Trump sottovaluta l’escalation tra Cina e Giappone: gli affari non scongiureranno un nuovo fronte

Chissà se Donald Trump capirà mai che l’ascesa della Cina non è solo una questione di quattrini, come pare suggerire la sua recentemente pubblicata Strategia (Maga) di sicurezza nazionale. Fatto sta che il peso della storia, in particolare la rivalità col Giappone, rischia di rovinargli la festa che sta preparando per la primavera, quando è atteso a Pechino, dove spera di siglare accordi economici miliardari e, perché no, dividersi il mondo con Xi Jinping. Nel frattempo però l’escalation tra i due rivali asiatici non si placa, e l’imbarazzo di Trump è evidente dalle divergenti dichiarazioni del Pentagono e dalla Casa Bianca. Per il ministero della difesa Usa, nella conversazione telefonica di venerdì 12 dicembre, Pete Hegseth e il suo omologo Shinjiro Koizumi «hanno riaffermato l’importanza dell’alleanza Usa-Giappone e sottolineato il loro impegno a impedire aggressioni nell’Asia-Pacifico». Il giorno prima invece Trump aveva minimizzato gli incidenti degli ultimi giorni, limitandosi a ricordare la sua «relazione fenomenale» con la premier nipponica Sanae Takaichi e il «buon rapporto di lavoro» con il presidente Xi Jinping. Hegseth e Koizumi hanno discusso della situazione nel Pacifico occidentale, che il secondo ha definito «in rapido deterioramento», da sabato scorso, quando caccia cinesi J‑15 avevano puntato il radar di tiro contro F‑15 giapponesi vicino a Okinawa. Koizumi ha assicurato che Tokyo non cerca l’escalation, ma ha altresì sottolineato che risponderà «con calma e fermezza» a ogni provocazione. Export, le paure dell’Ue per il boom della Cina. Ma sui dazi i leader restano divisi Grandi manovre Martedì bombardieri strategici cinesi H‑6 e russi Tu‑95, affiancati da caccia di Pechino J‑16, hanno effettuato un pattugliamento congiunto di otto ore attorno all’arcipelago nipponico, entrando nelle zone di identificazione aerea di Corea del Sud e Giappone. Il giorno successivo sono sopraggiunte le manovre di F‑35 ed F‑15 nipponici assieme a due bombardieri B‑52 statunitensi (anch’essi in grado di trasportare l’atomica) sul Mar del Giappone. Infine, giovedì, la portaerei Uss George Washington è attraccata nella base Usa di Yokosuka. Il Pentagono e le Forze di autodifesa giapponesi parlano apertamente di un rafforzamento della deterrenza per impedire «cambiamenti unilaterali dello status quo con la forza». Le mani di Xi su Taiwan, il tycoon non vuole far arrabbiare la Cina Le minacce di Pechino Dall’altra parte, Pechino evidentemente ci tiene a far vedere che Mosca è pronta a intervenire al fianco della Cina. E forse Mosca è ancora più interessata a fare pressione su Washington, facendole vedere i rischi dell’apertura di un altro fronte di guerra nel Pacifico. Come che sia, i media cinesi hanno dato ampio spazio alle dichiarazioni di Maria Zakharova, alla vigilia dell’anniversario del Massacro di Nanchino, dove a partire dal 13 dicembre 1937, per sei settimane, le truppe imperiali di Hirohito massacrarono nella città occupata decine di migliaia di civili (300.000 secondo le stime ufficiali di Pechino), molti dei quali decapitati a colpi di katana. La portavoce del ministero degli esteri russo ha definito quel bagno di sangue «un simbolo dell’inumanità e della barbarie del militarismo giapponese», avvertendo che qualsiasi tentativo di minimizzare o rivedere quei crimini è «assolutamente inaccettabile» e deve essere condannato dalla comunità internazionale. Da settimane Pechino ha avviato una campagna di boicottaggi contro turismo, artisti, prodotti e aziende giapponesi, in risposta alle dichiarazioni della premier Sanae Takaichi, che il 7 novembre scorso ha detto in parlamento che il Giappone potrebbe intervenire militarmente in caso di attacco cinese a Taiwan qualora fosse minacciata la sicurezza nazionale del Giappone. Venerdì 12 il portavoce del ministero degli esteri di Pechino, Guo Jiakun, ha fatto sapere che «non permetteremo mai alle forze di destra in Giappone di invertire il corso della storia, non permetteremo mai a forze esterne di interferire con la regione di Taiwan, e non permetteremo mai la rinascita del militarismo giapponese». Takaichi finora non ha ritrattato la sua dichiarazione. Droni su Taiwan, Tokyo alza i jet e Pechino è nervosa Calcoli sbagliati Forse il governo Maga che ha scritto la Strategia di sicurezza nazionale non si è ancora reso conto del livello di deterioramento delle relazioni sino-giapponesi causato dall’uscita della premier ultranazionalista di Tokyo, una Meloni d’Oriente apprezzatissima da Trump. Quello che è certo è che se immaginava di mantenere la stabilità nel Pacifico occidentale – le cui rotte sono strategiche tanto per la Cina quanto per gli Stati Uniti – semplicemente facendo affari con Pechino e vendendo più armamenti a Tokyo, ha sbagliato clamorosamente i calcoli.