Prima che il mondo venisse scosso dalla pandemia Covid-19 e dall’improvvisata conversione di giornalisti e commentatori in improbabili epidemiologi, la parola sulla bocca di tutti era “populismo”, un termine che, purtroppo, è stato spesso evocato a sproposito nel dibattito pubblico da auto proclamatisi esperti nel settore. Fin dai primi giorni della pandemia, in molti, in Italia e all’estero, si sono affrettati a prevedere un’inesorabile crisi dei populisti, mentre altri sono giunti a conclusioni decisamente più equilibrate. La notizia della positività del presidente statunitense Donald Trump al Covid-19 segue altri casi illustri di leader politici contagiati dal virus e offre l’occasione per svolgere alcune riflessioni sul populismo in tempo di pandemia. In particolare, viene da chiedersi, se mi è concessa la metafora: il messaggio populista è riuscito a “contagiare” un maggior numero di elettori oppure, al contrario, è stato contagiato, e indebolito, dal virus?

Il significato di un termine

Prima di rispondere è necessario andare con ordine. Infatti, è essenziale partire dalle basi e chiarire cosa significhi il termine “populismo”. La stragrande maggioranza degli studiosi concorda sulla definizione proposta dal politologo olandese Cas Mudde, il quale considera il populismo come un insieme di idee che interpreta la realtà come una contrapposizione irriconciliabile tra “il popolo puro” e “l’élite corrotta” e che vede nella “sovranità popolare” l’essenza stessa della politica.

Tuttavia, sarebbe più opportuno parlare di populismi al plurale anziché al singolare, poiché l’insieme di idee che chiamiamo populismo può inserirsi in progetti politici che possono essere ricondotti alla destra (ad esempio, la Lega e Fratelli d’Italia), alla sinistra (come Syriza in Grecia e Podemos in Spagna), oppure che tentano, pur tra mille contraddizioni, di andare oltre tale distinzione (come il Movimento 5 stelle). Inteso in questo modo, il populismo è una categoria analitica che ci dice qualcosa di importante riguardo a come alcuni attori politici interpretano la realtà che li circonda, e non un epiteto denigratorio per delegittimare gli avversari o per bollare ciò che non ci piace. Lo scenario del “virus che uccide il populismo” è viziato anche da un equivoco, ossia la previsione che la pandemia avrebbe aperto una nuova fase storica in cui l’expertise e la conoscenza avrebbero annientato il potenziale elettorale dei populisti, mettendo a nudo le loro contraddizioni.

Un uomo con la maschera di Trump, durante una manifestazione in sostegno di Bolsonaro. (AP Photo/Silvia Izquierdo)

Effetto Covid-19

Ma questa prospettiva ha sottostimato il potenziale per un utilizzo a scopo politico delle valutazioni degli esperti: ciò è stato (ed è tuttora) evidente, anche grazie alle numerose incognite che ancora circondano il virus.

In altre parole, così come non esiste un solo tipo populismo, non esiste un unico e omogeneo gruppo di esperti: basti pensare all’approccio diametralmente diverso adottato dagli epidemiologi “di stato” in Svezia e Grecia. Un ulteriore equivoco è quello di considerare i partiti populisti come attori irrazionali e incapaci di governare, specialmente in un contesto di crisi. Alcuni paesi con populisti di destra al potere, come Jair Bolsonaro in Brasile e Trump negli Stati Uniti, hanno sottostimato la pericolosità del virus, ma ciò non significa che tutti i populisti al governo abbiano affrontato la pandemia in questo modo.

Anzi, limitandoci al contesto europeo, la lista dei governi con partiti populisti che hanno reagito in modo netto per contenere la diffusione del virus è lunga: si pensi, ad esempio, all’Italia, alla Repubblica Ceca, alla Spagna, all’Ungheria. In altre parole, le diverse risposte dei governi non sono riconducibili a una chiara distinzione tra populisti e non populisti; inoltre, non esiste nemmeno una singola risposta populista “di destra” e nemmeno “di sinistra” alla pandemia.

