Nel secondo giorno di festa dopo la fine del Ramadan, sono pochi i pescatori che osano sfidare il maltempo per trascorrere qualche ora sul lungomare di Bebek, quartiere nord di Istanbul. Giubbotto impermeabile e cappello, aspettano pazienti che qualche pesce abbocchi al loro amo mentre sorseggiano un tè preparato al momento con dei fornelli da campo o mangiano un panino al sesamo comprato da un venditore ambulante.

Questa parte di mare compresa tra i Dardanelli e il Bosforo però non è solo meta di pescatori, ma anche di chi, per hobby o professione, monitora il traffico marittimo degli Stretti, passaggio obbligato per le navi che si muovono tra il mar Nero e il Mediterraneo, passando per il mar di Marmara. Tra questi spotter vi è anche Yörük Işık, analista geopolitico e direttore del sito Bosphorus Observer.

Dalla terrazza del suo appartamento le imbarcazioni che passano per quel tratto di mare sembrano quasi a portata di mano e, con l’aiuto dell’app MarineTraffic e del potente obiettivo della sua fotocamera, è facile per l’analista capire che tipo di navi stanno attraversando gli Stretti. Grazie alla raccolta di questo tipo di informazioni, Işık e altri osservatori riescono anche a prevedere lo scoppio di nuovi conflitti. Come successo con la guerra in Ucraina.

Le rotte del greggio

Dall’inizio dell’invasione il traffico negli Stretti è cambiato di pari passo con il modificarsi degli rapporti tra l’Europa e la Russia, dopo aver già subito delle prime modifiche a seguito dell’annessione russa della Crimea. “Il passaggio delle navi porta container si è ridotto, ma le navi cisterna russe che trasportano greggio hanno continuato a transitare, anche se ora sono dirette verso il continente asiatico e non più verso l’Europa”, spiega Işık mentre indica una petroliera che avanza lentamente verso sud.

Ma a passare per gli Stretti non sono solo navi commerciali o passeggeri. Anche le imbarcazioni militari possono attraversare questa parte di mare nel rispetto di quanto previsto dalla Convenzione di Montreux, il trattato che dal 1936 regola il traffico tra Bosforo e Dardanelli. Sulla base di questo stesso accordo e dietro pressione della comunità internazionale, la Turchia ha deciso di chiudere gli Stretti pochi giorni dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina per evitare che la Russia continuasse a rafforzarsi militarmente nel mar Nero.

“La mossa del governo turco ha influito poco sulla guerra, ma nel lungo periodo la chiusura degli Stretti sarà un problema per la Russia. Il passaggio per il Bosforo e i Dardanelli è fondamentale per le operazioni logistiche russe in Siria e Libia, due teatri in cui tra l’altro sono presenti sia i russi che i turchi, su fronti opposti”, sottolinea l’analista. “Con il blocco del traffico militare, le truppe russe dovranno fare i conti con la riduzione delle capacità di approvvigionamento di Mosca”.

La contesa per il mar Nero 

D’altronde il potere che la Convenzione di Montreux assegna alla Turchia nella gestione degli Stretti è da sempre un problema per la Russia e ciò influisce sulla storica contesa russo-turca per il mar Nero. Come spiega Işık, fin dall’occupazione della Crimea, Mosca ha riaperto alcune basi militari e installato sistemi difensivi nella penisola per trasformare di nuovo il mar Nero in un lago russo, ritornando ad armare pesantemente la regione. La guerra in Ucraina però rischia di mandare a monte i piani della Federazione, almeno allo stato attuale del conflitto.

“In questa mossa mal calcolata di voler prendere tutto il sud del paese, la Russia ha mostrato tutti i suoi limiti e la Turchia ne approfitterà per cambiare gli equilibri di potere nel mar Nero. Credo che presto assisteremo a un maggior dispiegamento della Marina turca in quest’area, soprattutto in relazione alla presenza nel mar Nero di un importante giacimento di gas”.

