La nomina di Staffan de Mistura come inviato dell'Onu è un passo positivo verso la pace nel Sahara occidentale. Ma questo è solo l'inizio. Anziché ravvivare un processo di pacificazione decennale che non ha saputo raggiungere un accordo tra il Marocco e il Fronte Polisario, il nuovo inviato dovrebbe adottare un approccio innovativo. Per fare questo, avrà bisogno del sostegno dei membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu, in primo luogo la Francia e gli Stati Uniti. In virtù delle proprie strette relazioni con il Marocco e del proprio peso economico, anche l'Ue avrebbe un ruolo importante da svolgere, qualora scegliesse di farlo.

Una soluzione in tempi ragionevoli

Quest'anno ricorre il trentesimo anniversario della creazione della Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO), originariamente incaricata di organizzare un referendum che avrebbe permesso alla popolazione indigena del territorio, i saharawi, di scegliere tra l'indipendenza o l'integrazione sotto la sovranità marocchina. All’inizio degli anni Novanta, questa missione è riuscita ad istituire un cessate il fuoco tra il Marocco e il movimento nazionalista saharawi; tuttavia, da allora il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha presidiato un processo di pace che è andato lentamente sgretolandosi e che, alla fine, è naufragato lo scorso anno con la ripresa degli scontri armati.

Sebbene rimangano molte ragioni per essere pessimisti sulle prospettive di un accordo negoziato che possa infine portare all'autodeterminazione del popolo saharawi, ci sono anche ragioni per essere ottimisti. Una risoluzione durevole e giusta del conflitto del Sahara occidentale, operata in tempi ragionevoli, è possibile. Perché questo accada, gli attori internazionali devono imparare le lezioni giuste dai fallimenti del passato.

De Mistura fattore vincente

De Mistura è un diplomatico tenace e di saldi principi, con una profonda esperienza diplomatica maturata come inviato dell'Onu in Siria – qualità condivise con gli inviati precedenti. Ma questo conterà poco senza un forte sostegno da parte del Consiglio di sicurezza, soprattutto nelle occasioni in cui dovranno essere prese decisioni difficili. La nomina del nuovo inviato dovrebbe anche implicare l’avvio di un deciso cambio di rotta nel tipo di approccio diplomatico. Piuttosto che facilitare semplicemente il dialogo tra le parti, De Mistura dovrebbe disporre della necessaria forza politica per portare avanti un piano Onu realistico e finalizzato al raggiungimento dell'autodeterminazione dei saharawi.

Per oltre due decenni, il Consiglio di sicurezza ha esplicitamente chiesto al Marocco e al Fronte Polisario di raggiungere una soluzione politica negoziata che rispetti le norme Onu sulla decolonizzazione dei territori non autonomi come il Sahara occidentale. Implicitamente, questo mandato presuppone che una soluzione alla controversia del Sahara occidentale sarà trovata a metà strada tra le opzioni di uno stato indipendente o di un’integrazione all’interno del Marocco. Mentre questa ricerca di un'alternativa – una "terza via" – può assumere diverse forme, negli ultimi decenni il processo di pace è stato sempre più dominato dall'idea di autonomia. Ciò si è rivelato un ulteriore motivo di fallimento.

Non solo l'autonomia è semplicemente una forma d'integrazione (e non un'alternativa ad essa), ma gli accordi d'autonomia hanno anche precedenti poco promettenti per quanto riguarda l’effettiva capacità di risolvere in modo permanente i conflitti etnici nelle regioni postcoloniali e in via di sviluppo. Oltretutto, il piano di autonomia presentato dal Marocco nel 2007 è privo di qualsiasi garanzia per assicurare il continuo rispetto da parte del regime marocchino dei diritti e dell'autogoverno saharawi. Questa è una questione cruciale, dato che il piano integrerebbe formalmente i saharawi in un sistema autocratico che ne ha ripetutamente soppresso lo spirito nazionalista, i diritti umani e l’autonomia politica. Un ulteriore problema è dato dal fatto che la soluzione dell’autonomia è contraria allo status giuridico internazionale del Sahara occidentale come territorio indipendente e separato dal Marocco, come ha ribadito una recente sentenza della Corte di giustizia europea. Non sorprende, quindi, che il Polisario abbia respinto il piano del Marocco sin dal principio.

Il futuro dei saharawi

Mentre l'autonomia o qualsiasi altro approccio basato sull'integrazione non costituiscono la giusta base per risolvere il conflitto, ciò non significa che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite debba smettere di cercare una soluzione intermedia. Il Consiglio di sicurezza, insieme alle parti coinvolte, dovrebbe invece prendere in considerazione il concetto meno noto di libera associazione che le risoluzioni dell'Assemblea generale dell'Onu e le deliberazioni della Corte internazionale di giustizia hanno precedentemente proposto come uno dei mezzi per decolonizzare il Sahara occidentale.

