Addio farina, persino gli antidolorifici sono razionati. Mohamed Iskafi coordina le operazioni sanitarie dei gazawi: «La comunità internazionale deve aumentare la pressione»
Sono centinaia i kit di primo soccorso accumulati negli uffici a Ramallah di Palestinian Medical Relief Society (Pmrs). Gli scatoloni con beni di prima necessità, medicine e materiali per le cliniche mobili vengono messi ovunque ci sia spazio: «Gli aiuti ci sono, sono pronti, ma Israele non li fa entrare», spiega Mohamed Iskafi, coordinatore delle operazioni sanitarie nella Striscia di Gaza.
«Organizziamo i trasporti attraverso gli organismi delle Nazioni Unite, seguendo la procedura», spiega, «abbiamo diversi camion pieni di aiuti che sarebbero pronti per entrare nella Striscia, ma i mesi passano e non riceviamo risposta da parte di Israele».
Soffrire la fame
Nel frattempo, ad appena 80 chilometri di distanza, la popolazione palestinese, lasciata senza alcun tipo di aiuto, soffre la fame. Da più di un mese, dalla ripresa degli attacchi il 2 marzo, nella Striscia di Gaza non entra nulla. Non ci sono farmaci, né cibo, mentre vengono razionati anche gli antidolorifici negli ospedali. Durante la tregua venivano fatti transitare circa 50 camion al giorno, un dato già ben distante dai 500 che sarebbero necessari per coprire il fabbisogno della popolazione secondo le Nazioni Unite.
«Questo», commenta Iskafi, «è ciò su cui la comunità internazionale e tutte le parti interessate dovrebbero lavorare: creare pressione su Israele affinché faciliti l’ingresso delle carovane di aiuti, di tende, cibo a sufficienza e materiale igienico-sanitario, oltre a farmaci, naturalmente, e forniture mediche. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento».
Mentre Israele continua a bombardare, radendo al suolo il poco che era rimasto e causando decine di morti ogni giorno, anche le condizioni sanitarie non fanno che peggiorare: «Non c’è più nulla, non c’è acqua e non c’è elettricità», racconta Iskafi, che è in contatto costante con i team di Pmrs che operano dentro la Striscia, «perfino il sistema fognario è stato distrutto dai bombardamenti, e così ora le acque reflue escono dal terreno. E si trovano per strada, tra le tende».
Pmrs ha decine di cliniche mobili attive, pensate per seguire le persone quando si spostano e poter continuare a rispondere al meglio alle loro necessità, ma riuscirci sta diventando impossibile: «Il personale c’è», spiega Iskafi, «ma mancano i medicinali e gli strumenti necessari per lavorare efficacemente. Le cose peggiorano anche perché non ci sono abbastanza acqua, cibo, kit di prima necessità, prodotti per l’igiene, tende per ripararsi, così aumentano le malattie, ma poi non ci sono farmaci per curarle».
Nessuna tutela
Nessuna tutela nemmeno nei confronti del personale sanitario.
Il 24 marzo sono stati recuperati i corpi di otto soccorritori della Mezzaluna rossa palestinese, sei della Protezione civile e uno delle Nazioni Unite. «Erano qui per salvare delle vite. Invece sono finiti in una fossa comune», ha commentato Jonathan Whittall di Ocha, presente sul luogo. I veicoli di emergenza dei sanitari e dei soccorritori uccisi, chiaramente contrassegnati come ambulanze, un camion dei pompieri e un’auto delle Nazioni Unite sono stati colpiti dalle forze israeliane e poi gettati sotto la sabbia.
Anche la gestione dei cadaveri è estremamente complessa. «Si scava tra le macerie con le mani per trovare i corpi, che in molti casi sono irriconoscibili». Quando si trovano, «vengono portati in quello che resta degli ospedali», dove però manca quasi sempre l’elettricità, «ma non si possono conservare a lungo, perché sono fonte di infezioni, così quelli che non vengono riconosciuti vengono sepolti in fosse comuni».
I camion che potrebbero alleviare queste sofferenze restano bloccati da Israele al di là del confine. Non entra più nemmeno la farina. Così, dal primo aprile, il World Food Program delle Nazioni Unite ha annunciato che tutti i suoi panifici nella Striscia resteranno chiusi perché non c’è più niente con cui fare il pane.
Immediata la risposta di Cogat, l’ente militare israeliano che controlla i valichi di frontiera, all’annuncio dell’Onu secondo cui durante le sei settimane di tregua è stato fatto transitare un numero sufficiente di camion per sfamare la popolazione «per un lungo periodo di tempo, se Hamas fa arrivare gli aiuti ai civili».
A smentire questa accusa è il portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarric, che ha dichiarato che l’Onu ha mantenuto «un’ottima catena di custodia su tutti gli aiuti che ha consegnato».
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