Gli occhi di Friedrich Merz si stringono fino a diventare due piccole fessure mentre scandisce le parole: «La mia priorità assoluta sarà quella di rafforzare l’Europa il più rapidamente possibile, in modo che, passo dopo passo, possa davvero raggiungere l’indipendenza dagli Stati Uniti». Pausa. «Mai avrei creduto di dire una cosa del genere in televisione». Il vincitore delle elezioni sa bene che ha di fronte un «compito immenso», come aveva detto subito dopo i primi risultati.

L’identità e il ruolo del Vecchio Continente a fronte dell’uragano Trump è la scelta strategica numero uno per il futuro cancelliere, il messaggio non poteva essere più chiaro. Gli ostacoli che ha di fronte sono «colossali», come si ripete nei corridoi della Konrad-Adenauer-Haus, la centrale della Cdu, dove l’entusiasmo per la vittoria (28,5% dei voti, stando ai risultati finali provvisori, meno di quanto sperato) è frenato dalle mappe con i flussi elettorali e dal sovrapporsi delle molte crisi simultanee che la Germania ha di fronte, mischiate ad una torsione globale incarnata da Donald Trump. La classica formula di dirsi «il cancelliere di tutti i tedeschi», è oggi una sfida da far tremare i polsi.

La via della “GroKo”

Fatti gli ultimi conteggi, il futuro politico della Germania quasi certamente sarà una “GroKo”, ossia la grande coalizione tra Cdu/Csu ed Spd: infatti, il movimento “rossobruno” di Sahra Wagenknecht alla fine rimane sotto la soglia del 5 per cento e con ciò è esclusa dal Bundestag, facendo sì che i numeri dell’unione cristiano-democratica di Merz e dei socialdemocratici bastino per raggiungere la maggioranza. Il che semplifica le trattative di coalizione (i Verdi, con l’11,6 per cento, sono ormai fuori dalla partita), ma, mentre già stanno partendo i primi contatti – e le prime schermaglie - tra i futuri alleati, c’è la consapevolezza che la mappa del voto consegna ai contraenti la fotografia di una Germania spaccata in due: infatti, l’AfD ha conquistato quasi tutte le circoscrizioni dei Laender dell’est, con la sola eccezione di quella di Potsdam, nella quale è risultato in testa Olaf Scholz, ed altre due a Lipsia e a Erfurt, conquistate dalla Linke, il partito della sinistra. A ovest, è stata tutt’un’altra partita, con la Cdu a dominare quasi ovunque, con qualche circoscrizione strappata da Spd e Verdi. Sì, complessivamente è il nuovo “muro” che divide il paese, e corre esattamente lungo il confine che separavano la Bundesrepublik dalla DDR.

Weidel ringrazia Musk

Non a caso esulta Alice Weidel, la leader del partito dell’ultradestra. Lei, gongolante per aver superato la soglia anche psicologica del 20% dei consensi nazionali (e anche per le congratulazioni ottenute all’alba «per il fantastico risultato» da Elon Musk), prevede «la possibilità di superare la Cdu/Csu nei prossimi anni». Incalza il co-leader Tino Chrupalla: «I tedeschi dell’est hanno detto molto chiaramente che non vogliono più una Brandmauer», ossia il “muro di fuoco” che finora ha impedito alla formazione nazional-populista di accedere ai gangli decisionali del potere. Proprio qui si apre un altro immenso fronte per il governo che sarà: perché considerando l’esclusione dal parlamento di Bsw e liberali, sommando i voti l’AfD e la sinistra radicale della Linke ottengono la cosiddetta Sperrminorität, la “minoranza di blocco”. Ossia, con 216 seggi su 630, poco più di un terzo, i due partiti agli estremi potenzialmente hanno il potere di stoppare le deliberazioni del Bundestag che necessitano di una maggioranza di due terzi, vedi al capitolo riforma costituzionale oppure l’allentamento della “freno al debito”, anch’esso ancorato alla legge fondamentale. Idem un eventuale accordo su un fondo speciale per il bilancio della difesa.

Nondimeno, forse anche per far dimenticare la batosta del fallito tentativo di far passare un patto anti-migranti con i voti dell’ultradestra, Merz è tornato a ribadire con estrema chiarezza che «ogni collaborazione con l’AfD è categoricamente esclusa». Incalzato, l’uomo che siederà sullo scranno che fu di Angela Merkel ha insistito: «Tutto ci divide, dalla politica estera alla sicurezza, dalle nostre idee sulla Nato a quelle sull’Ue, per cui Weidel può tendere la mano quanto vuole, noi non la prenderemo mai».

Forse è anche un modo per rasserenare l’Spd in vista dei negoziati di coalizione, probabilmente capeggiati da parte socialdemocratica dal presidente del partito, Lars Klingbeil (in odore di vicecancellierato), dato che il partito che fu di Brandt e di Schmidt ha posto la barriera anti-AfD come conditio sine qua non per ogni collaborazione governativa.

Non sorprendentemente, in casa Spd regna un’atmosfera plumbea. «Mi assumo la responsabilità di questo risultato», dichiara Olaf Scholz, ben consapevole di dover fare un passo indietro anche nel partito, al peggiore risultato in un secolo e mezzo di storia (16,4 per cento). «Abbiamo il compito molto di innovarci dall’interno, senza sottrarci alla responsabilità per un governo stabile». La Frankfurter Allgemeine Zeitung la sintetizza così: «Cdu e Spd sono condannati al successo. Perché se falliscono la sfida contro il populismo potrebbe rivelarsi fatale». Il problema è che i toni si sono fatti molto più aspri da quando Merz a gennaio aveva aperto alla possibilità di una maggioranza in parlamento per un giro di vite sulle migrazioni. Il capogruppo Ralf Muetzenich l’aveva detta così: «Merz ha aperto la porta all’inferno». Vieppiù che l’AfD, con i suoi 152 seggi al Bundestag, promette di radicalizzarsi ancor di più. Il solito Musk dà una mano: «A questo ritmo di crescita sarà il partito di maggioranza alle prossime elezioni. Solo questione di tempo».

I grandi sconfitti

Ma chi sono i grandi sconfitti di queste elezioni, a parte Scholz? Ovviamente Christian Lindner, il capo dei liberali, che aveva causato la rottura dell’alleanza semaforo, punito dagli elettori tanto da far sloggiare l’Fdp dal Bundestag: aveva sperato fino all’ultimo di diventare il kingmaker del nuovo governo, ieri sera in televisione l’ex ministro alle Finanze ha pubblicamente detto addio alla politica attiva. L’altro è sicuramente Robert Habeck, candidato cancelliere dei Verdi: non solo ha dovuto incassare un risultato molto distante dalle sue ambizioni (anche per l’abbandono degli elettori giovani), ma è pure fallita la speranza di entrare in una coalizione a tre con Cdu e Spd. Paradossalmente deve ringraziare il Bsw, il partito di Sahra Wagenknecht, che aveva fatto il botto alle europee e in tre Laender dell’est tanto da far concorrenza all’AfD, e che solo pochi mesi dopo rimane a guardare la grande politica da fuori, scontando la nemesi di una Linke trionfante, di cui lei fu leader. I suoi fedelissimi vedono irregolarità nel conteggio, ma la verità probabilmente è un’altra: rincorrere l’ultradestra sui migranti non paga. Molti tedeschi preferiscono l’originale.

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