vocabolario del terzo millennio, È fuori dalla storia, ingiusta e soprattutto inutile», disse sempre il 17 dicembre l’allora presidente del consiglio Renzi, nel corso di una tavola rotonda a San Pietroburgo insieme con il presidente Vladimir Putin.

Secondo il premier italiano, «ora la questione dei rapporti tra Europa e Russia è vista in modo miope e senza prospettive». Il tema delle sanzioni scattate con l'annessione moscovita della Crimea nel 2014, e rinnovate da Bruxelles proprio lo stesso giorno fu oggetto di commento. «Ue e Russia devono essere ottimi vicini di casa» disse Renzi.

Secondo il primo ministro italiano, a imporre di «superare le sanzioni» nei confronti di Mosca sono i «rapporti storici» e i «comuni valori spirituali» tra Italia e Russia. Poi ci sono anche altre sfide. «L'estremismo si batte tutti insieme» disse Renzi: «per sconfiggere l'islamismo la Russia è fondamentale». Insomma Mosca allora sembrava un utile alleato contro il pericolo del terrorismo islamico.

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