I populisti non hanno agito come un unico blocco univoco screditando gli esperti e la comunità scientifica nemmeno quando hanno vissuto la pandemia dai banchi d’opposizione. Il populismo non è morto e non si trova nemmeno in terapia intensiva. Ho condotto una ricerca (in fase di pubblicazione) nella quale ho analizzato l’andamento nei sondaggi di 287 partiti politici in Europa nella prima fase della pandemia (fino al 30 giugno), utilizzando i dati di Politico Poll of Polls, in particolare cercando di identificare trend specifici per i partiti populisti, da un lato, e i partiti non populisti, dall’altro.

Vivo e vegeto

Tra gennaio e giugno, il 62,7 per cento dei partiti populisti europei ha registrato un trend negativo nei sondaggi, ma nonostante alcuni casi vistosi, tali attori hanno perso in media solo lo 0,5 per cento, passando dall’11,2 per cento al 10,7 per cento. Poca roba.

Un quadro più chiaro emerge se ci focalizziamo sulla varietà di populismo più diffusa in Europa, il populismo di destra. Il 64,3 per cento dei populisti di destra ha perso consensi tra gennaio e giugno, ma una distinzione cruciale va fatta tra i partiti di governo e quelli di opposizione. I populisti di destra al governo sono passati da una media del 19,1 per cento a gennaio al 25,1 per cento di giugno (+6 per cento), mentre i populisti di destra all’opposizione sono passati da una media dell’8,9 per cento a una del 7,3 per cento (-1,6 per cento).

In breve, in tale periodo i populisti di destra al governo sono cresciuti molto e quelli all’opposizione hanno perso relativamente poco, salvo alcuni casi isolati, su tutti la Lega di Matteo Salvini e il partito dei Veri finlandesi che hanno lasciato per strada più di 5 punti percentuali nell’arco di pochi mesi.

I partiti di governo europei, populisti e non populisti, hanno in larga misura beneficiato del cosiddetto effetto rally round the flag (grossomodo, “radunarsi intorno alla bandiera”), fenomeno tipico delle fasi di profonda crisi internazionale e che porta a una crescita del sostegno popolare per l’esecutivo. Tale effetto è stato particolarmente forte nei periodi nei quali i governi hanno adottato le misure più stringenti per il contenimento della diffusione del virus.

I dati indicano che in tali fasi i partiti non populisti al governo sono cresciuti in media dell’1,9 per cento nelle intenzioni di voto, mentre i partiti della destra populista al governo hanno mediamente guadagnato nelle medesime fasi ben il 5,6 per cento.

Matteo Salvini (Foto LaPresse)

Incognita autunno

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, quindi, non solo la pandemia non ha ucciso il populismo, ma nel contesto europeo i populisti di destra, espressione della variante più diffusa del fenomeno, hanno visto crescere i loro consensi quando si sono trovati al governo nella fase più intensa e drammatica della pandemia, colmando in qualche modo un bisogno di sicurezza e protezione ai cittadini di fronte ad una crisi senza precedenti.

Ma la politica cambia rapidamente e in autunno potremmo assistere a una corsa degli elettori verso la “punizione” dei governi (populisti e non populisti) per l’incapacità di gestire la drammatica crisi socio-economica che ci aspetta all’orizzonte, facendo venir meno l’effetto rally round the flag. I primi segnali sono già visibili in alcuni paesi europei. Ciò consentirebbe ai populisti all’opposizione, soprattutto quelli di destra, di tornare al centro del dibattito pubblico e di riproporre i pezzi forti del loro repertorio riadattandoli al mutato contesto. Una partita che potrebbe mettere in grande spolvero i populisti, specialmente se i rivali non riusciranno ad andare oltre la solita politica di demonizzazione e delegittimazione che, spesso, porta a effetti opposti da quelli sperati.

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