A giugno del 2021, la Turchia aveva annunciato la scoperta di un’importante riserva di idrocarburi al largo delle sue coste interne, ma erano subito sorti dei dubbi sulla sostenibilità dei costi di estrazione. Con l’attuale crisi energetica in corso in Europa, però, le possibilità di sfruttare il giacimento sembrano sempre più concrete. “Se così fosse, il mar Nero sarebbe ancora più importante per la Turchia non solo dal punto di vista della sicurezza o per il valore del traffico commerciale. Il paese non possiede risorse di idrocarburi ed è costretta ad importare grandi quantità di energia, ma se riuscisse davvero ad estrarre il gas gli equilibri nell’area cambierebbero”.

Lo sfruttamento del giacimento porterebbe la Turchia ad aumentare la propria presenza militare nel mar Nero, andando così ad intralciare i piani della Russia in questa particolare area. Ma la riduzione dell’import di energia e la vendita del gas estratto nel mar Nero avrebbero conseguenze di più ampia portata per la politica estera turca. Ciò che impedisce al paese di essere maggiormente assertivo nello scacchiere internazionale sono i problemi economici, acuitisi negli ultimi anni con il crollo della lira e l’aumento dell’inflazione, ma le entrate che deriverebbero dalla vendita di gas potrebbero dare nuovo slancio alla Turchia. Una prospettiva molto allettante per il presidente Recep Tayyip Erdogan, che punta ad accrescere il ruolo del suo paese nel mondo.

Il rapporto con Mosca

Nonostante la ridefinizione dei rapporti di forza, però, Ankara non può permettersi di rompere con Mosca. La Russia è uno dei principali partner commerciali del paese anatolico e continuerà ad esserlo anche dopo la guerra, se la classe media russa non dovesse uscirne completamente distrutta. In quel caso, specifica Işık, l’economia ne risentirebbe pesantemente e la Turchia si ritroverebbe senza un mercato di sbocco importante per le sue industrie.

Le strette relazioni economiche con la Russia hanno influito sulla scelta della Turchia di mantenere una certa equidistanza nel conflitto attuale, ma ad influire su questa scelta sono stati anche altri fattori. Erdogan ha visto nella guerra l’occasione giusta per ottenere dei vantaggi sul piano internazionale e ha potuto sfruttare la mancata integrazione in Europa per continuare a dialogare con Mosca. Con evidenti vantaggi anche per gli uomini più ricchi della Russia.

“La Turchia non è tenuta a seguire le sanzioni imposte dall’Unione e non è lecito aspettarsi che lo faccia. Per questo è diventata una via di fuga per gli oligarchi russi”. Come ricorda Işık, lo stesso ministro degli Esteri, Mevlüt Çavuşoğlu, ha invitato gli oligarchi a recarsi in Turchia a patto che rispettino le leggi internazionali e turche. Un paradosso, specifica l’analista, dato che si tratta di gruppi di persone arricchitisi in maniere poco trasparenti e a discapito di altri.

La presenza degli oligarchi in Turchia è evidente se si guarda alla tipologia di barche ormeggiate lungo le coste del paese. “Dall’inizio della guerra il numero degli yacht è aumentato, anche perché qui possono trovare ottimi servizi di manutenzione per le loro imbarcazioni di lusso. Ma la Turchia non è la loro destinazione finale. Dopo un certo periodo di tempo attraverso il Bosforo per andare a Sochi, facendo così ritorno in Russia”. La Turchia però è diventata anche terra di approdo di migliaia di cittadini russi che hanno approfittato dell’apertura di Ankara per trovare rifugio all’estero. “Se questa porta fosse stata chiusa sarebbero rimasti nelle mani di Putin e - afferma l’analista - forse sarebbe anche stati costretti ad arruolarsi”.

Dalla baia stambuliota di Bebek è difficile prevedere l’esito della guerra, nonostante gli indizi forniti giornalmente dal transito per gli Stretti. La speranza è che, nel lungo periodo, il conflitto possa avere dei risvolti positivi almeno per la democrazia russa, ma è ancora presto per fare previsioni. “Il futuro è come il tempo che c’è oggi”, conclude Işık. “Il cielo è coperto di nuvole nere e da un momento all’altro potrebbe scoppiare un temporale. È difficile aspettarsi che il sole torni a splendere già nei prossimi giorni”.

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