Analogamente all'autonomia, la libera associazione prevederebbe un accordo di condivisione del potere sul territorio del Sahara occidentale. Tuttavia, questo avrebbe come principio fondamentale la sovranità intrinseca del popolo saharawi sulla propria terra e garantirebbe una maggiore protezione dei suoi diritti. In base a tale accordo, i saharawi (attraverso il Polisario) delegherebbero alcuni aspetti della propria sovranità al Marocco e a un nuovo Stato del Sahara occidentale. Ciò includerebbe solide garanzie internazionali e meccanismi di supervisione per assicurare l’osservanza dei termini da entrambe le parti.

Prima di tutto però, qualsiasi accordo futuro con il Marocco dovrebbe riflettere il consenso del popolo saharawi attraverso un processo che sia consapevole e democratico. Un accordo di libera associazione dovrebbe quindi essere accettato dai saharawi in un referendum. Al contempo, un numero limitato di coloni marocchini, in particolare quelli desiderosi di mantenere la propria residenza in un Sahara occidentale liberamente associato, potrebbe anche ricevere il diritto di voto in un eventuale referendum.

La libera associazione ha sollevato delle critiche: è stato evidenziato che nessuna delle due parti avrebbe grande motivo di sostenere una tale soluzione. Certamente, è molto improbabile che Rabat approvi volentieri il concetto di libera associazione, così come è improbabile che accetti qualunque soluzione che vada oltre la portata della propria proposta di autonomia limitata. Ciò riflette il problematico ostruzionismo praticato dal Marocco fino ad oggi, che è al centro del fallimento del processo di pace. D’altro canto, mentre il Polisario si è talvolta mostrato disponibile ad una condivisione transitoria del potere, continua tuttavia anche a rivendicare la piena indipendenza. Il punto, però, è che se mai si riuscisse a trovare un accordo negoziato, sarebbe più probabile che questo rientrasse nell'ambito della libera associazione piuttosto che in quello dell'indipendenza vera e propria o dell'integrazione nello Stato marocchino.

La strada diplomatica

Una soluzione diplomatica al conflitto del Sahara occidentale è possibile – una soluzione che possa preservare gli interessi fondamentali di ciascuna parte e soddisfare il diritto all'autodeterminazione del popolo saharawi in maniera coerente con il diritto internazionale e il realismo politico. Ma questo richiederà che entrambe le parti siano disposte a fare concessioni per ottenere ciò che vogliono. Ciò può accadere solo attraverso un maggiore attivismo diplomatico da parte della comunità internazionale.

Il Consiglio di sicurezza dell'Onu, l'Ue e i rispettivi membri hanno la capacità di plasmare questo futuro mettendo in campo la giusta combinazione di incentivi e disincentivi. Il Polisario dovrà convincersi del fatto che delegare una parte di autorità al Marocco è un prezzo adeguato da pagare per la fine dell'occupazione marocchina e il raggiungimento dell'autogoverno indipendente per il popolo saharawi. Questo, ovviamente, dovrà includere garanzie che qualsiasi accordo futuro sarà fatto rispettare dalla comunità internazionale.

Per ottenere progressi, il Consiglio di sicurezza dell'Onu e l'Ue dovranno anche esercitare una concreta pressione sul Marocco – cosa che sino ad oggi si sono dimostrati riluttanti a fare. In virtù del proprio status di potenza occupante, del controllo schiacciante che esercita sul terreno, e dei propri obblighi secondo le precedenti risoluzioni dell'Onu e il diritto internazionale, è Rabat che dovrà muoversi maggiormente per rendere possibile il raggiungimento di una soluzione negoziata. A tal proposito, l'Ue dispone potenzialmente di una leva importante grazie alle proprie relazioni commerciali con il Marocco e il Sahara occidentale.

Pochi governi europei considerano il Sahara occidentale una questione di politica estera urgente. Ciononostante, dato il lento deterioramento della situazione nell’area e le potenziali implicazioni più ampie per l'Africa nord-occidentale e l'Europa, la nomina di un nuovo inviato delle Nazioni unite offre una rara occasione per riavviare la diplomazia internazionale.

Jacob Mundy è professore alla Colgate University e coautore di Western Sahara: War, Nationalism, and Conflict Irresolution, la cui seconda edizione sarà pubblicata quest'anno dalla Syracuse University Press. Hugh Lovatt è senior policy fellow del programma Medio Oriente e Nord Africa presso lo European Council on Foreign Relations.

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