Evergrande potrebbe essere a un passo dal fallimento, mentre la leadership di Pechino è già alle prese con le grandi manovre in vista del XX Congresso del Partito comunista (autunno 2022): l’immagine di Xi Jinping rischia di essere intaccata dal crollo del principale colosso immobiliare di un paese, la Cina, la cui economia dipende ancora al 30 per cento dal mattone.

Ieri l’americana Fitch è stata la prima agenzia di rating a declassare sia Evergrande sia Kaisa, un’altra immobiliare, avendole giudicate entrambe insolventi su bond offshore, per 1,2 miliardi di dollari la prima, l’altra per 400 milioni di dollari. Per Fitch, Evergrande è da considerarsi in “default limitato”.

Ma la compagnia di Shenzhen – gravata da debiti per 317 miliardi di dollari – ha appena istituito un “comitato di gestione del rischio” che dovrebbe accompagnarla verso una drastica ristrutturazione pilotata dal governo.

Lo schema

Il nuovo organismo dovrà anzitutto approntare una valutazione accurata delle finanze del gruppo, operazione complicata dall’abilità nel nascondere i debiti del suo fondatore Xu Jiayin. Per questo motivo il comitato sarà presieduto dallo stesso Xu e composto da un altro manager interno più cinque dirigenti di aziende di stato, tra le quali Guangdong Holdings, il maggior veicolo d’investimenti del Guangdong (la provincia di Shenzhen) e China Cinda Asset Management.

Questo gruppo avrà funzioni esecutive, ma a controllarne le operazioni e ad avere l’ultima parola sulle decisioni saranno i funzionari governativi. L’autorevole giornale finanziario Caixin ha rivelato che venerdì scorso Xu è stato chiamato a rapporto proprio dal governo del Guangdong.

Le ultime stime hanno quantificato gli asset di Evergrande in 2.380 miliardi di yuan e i suoi debiti in 2.000 miliardi di yuan (317 miliardi di dollari). Secondo fonti del governo locale, i primi riscontri portano a concludere che è molto probabile che Evergrande dichiari fallimento.

Fase di difficoltà

Il piano del governo prevede invece la gestione delle attività di Evergrande (per il 60 per cento progetti immobiliari tuttora redditizi) da parte di aziende di stato tra le quali Guangdong Holding e Yuexiu Holdings. In un secondo momento lo stesso governo deciderebbe quali di queste attività andranno ristrutturate e quali vendute.

Mentre Evergrande ha altri bond in scadenza per circa 700 milioni di dollari tra la fine dell’anno e il mese prossimo, ieri governatore della banca centrale, Yi Gang, ha provato a rassicurare i mercati dichiarando che i diritti degli azionisti e dei creditori di Evergrande saranno «pienamente rispettati» in base alla loro anzianità legale e che il rischio causato da alcune società immobiliari cinesi non danneggerà il mercato dei capitali di Hong Kong, dove le azioni di Evergrande hanno perso l’87 per cento dall’inizio dell’anno.

La crisi di Evergrande si è avvitata in una fase di difficoltà per l’economia cinese nel suo complesso. Lunedì scorso l’Ufficio politico (il gruppo dei 25 top leader del Partito comunista) si è riunito alla vigilia della Conferenza economica – l’appuntamento nel quale vengono definite le politiche per l’anno a venire – e ha dichiarato ai media che, per la prima volta da diversi anni, «la priorità assoluta sarà data alla stabilità».

Ciò vuol dire che il partito è preoccupato per l’instabilità sociale che potrebbe scaturire da una situazione economica in via di peggioramento. I consumi ristagnano a causa dell’incertezza e delle chiusure per la pandemia, mentre le aziende non investono.

La ripresa è in ritardo

Una ripresa è prevista per la metà del 2022, ma intanto nel terzo trimestre il prodotto interno lordo è cresciuto del 4,9 per cento, in costante calo dopo il +7,9 per cento registrato nel secondo trimestre e il +18,3 per cento del primo.

Un calo che ha origine anche nel declino della domanda estera, anch’esso causato dalla pandemia. Ma sulla quale certo non ha influito positivamente il giro di vite nei confronti del mercato immobiliare e del settore hi-tech, voluto da Xi l’anno scorso, quando la congiuntura sembrava favorevole.

Intanto lunedì la Banca centrale ha tagliato di mezzo punto il tasso di riserva obbligatoria, liberando 188 miliardi di dollari nel sistema interbancario per sostenere l’economia. «Se la crescita rallenta più di quanto ci aspettiamo, prevediamo che il Pil aumenterà del 5,3 per cento nel 2022, allora è probabile che le autorità forniranno supporto fiscale, anche per la spesa in infrastrutture», ha affermato Martin Petch, vicepresidente e senior credit officer presso Moody’s Investors Service.

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