Da qualche giorno in diversi canali Telegram circolano video che mostrano un ingente numero di mezzi militari e forze dell’esercito russo spostarsi lungo il territorio della Federazione russa per posizionarsi al confine con l’Ucraina. Questo episodio è stato liquidato dal portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, affermando che «la Russia muove le forze nel suo territorio come le pare e non è una minaccia per nessuno». Negli ultimi sette anni il livello dei combattimenti nell’area ha provocato, secondo fonti Onu, più di 14mila vittime, ma le ostilità erano diminuite di intensità e sembrava che la situazione nel Donbass si potesse annoverare tra i “conflitti congelati” che coinvolgono la Russia e il suo “vicino estero”.

L’escalation fra Ucraina e Russia coincide con l’avvicendamento alla presidenza americana. Durante la telefonata del 2 aprile il presidente Joe Biden ha rassicurato il collega Zelensky del fatto che gli Stati Uniti sono pronti ad appoggiarlo contro «l’aggressione russa». Biden ignora il fatto che il Cremlino non accetterebbe mai la strategia ucraina del «recupero e liberazione delle terre occupate dai russi». Il ministro degli Affari esteri russo, Sergej Lavrov, è stato chiaro, come sempre: «In caso di guerra l’esistenza dell’Ucraina è in dubbio». Mentre però Trump si era limitato a vendere armi da difesa all’Ucraina, ma aveva evitato di acuire lo scontro con la Russia, le azioni di Biden tralasciano qualsiasi forma di negoziazione. L’assenza del fattore “sorpresa”, gli elevati costi di una guerra, non solo economici e politici, ma anche di vite umane, e la grave situazione pandemica dovrebbero scongiurare il conflitto armato su vasta scala. Il comando Nato in Europa ha, però, dichiarato la massima allerta e alcuni analisti non escludono il pericolo di una Terza guerra mondiale con effetti dirompenti per i numerosi conflitti regionali latenti in diverse parti del mondo.

Il nazionalismo autoritario

Auspicando che si tratti solo di accuse e provocazioni per misurare le reazioni politiche delle parti in gioco, si possono avanzare alcune ipotesi sulle motivazioni alla base di questa intensificazione del conflitto. L’analisi della situazione politica interna ai due paesi è una buona base di partenza.

Come avevamo già raccontato in queste pagine, il “volto buono” del populista Zelensky si è trasformato in quello di un nazionalista/autoritario che deve affrontare una difficile situazione economica, il calo dei consensi del suo partito Servo del popolo e mancate riforme che costituiscono, secondo il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, un ostacolo all’adesione dell’Ucraina all’Alleanza. Nella Russia di Putin le elezioni parlamentari del prossimo settembre assumono un valore politicamente rilevante perché potrebbero veicolare le proteste dell’opposizione extraparlamentare per il “caso Navalnyj” e una crescente voglia di cambiamento. Putin gode ancora di buon consenso (è «forte, ma debole» nella definizione di Foreign Affairs), ma il richiamo “patriottico”, specie nei confronti dell’Ucraina considerata un nemico come gli Stati Uniti, potrebbe avere un effetto nell’opinione pubblica, riducendo l’impatto delle proteste e preparare la strada alle elezioni presidenziali del 2024.

La pista turca

Vi è un’altra ipotesi da non scartare che riguarderebbe la diffidenza di Putin nei confronti dei rapporti fra l’Ucraina e la Turchia.

Questi due stati costieri stanno, infatti, rafforzando le relazioni commerciali, religiose e diplomatiche, suscitando numerose perplessità del Cremlino e rafforzando la convinzione che non si può “perdere” l’Ucraina.

Se è plausibile che Zelensky e Putin intendano sfruttare la questione del Donbass per rafforzarsi sul piano interno, l’attenzione è da puntare sull’America di Biden. Come ha sottolineato Ted Galen Carpenter sulla rivista National Interest la mossa di Biden rammenta il ruolo che il presidente George W. Bush ebbe nel conflitto in Georgia del 2008. Bush sostenne a parole e con armi il presidente Mikhail Saakashvili insieme all’adesione della Georgia alla Nato (contrastata da Francia e da Germania), ma quando iniziò l’offensiva russa gli Stati Uniti fecero un passo indietro. Ora Biden potrebbe seguire la stessa strategia di Bush o portare avanti il suo impegno nei confronti dell’Ucraina con cui ha sempre avuto, anche come vice presidente, un rapporto amichevole e privilegiato.

In questo caso la presidenza di Biden si rivelerebbe ben più pericolosa di quella precedente per le gravi implicazioni militari.

Manca l’Unione europea

In questo quadro, manca ancora una volta una politica estera coesa dell’Unione europea che potrebbe rappresentare una elemento di equilibrio che oscilla tra il pragmatismo dei rapporti commerciali con la Russia e la condivisione dei valori occidentali e delle scelte di campo.

C’è, infine, un comune denominatore che coinvolge gli interessi economici di tutti gli attori in gioco: il gasdotto Nord Stream 2. Considerato un problema geopolitico per gli americani e politico-economico per gli ucraini e un’esigenza strategica per la Russia e fondamentale per la Germania, questo gasdotto potrebbe essere la vera posta in gioco di questo conflitto.

 

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