Le decine di attivisti e dissidenti curdi che il presidente turco definisce «terroristi» non sono ancora in Turchia, dove Recep Tayyip Erdoğan pretende che Svezia e Finlandia li estradino per ricambiare il suo sì al loro ingresso nella Nato. In compenso ad Ankara si è affrettato a volare mezzo governo italiano. Ci sono il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, e la Lega governista di Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico; non manca neppure la Transizione ecologica di Roberto Cingolani. Soprattutto c’è il premier, Mario Draghi, che avrà un faccia a faccia con il «chiamiamolo pure, dittatore» Erdogan, per usare le sue parole. Il plotone governativo non si dirige certo al summit Italia-Turchia con lo scopo di strigliare il presidente turco, ridurne le pretese, contenerne le derive autoritarie. Solo in fondo al comunicato del governo si legge che «c’è l’obiettivo di favorire sviluppi positivi sui diritti». Ma il resto racconta della speranza di rafforzare «il dialogo» sui migranti e rilanciare «una cooperazione già molto intensa». E giù di «protocolli» da firmare, di «accordi» da stilare: nel pomeriggio, mentre Draghi è con Erdogan, i ministri saranno immersi nei bilaterali.

Il «dittatore»

Il 29 giugno, a margine del vertice madrileno della Nato, l’inviata del Tg di La7 Adriana Bellini strappa a Draghi gli ultimi minuti di attenzione, davanti alla platea di telecamere e microfoni, e affonda: «L’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato vale la consegna dei curdi che ci hanno aiutati a combattere l’Isis al dittatore Erdogan, come lei stesso lo ha definito?». Draghi china il capo, gira i tacchi e se ne va senza rispondere; poi ci ripensa, torna indietro e puntualizza: «Lo chieda però – attenzione, siccome è un punto molto importante quello che lei ha toccato, è bene che questa domanda la facciate a Svezia e Finlandia». L’ultimo rapporto di Amnesty International sulla presidenza Erdogan riferisce che «politici dell’opposizione, giornalisti, difensori dei diritti umani e altri hanno subìto indagini, procedimenti giudiziari e condanne infondati», cita «il ritiro della Turchia dalla convenzione di Istanbul», omofobia, restrizioni alla libertà associativa, «torture, maltrattamenti». Tutti capitoli che evidentemente Draghi conosce, visto che nella primavera 2021 lo definisce «dittatore». Ma già in quel giorno di aprile, in cui il premier stigmatizza lo sgarbo del presidente turco verso Ursula von der Leyen, la fotografia delle derive autoritarie di Recep Tayyip Erdogan si accompagna a una conclusione pragmatica: «Con questi dittatori, di cui però si ha bisogno per collaborare».

Libia e migranti

Il summit Italia-Turchia era programmato da tempo, e non è stato certo disdetto da palazzo Chigi per la questione curda. Le turbolenze di questi giorni in Libia rendono semmai più urgenti le ragioni per le quali «dei dittatori si ha bisogno per collaborare»: oltre alla Russia, la Turchia è presente nell’area, pronta a colmare ogni vuoto della presenza europea. Il vertice «è una importante occasione per coordinare gli sforzi sulla crisi in Libia», recita infatti Chigi. C’è poi la questione migranti: l’Unione europea già foraggia economicamente la Turchia per esternalizzare fuori dai confini europei la gestione dei flussi migratori. Proprio in queste ore il governo turco sta avanzando nuove pretese all’Ue. «Il peso degli accordi è tutto sulle spalle della Turchia», ha detto il ministro dell’Interno turco, Suleyman Soylu, con la pretesa di «aggiornare il patto del 2016». Nel suo primo incontro da cancelliere con Erdogan, tenutosi nel primo mese di guerra in Ucraina, lo stesso Olaf Scholz aveva imbonito il presidente turco con la promessa a nome dell’Europa di implementare gli accordi. Oggi il governo italiano, con Lamorgese presente, lavora «per rendere più regolare e strutturato» il dialogo sul tema migranti: «Nel 2021 i migranti irregolari arrivati in Italia sulla rotta del Mediterraneo orientale in partenza dalla Turchia sono più che triplicati».

Armi e imprese

Nel 2019, a seguito della offensiva di Erdogan contro i curdi nel nord della Siria, un trionfante Di Maio annunciava la sospensione delle licenze future per l’export di armi alla Turchia. Oggi con Erdogan vengono firmati protocolli in materia di difesa e di esteri. Il «rilancio della cooperazione» è nell’aria, visto che già a giugno Defense News riportava l’acquisto di elicotteri di una controllata di Leonardo da parte del ministero della Difesa turco. Negli anni passati è stato documentato l’utilizzo di strumentazioni italiane per attacchi contro i curdi. La Turchia è il primo partner mediorientale per l’Italia, con scambi commerciali, investimenti, e partenariati energetici: il gasdotto trans-anatolico è la terza rotta del gas, per noi, dopo Algeria e Russia. Nel summit di oggi tra i protocolli di intesa ci saranno capitoli per il sostegno alle piccole e medie imprese. L’Italia «è impegnata a promuovere all’interno dell’Ue un approccio costruttivo verso la Turchia, considerata partner strategico per l’Europa». Anche se poi alle domande imbarazzanti Draghi preferisce far rispondere solo Finlandia e Svezia.

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