«Vogliamo l’Ucraina nella Ue e vogliamo fornire aiuti anche militari. Siamo pronti a fare ancora di più», ha detto il premier Mario Draghi, in risposta all’intervento a Montecitorio del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, continuando a sostenere le sanzioni decise dalla Ue e dal G7 che hanno «l’obiettivo di indurre il governo russo a cessare le ostilità e a sedersi con serietà, soprattutto con sincerità, al tavolo dei negoziati. Davanti alla Russia che ci voleva divisi, ci siamo mostrati uniti, come Ue e come Alleanza atlantica». Il premier ha chiarito in aula che l’Ucraina, per l’Italia, non è solo una questione economica di aiuti o di diversificazione di forniture energetiche, ma soprattutto di politica estera, di ritrovato convinto collocamento atlantico di Roma.

Di fronte agli oltre 300 parlamentari assenti alla Camera al discorso di Zelensky che ha paragonato la città di Mariupol a Genova («immaginatela distrutta»), Draghi ha ribadito indirettamente che la crisi ucraina rappresenta uno spartiacque per la collocazione geostrategica italiana.

Il momento, nell’ora più buia per l’Europa dopo 70 anni di pace, non ammette zone grigie o posizioni ambigue a sostegno di Kiev e al suo legittimo anelito alla democrazia e all’autodeterminazione.

Il discorso del 9 marzo

La posizione di politica estera del governo Draghi era stata anticipata al “question time” alla Camera del 9 marzo quando il premier aveva invitato a seguire le quote crescenti di flussi di gas russo diretto in Italia per capire cosa era accaduto, fino a stravolgerne i confini, nella scena politica italiana e nella formazione di quel partito filorusso e filocinese che ha tentato di modificare la collocazione atlantica di Roma.

«Tra l’altro guardando i dati dell’approvvigionamento degli ultimi anni – aveva detto – la quota di gas russo è aumentata molto negli ultimi dieci, quindici anni. Quello che è straordinario è che aumentata fortemente anche dopo l’invasione della Crimea. Questo dimostra non solo una sottovalutazione del problema energetico, ma anche una sottovalutazione di politica estera, di politica internazionale. Siamo impegnati per diversificare le forniture, aumentare il contributo delle fonti rinnovabili, che – continuo a ripetere – resta l’unica strategia fondamentale nel lungo periodo.

Tutto quello che sperimentiamo ora è transizione». Draghi aveva detto dunque che l’aumento della dipendenza energetica dalla Russia non era da considerarsi un problema economico, ma una sottovalutazione di politica estera, come se il mondo politico italiano, i centri studi e i media, avessero abdicato alla loro funzione critica e di allarme del pericolo all’orizzonte e avessero accettato, anche dopo l’annessione militare della Crimea, di essere più dipendenti da Mosca, autrice dell’invasione.

Biden a Bruxelles

La posizione di Draghi a favore dell’ingresso dell’Ucraina nella Ue (non condivisa da tutti i partner) viene affermata alla vigilia del viaggio del presidente americano in Europa. Oggi, infatti, Joe Biden, sarà a Bruxelles dove domani parteciperà al G7, al summit Nato e, per la prima volta, al Consiglio europeo, come a suggellare che “l’America è tornata” ad occuparsi delle vicende europee. Poi venerdì Biden andrà in Polonia, paese che rappresenta il limes Ue e Nato rispetto al conflitto in Ucraina.

Di fronte allo storico discorso di Zelesky (prima di lui avevano parlato al parlamento solo Papa Wojtyla e il re spagnolo Juan Carlos) circa 300 erano i deputati assenti per protesta. Le assenze sono state la dimostrazione plastica di posizioni non del tutto condivise all’interno della maggioranza, tanto che alcuni esponenti della Lega, così come del M5s, hanno deciso di disertare l’aula durante l’intervento. Compatta anche Alternativa, assente dal dibattito.

Vito Petrocelli, presidente del M5s della commissione Esteri al Senato, ha disertato la seduta e poi ha scritto su Twitter: «Fuori da questo governo interventista, che vuole fare dell’Italia un paese co-belligerante». Per i 5 Stelle è una «posizione personale», ma dal resto delle forze politiche sono arrivate richieste di dimissioni, inascoltate dall’interessato, che ha annunciato che non voterà più con la maggioranza.

«Sottovalutazioni»

Duri anche i deputati di Alternativa: «Gli ucraini assieme a tutti i popoli d’Europa meritano pace e sicurezza, non l’escalation del conflitto a cui li si espone inviando armi in zona di guerra ed insistendo nello spingere la Nato fin ai confini della Russia». «La retorica bellicista dell’imbarazzante intervento di Draghi seguito alle parole di Zelensky che possiamo pure comprendere in un momento così drammatico – hanno aggiunto – getta benzina sul fuoco». Posizioni critiche verso la posizione espressa dal governo, ma che del resto erano maturate negli anni del Conte I e Conte II, titolari delle «sottovalutazioni» di politica estera che hanno fatto perdere la bussola atlantista.

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