«Attenzione, attenzione, parla la polizia», ripete una voce minacciosa che rimbomba nei megafoni. «Toglietevi le maschere e allontanatevi con calma, altrimenti agiremo». Mercoledì sera, a una settimana dall’arresto del sindaco di Istanbul rivale di Erdogan, Ekrem Imamoglu, la polizia ha sgomberato fra arresti e gas lacrimogeno la folla radunata per protestare a Saraçhane, fra il comune e l’acquedotto romano. È la prima volta che avveniva a inizio serata, impendendo del tutto la manifestazione.

I tavoli dell’iftar (il pasto serale con cui si interrompe il digiuno quotidiano durante il mese di Ramadan, ndr) convocato dal partito di opposizione Chp per l’ora del tramonto, una forma di protesta più leggera, erano ancora apparecchiati. Poi gli agenti si sono posizionati a testuggine con grandi scudi di plastica e hanno sigillato la zona.

Ma per Ezgi Basaran, 44 anni, scrittrice ed accademica turca, non si tratta certo dell’inizio della fine della mobilitazione. Basaran insegna politica mediorientale all’università di Oxford. Fra i suoi libri Frontline Turkey: The Conflict at the Heart of the Middle East (Turchia in prima linea: il conflitto nel cuore del Medio Oriente) e The New Spirit of Islamism (Il nuovo spirito dell’islamismo).

Mercoledì dopo sei serate di protesta consecutive il Chp non ha convocato il raduno di Saraçhane, e i manifestanti spontanei sono stati cacciati. Solo sabato è prevista una nuova contestazione ufficiale. È un segnale di cedimento?

No, penso che sia naturale variare il repertorio di una contestazione. Sarebbe illogico aspettarsi una presenza in piazza costante, non sarebbe umanamente possibile. Da qui la decisione di cambiare tattica e spingere sul piano dei boicottaggi [nei confronti di esercizi commerciali ed entità filo-governative] annunciati dal leader del partito, Özgür Özel, che ha dimostrato di essere resiliente, di essere un buon oratore e di saper gestire una crisi. L’obiettivo è, sì, far uscire Imamoglu dal carcere, ma soprattutto quello di indire elezioni anticipate. E bisogna essere realisti, non sono cose che accadranno in tempi brevi. Quindi, per mantenere la pressione costante, è necessario trovare una strategia a lungo termine e diversificare il repertorio delle proteste.

I boicottaggi colpiscono marchi, librerie, centri commerciali. Fra i bersagli la televisione di Stato Trt, le caffetterie della catena Espresso Lab, la compagnia di viaggi Ets.

È una strategia efficace. Prenda l’esempio della catena EspressoLab, una specie di Starbucks locale che appartiene a familiari dell’ex sindaco di Istanbul dell’Akp, Kadir Topbaş. In tre giorni il loro giro d’affari è calato drasticamente. Hanno dovuto fare una dichiarazione annunciando di non avere affiliazione politica, dopodiché membri dell’Akp hanno fatto visite di solidarietà che dimostravano proprio il contrario.

Il boicottaggio non rischia di appesantire il clima ed essere pericoloso per l’economia?

Ciò che è pericoloso per l'economia è imprigionare il più temibile avversario politico e portare il livello di libertà in Turchia vicino allo zero. Adesso è evidente che non esista un sistema giudiziario libero, che la magistratura è totalmente politicizzata e viene usata come un’arma. Il giorno in cui Imamoglu è stato arrestato la banca centrale ha dovuto vendere miliardi di dollari per contrastare il crollo della lira. Quando le opportunità di protestare, di alzare la voce sono limitate, bisogna trovare altre soluzioni.

Alcuni hanno definito questa protesta storica, altri l’hanno sminuita dicendo che è solo studentesca, che cosa ne pensa?

No, non sono solo studenti. Ed è davvero importante se si ricorda che 10 anni fa ci sono state le proteste di Gezi Park, un’esperienza che è stata demonizzata dal governo e dallo stesso Erdogan. Da allora ci sono stati interrogatori, indagini, retate della polizia, casi giudiziari che continuano anni dopo in coda a quell’esperienza. Quindi la gente oggi sa che ci sarà un prezzo da pagare per il fatto di essere scesi in piazza. Malgrado ciò, in termini di partecipazione, la mobilitazione ha interessato due terzi delle città del paese. Sì, il governo li schiaccerà. Sì, la repressione sarà talvolta brutale e le cose peggioreranno prima di poter migliorare. Ma significa comunque molto.

Alcuni commentatori dicono che la mobilitazione avrebbe toni più nazionalisti rispetto a quelli progressisti di Gezi...

È troppo presto per tirare queste conclusioni. È naturale che queste proteste coinvolgano diversi gruppi, classi, segmenti culturali della società il cui comune denominatore è essere contro l’ingiustizia dell’arresto del sindaco. Non credo sia corretto dire che Gezi fosse più progresss. Voglio dire, anche a Gezi c’erano molte persone nazionaliste, ci sono state foto simbolo in cui le si vedeva di fianco a manifestanti dei movimenti curdi, l’uno accanto all'altro, mentre si nascondevano dietro un muro per sfuggire ai cannoni ad acqua. La protesta non mi sembra ideologica.

Cori come «siamo i soldati di Ataturk» a volte indispongono manifestanti delle minoranze, come curdi e armeni.

La parola chiave è tolleranza, anche per i sostenitori del Chp può non essere spiacevole vedere bandiere delle formazioni curde. Ma per il regime dividere il fronte della protesta è proprio la formula vincente. Cadere o meno in questa trappola avrà implicazioni importanti per il successo o il fallimento della mobilitazione.

È possibile il governo abbia avviato il dialogo con il Pkk prima della mossa dell’arresto di Imamoglu proprio per cercare di limitare la partecipazione curda alla protesta?

Non mi piacciono questo tipo di ricostruzioni, sottovalutano l’intelligenza del movimento curdo. E come avrebbe potuto Erdogan fare queste previsioni? In molti curdi, al contrario, hanno fatto sentire la propria voce. Il dialogo con la militanza curda è scaturito piuttosto dagli sviluppi in Siria.

Come mai il giro di vite contro Imamoglu è avvenuto adesso, a tre anni dalle prossime presidenziali?

Il Chp si è mosso per incoronare Imamoglu come suo unico candidato, un fatto che a Erdogan non piaceva. Anche il contesto globale appare favorevole al presidente: c’è un clima di impunità e autoritarismo senza precedenti, lo stesso presidente Usa si comporta come Erdogan. Netanyahu non la smette di uccidere. Chi vuoi che dica nulla se incarceri i tuoi rivali politici? È passata più di una settimana e Trump non ha aperto bocca, anzi proprio il giorno dopo la detenzione di Imamoglu ha detto che è aperto all'idea di riavviare le trattative per la vendita dei jet F35 alla Turchia.

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