Un tempo il problema non si poneva. La Virginia, dove si vota il 2 novembre per scegliere il nuovo governatore a un anno esatto dalle presidenziali, era territorio democratico. I repubblicani non toccavano palla e l’unica elezione competitiva erano le primarie dem. Quel tipo di democratico, conservatore e segregazionista, non esiste più. Il suo erede, che è sicuramente conservatore e parla con nostalgia edulcorante della “vecchia Virginia”, adesso vota repubblicano. Anzi, è il cuore della coalizione repubblicana.

Lo stato che ha fatto nascere George Washington e Thomas Jefferson e che viene soprannominato per questo “la madre dei presidenti” adesso racconta altro. È una delle rare storie di successo del partito democratico negli ultimi anni nei territori ex confederati. Negli ultimi anni questo territorio si è però profondamente trasformato, anche grazie alla crescita dell’area suburbana intorno a Washington, che ha portato nei registri elettorali una popolazione variegata e urbanizzata.

Una vita nella politica

Il portabandiera di quel cambiamento, nel 2013, è il candidato dem attuale Terry McAuliffe. Di certo McAuliffe non è quel tipo di candidato che entusiasma: figlio di un funzionario di partito di Syracuse, nello stato di New York, con esperienza nel settore bancario, comincia a lavorare per i democratici nel 1980, all’età di 23 anni, nell’impresa disperata che era la rielezione di Jimmy Carter alla presidenza. La missione è fallita, ma questo non ha scoraggiato McAuliffe, che ha aiutato il successivo presidente democratico, un altro ex governatore del sud, Bill Clinton.

Ci entra in confidenza. Forse troppa, dato che è proprio lui, businessman di successo, a fargli da garante per l’acquisto della casa dove i coniugi presidenziali vivono ancora oggi a Chappaqua, nello stato di New York, comprata durante gli ultimi mesi di presidenza per un milione e 700mila dollari. Del resto, durante il secondo mandato di Bill Clinton, McAuliffe aveva raccolto 275milioni di dollari per Clinton e i suoi alleati. Nel mondo prima della sentenza Citizen United, è un’enormità.

Un vecchio fantasma

Per andare avanti veloce, questo rapporto fiduciario, proseguito anche con la sfortunata campagna di Al Gore, prosegue con lui alla testa del comitato nazionale democratico, che risolleva da una situazione debitoria cronica mandandolo in attivo per la prima volta dopo anni. La sua intuizione: puntare sui piccoli donatori. Certo, una figura del genere non è proprio quella che scalda i cuori, un grigio funzionario attento a prendere soldi dove si trovano.

Negli anni già polarizzati di Barack Obama, però, è quello che ci vuole per conquistare uno stato incerto come la Virginia, che nel 2009 era stato conquistato dal repubblicano Bob McDonnell, un conservatore che aveva rimosso gli omosessuali dalle categorie protette dalla discriminazione a livello statale e che nell’aprile 2010 aveva proclamato il mese della storia confederata.

E proprio il fantasma dell’antica repubblica schiavista è quello che aleggia ancora sul vecchio Commonwealth fondato nel 1608. Non solo il generale Robert Lee, la cui statua è stata rimossa dal centro della capitale Richmond soltanto lo scorso 8 settembre dopo una lunga controversia legale.

Ma anche quella del senatore Harry Byrd, un ricco coltivatore di mele ed editore di giornali che ha dominato la politica locale dagli anni Trenta fino ai Sessanta, diventando il democratico conservatore più prominente nel resistere alla desegregazione e all’integrazione nelle scuole e nelle università.

Lo sfidante

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L’avversario di McAuliffe, Glenn Youngkin, è abbastanza moderato per i repubblicani odierni, se non fosse per un recente passo falso, dove ha definito “nauseante” il libro Amatissima della scrittrice afroamericana Toni Morrison, vincitrice del premio Nobel nel 1993.

Donald Trump non si è fatto vedere da queste parti, anche se ha fatto sapere di appoggiare questo imprenditore senza esperienza politica. La sua presenza avrebbe favorito un McAuliffe in difficoltà che viene visto come un vecchio arnese della politica clintoniana, ormai lontana anni luce da un partito che non teme più di definirsi progressista, specie dopo che ha conquistato entrambi i rami della legislatura statale nel 2019 e ha imposto un severo limite all’acquisto di armi per iniziativa del governatore uscente Ralph Northam, provocando malumore in quelle aree rurali dove le figure del Generale Lee e del senatore Byrd non sono poi così viste male.

Il rischio di una sconfitta

McAuliffe però teme il peggio: questo mix della sua impopolarità personale (il primo governatore afroamericano dello stato, il novantenne Douglas Wilder, ha già fatto sapere che non lo voterà per non aver adeguatamente finanziato le scuole pubbliche) unito a un partito che si è spinto troppo oltre per certe parti di società non al passo con gli ultimi dibattiti universitari sulla Critical Race Theory e sul razzismo sistemico potrebbe portare a un’insperata vittoria un candidato incolore come Youngkin.

Per questo tutti i maggiori dem nazionali si sono fatti vedere per sostenere l’ex governatore che rientra in pista: non solo Obama, Kamala Harris e i coniugi Clinton. Anche lo stesso presidente Joe Biden ha deciso di investire nello stato come prova della popolarità della sua agenda politica.

Di certo sappiamo che qualora McAuliffe dovesse perdere, a Washington suonerebbe un campanello d’allarme fino al midterm del 2022. E non deve accadere. Immaginiamoci la portata di una nuova manifestazione della vittoria piena di bandiere confederate e l’ombra di Lee e Byrd ad aleggiare nuovamente sulle strade di quella capitale, Richmond, che fu confederata e segregazionista e ora invece è diventata il simbolo dei nuovi liberal di successo nel Vecchio Sud.

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