- Attivisti e dissidenti curdi che il presidente turco definisce «terroristi» non sono ancora in Turchia, dove Recep Tayyip Erdoğan pretende che Svezia e Finlandia li estradino per ricambiare il suo sì al loro ingresso nella Nato. In compenso ad Ankara si è affrettato a volare mezzo governo italiano: Di Maio, Guerini, Lamorgese, Giorgetti, Cingolani.
- Soprattutto c’è il premier Draghi, che avrà un faccia a faccia con il «chiamiamolo pure, dittatore» Erdogan, per usare le sue parole. Il plotone governativo non si dirige certo al summit Italia-Turchia con lo scopo di strigliare il presidente turco, ridurne le pretese, contenerne le derive autoritarie.
- Il summit serve a rilanciare «una cooperazione già molto intensa». I patti sui migranti, lo scacchiere della Libia, l’export di armi e la difesa, la partita energetica e imprenditoria: c’è incontro Draghi-Erdogan e ci sono i bilaterali fra i ministri; e giù di «protocolli» da firmare, «accordi» da stilare. «Con questi dittatori, di cui però si ha bisogno per collaborare».
Le decine di attivisti e dissidenti curdi che il presidente turco definisce «terroristi» non sono ancora in Turchia, dove Recep Tayyip Erdoğan pretende che Svezia e Finlandia li estradino per ricambiare il suo sì al loro ingresso nella Nato. In compenso ad Ankara si è affrettato a volare mezzo governo italiano. Ci sono il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, e la Lega governista di Giancarlo Giorgetti, minis



