Sulle coste mediterranee ed assolate di Antalya, in Turchia, l’incontro organizzato dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan tra il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, e l’omologo ucraino, Dmytro Kuleba, è sostanzialmente fallito, ma per Ankara e il capo della diplomazia turca, Mevlut Cavusoglu, ha rappresentato comunque un enorme successo d’immagine internazionale.

Innanzitutto perché Erdoğan è uscito dall’angolo in cui si era cacciato dopo aver sfidato gli Stati Uniti sul riconoscimento del genocidio degli armeni del 1915, ed è stato riconosciuto come mediatore da entrambe le parti, anche perché ha ottimi rapporti commerciali e diplomatici sia con la Russia sia con l’Ucraina.

A Kiev, Erdoğan ha fornito i micidiali droni Bayraktar che possono volare per 27 ore consecutive, trasportare fino a 130 kg di materiale e stanno infliggendo pesanti perdite ai russi. Un’arma che si è rivelata fondamentale per l’Azerbaigian contro l’Armenia nel secondo conflitto nel Nagorno-Karabakh, a Tripoli in Libia e a Idlib in Siria.

Non solo, Erdoğan non ha mai riconosciuto l’annessione della Crimea da parte russa e ad aprile dell’anno scorso, nel corso di una visita ufficiale a Kiev con il suo omologo Volodymyr Zelensky, ha ribadito che «Turchia e Ucraina intendono proseguire il loro partenariato strategico» e rinnovato il sostengo «alla piattaforma ucraina per diventare una soluzione per i tartari di Crimea e l’Ucraina».

La Turchia, che ha aspirazioni neo imperiali di tipo ottomano come la Russia che ha aspirazioni neo zariste, ha sostenuto Kiev che invece sta lottando per il riconoscimento nazionale in funzione anti russa.

Gli ambivalenti rapporti con Mosca

Erdoğan ha un rapporto ambivalente con Vlasdimir Putin. Da una parte si atteggia a fedele membro Nato chiudendo, come da Trattato, gli stretti sul Bosforo al passaggio di navi militari russe, e dando sostengo a Kiev sulla Crimea.

Ma nello stesso tempo ha acquistato missili anti aerei di fabbricazione russa S-400 (con conseguente espulsione dal programma di acquisto di caccia F35 americani e contemporanea ammissione della vicina Grecia) e soprattutto si è rifiutato di partecipare alle pesanti sanzioni economiche alla Russia, forse perché spaventato dai forti rincari inflazionistici nel settore energetico importato da Mosca che stanno erodendo il suo traballante consenso elettorale.

L’inflazione in Turchia, anche a causa della stravagante politica monetaria di riduzione dei tassi imposta da Erdoğan alla Banca centrale, ha raggiunto il 50 per cento annuo.

Ankara, che sta sviluppando la sua prima centrale nucleare con tecnologia fornita dalla società russa Rosatom, importa il 35 per cento del suo fabbisogno di gas dalla Russia attraverso due gasdotti che passano nel mar Nero: il Blue Stream e il Turkstream, pipeline mai bloccate nemmeno in occasione dell’abbattimento turco del jet russo sconfinato per pochi minuti dalla Siria nell’ottobre 2015.

Ma in Siria Erdoğan si è posto come antagonista del presidente siriano Bashar al Assad sostenuto e armato invece dal Cremlino. I rapporti con Mosca sono spesso ambivalenti: a momenti di cooperazione si alterna l’antagonismo. Come in Libia, dove i governi di Mosca e Ankara si sono trovati su fronti opposti, uno a sostegno del governo di Bengasi e l’altra di quello di Tripoli.

Il cambio di passo con Tel Aviv

Con Israele Erdoğan ha deciso a sorpresa di voltar pagina e di cercare il dialogo, dopo anni in cui aveva indossato le vesti del difensore dell’islam a sostegno dei palestinesi.

Il presidente israeliano, Isaac Herzog, ha fatto visita il 9 marzo in Turchia, la prima di un presidente israeliano in 14 anni, un passo che segna un disgelo tra i due paesi. Herzog è stato ricevuto da Erdoğan ad Ankara per poi proseguire per Istanbul, dove ha incontrato i membri della comunità ebraica.

Un segnale importante che rasserena i rapporti fin qui molto tesi tra Turchia e Israele, paesi che fino al 2008 facevano manovre militari aeree in comune. Poi nel corso del World economic forum di Davos del 2009, Erdoğan ha avuto uno scontro acceso su Gaza con l’allora presidente israeliano Shimon Peres e per protesta il presidente turco ha lasciato la tribuna dove si svolgeva l’incontro davanti agli attoniti rappresentanti delle maggiori multinazionali e investitori del mondo.

Da quell’episodio i rapporti fra i due paesi sono peggiorati sempre di più fino alla svolta attuale. Evidentemente Erdoğan cominciava a sentirsi troppo isolato in questa posizione di membro Nato, con il secondo esercito dell’Alleanza atlantica, ma nel contempo sempre pronto a trovare forme di collaborazione con Mosca per spartirsi le zone di influenza, senza mai arrivare allo scontro diretto tra due stati con aspirazioni neo imperiali.

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