Se la condanna a 15 anni per Abdel Moneim Aboul Fotouh dovesse essere confermata negli altri due gradi di giudizio, il politico egiziano potrebbe non rivedere più la luce del sole fuori da un penitenziario. Aboul Fotouh ha quasi 80 anni e le sue condizioni di salute sono pessime. Nel 2018 era stato arrestato dopo aver rilasciato alcune interviste in cui criticava il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.

Solo 7 anni prima, nel 2012, dopo aver lasciato i Fratelli Musulmani, era stato uno dei tanti candidati che avevano preso parte alle presidenziali del 2012. Le uniche elezioni libere dopo la rivoluzione di piazza Tahrir nella storia moderna dell’Egitto.

La sentenza è arrivata domenica scorsa. Aboul Fotouh è stato ritenuto colpevole, assieme al suo vice e a due leader dei Fratelli Musulmani, di «diffusione di notizie false» e di «aver cospirato per il rovesciamento dello stato».

Il suo caso allunga la lista dei prigionieri di coscienza reclusi in carcere senza diritti e senza assistenza medica. Lo stesso ex presidente islamista, Mohammed Morsi, è morto nel 2019 durante un’udienza. Si era accasciato nella cella riservata ai detenuti dopo che per anni le autorità gli avevano impedito di curarsi in carcere. E per le stesse condizioni disumane è in sciopero, da più di due mesi, il blogger e simbolo della rivoluzione Alaa Abdel Fattah.

Un dialogo politico a metà

Eppure il presidente al-Sisi cerca di rappresentare un paese diverso, un Egitto che sta riaprendo il dialogo politico per la prima volta dal 2014. Ci prova. Nonostante le cifre fornite dal Centro egiziano per la trasparenza dicano che gli arresti per reati d’opinione tra il 2020 e il 2021 siano stati almeno 16mila, con una media di 22 carcerazioni al giorno.

Lo scorso 26 aprile, in un discorso al consueto «Iftar della famiglia egiziana», al-Sisi ha invitato tutti i soggetti politici a realizzare un piano nazionale. Ha chiesto ai leader presenti, tra cui alcuni candidati alle elezioni del 2012 - proprio come Aboul Fotouh - di sottoporgli personalmente i loro consigli e ha promesso di partecipare alle fasi finali del dialogo.

«L’Egitto accoglie tutti e le differenze di opinione non sono la rovina dello stato», ha detto, aggiungendo che i suggerimenti raccolti saranno presentati al parlamento egiziano. Da questa iniziativa però verrebbero esclusi i Fratelli Musulmani, uno dei soggetti politici più importanti del paese. Il governo li ha inseriti nella lista delle organizzazioni terroristiche nel 2013, poco dopo il colpo di stato che ha posto fine alla presidenza islamista, e alcune settimane fa ha confermato che ci resteranno.

«Ho elogiato questo progetto ma non sono soddisfatto né ottimista su chi lo organizzerà, ossia i gruppi giovanili vicini al presidente e le agenzie governative», dice in un comunicato Mohammed Anwar el-Sadat, leader del Partito delle riforme e dello sviluppo. «Il rischio è che vedremo solo molti eventi pubblici senza mai raggiungere alcun obiettivo».

Come già accaduto in passato, il presidente fa annunci a favore di telecamere ma lei sue iniziative restano incompiute. Una strategia che il regime usa per rendersi credibile a livello internazionale. Questa volta c’è da convincere il Fondo Monetario Internazionale perché l’Egitto ha bisogno di un nuovo prestito per risanare le casse dello stato colpite dall’epidemia del Covid-19 e dalla crisi del grano ucraino.

Kristalina Georgieva, direttrice operativa del Fmi, ha detto che le condizioni economiche in Egitto stanno peggiorando e che il paese ha bisogno di ritrovare una stabilità per poter fare le riforme e ricevere aiuto dall’organizzazione internazionale.

Le scarcerazioni mirate

Così al-Sisi ha riattivato anche il Comitato per la grazia presidenziale e ha scarcerato negli ultimi mesi diversi attivisti. Le richieste di liberazione per i detenuti di coscienza possono essere presentate online ma vengono esaminate dalle agenzie di sicurezza nazionale. Le stesse che arrestano e torturano i prigionieri politici. Tra queste c’è anche l’apparato a cui appartengono le quattro persone che la Procura di Roma sta tentando di rinviare a giudizio per la morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano trovato nel 2016 senza vita e con evidenti segni di tortura nella periferia del Cairo.

Secondo una fonte sentita dal giornale online Mada Masr, portale oscurato in Egitto dalla censura governativa, il comitato avrebbe già escluso la scarcerazione di Alaa Abd El-Fattah. Per lui, l’unica speranza resta la mobilitazione interazionale. Secondo quanto scritto dalla sua famiglia sui social, dall’inizio dello sciopero della fame dell’attivista, il governo del Regno Unito avrebbe avuto diversi contatti con le autorità egiziane. L’obiettivo è quello di organizzare in carcere un incontro tra Alaa e una delegazione consolare del Regno Unito, paese di cui ha recentemente preso la cittadinanza.

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