I familiari degli ostaggi: «Netanyahu tradisce la memoria del 7 ottobre»

«Due anni, è incredibile. Due anni di guerra. Il governo israeliano ci ha tradito», dice Nissan Kalderon, 57 anni, residente del kibbutz Sufa, a un tiro di schioppo dalla città distrutta di Rafah nel sud della Striscia di Gaza. Suo fratello, Ofer Kalderon, è stato rapito dal kibbutz Nir Oz il 7 ottobre insieme ai suoi due figli: Saar e Erez. Nei tunnel ha incontrato due volte Yahya Sinwar, l’architetto del 7 ottobre: «Senti, non sono una persona cattiva», gli avrebbe detto il leader di Hamas, secondo quanto ha riferito ai parenti. «Voglio solo terra per la mia gente». I due bambini sono tornati durante il primo scambio, nel novembre 2023, dopo 52 giorni, mentre Ofer è tornato a inizio 2025, dopo 484. «Ci hanno mentito: ci hanno detto, non vi preoccupate, Hamas non vuole la guerra. Non vi preoccupate, potete dormire tranquilli. E noi ci abbiamo creduto», dice Kalderon, che quella mattina è scampato a un attacco dei miliziani sulla sua casa. Parla al telefono prima di mettersi in macchina in direzione Tel Aviv, dove ieri sera, al parco Hayarkon, si è svolta la grande cerimonia per il secondo anniversario del 7 ottobre organizzata del movimento per la liberazione degli ostaggi. I palestinesi? Portano solo guai. La doppia faccia dei paesi arabi La gaffe di Netanyahu «Due anni dopo 48 sono ancora lì, 48 e non 46», dice alludendo alla gaffe di Netanyahu, che in un’intervista ha sbagliato il numero degli ostaggi ancora prigionieri a Gaza. Kalderon, che di professione fa il contadino, racconta di vivere ancora da sfollato perché a Sufa il rumore della guerra risulta assordante. E dice che proprio quel rumore dimostra come Bibi non abbia l’atteggiamento giusto per assicurare la buona riuscita dei negoziati con Hamas in Egitto. «Anche se adesso dicono di voler fare l’accordo, è da stamattina che sento aerei ed elicotteri israeliani che bombardano la Striscia di Gaza», racconta, criticando Netanyahu. «Anche se dicono che vogliono un cessate il fuoco, non sta avvenendo. Oggi è una giornata davvero difficile». Come quasi tutti all’interno del movimento per la liberazione degli ostaggi, Kalderon è risentito con Netanyahu per il fatto che durante la guerra non ha aperto un vero canale di dialogo con le famiglie. Kalderon racconta di aver incontrato quattro volte Emmanuel Macron, grazie alla cittadinanza francese di suo fratello. «Netanyahu invece non si è mai fatto vivo con noi», dice. «Ci ha abbandonato il 7 ottobre, mandando le truppe in Cisgiordania a proteggere i coloni e lasciando sguarnita Gaza. E poi sacrificando gli ostaggi alla sua convenienza politica. Se oggi qualcosa si muove, è solo grazie a Trump», conclude. Israeliani che difendono palestinesi. «Da dove viene tutta questa violenza?» Anche la sua coetanea, Efrat Machikawa, che sta ancora aspettando amici rapiti dal kibbutz Nir Oz, dice di sentirsi tradita da Netanyahu. «Fino a quando non vedremo gli ostaggi, non credo né a Bibi né alla controparte, credo solo al presidente Trump», dice la professoressa universitaria esperta di negoziati internazionali e coesistenza, ex attaché culturale israeliana in Giappone. Sei suoi parenti sono stati rapiti: una è rimasta uccisa, quattro sono tornati a novembre, e l’ultimo, Gadi Moses, il più anziano fra gli ostaggi ad essere sopravvissuto, è tornato nell’ultimo accordo, il febbraio scorso, dopo 482 giorni. Machikawa ci tiene a dire di essere in pensiero per la trasformazione dell’opinione pubblica italiana, e di come le violenze di Netanyahu a Gaza, a suo parere, rischino di far dimenticare nel nostro paese la sofferenza patita dalla sua gente in Israele. «Il gruppo di persone di cui faccio parte, familiari degli ostaggi e altri israeliani preoccupati, fa appello alla pace e all’umanità fin dall’inizio, già nei primi mesi abbiamo cercato di far arrivare medicine a Gaza», sostiene. «Noi vediamo, sentiamo il dolore, gli italiani possono essere contro Netanyahu, ma non devono essere contro di noi», dice. Storia di Nezek, l’eroe schivo. «Ma ora non devasterei Gaza» Le parole del presidente Martedì a confortarla è arrivato il messaggio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. «Il 7 ottobre del 2023 rimane e rimarrà nelle coscienze come una pagina turpe della storia: un vile attacco terroristico che avvenne contro inermi cittadini israeliani, recando grave danno alla causa della pace e della reciproca sicurezza in Palestina», ha detto. Quanto avviene a Gaza, ha continuato, non «attenua orrore e condanna per la raccapricciante ed efferata violenza consumata quel giorno da Hamas», violenza che «richiama al dovere di una condanna perenne, rifiutando un accomodante e cinico modo di pensare che rimuova l'infamia di quella giornata». Come per Kalderon e tutti gli altri familiari, per Machikawa il secondo anniversario del 7 ottobre è tempo di cerimonie. Lunedì sera è stata al cimitero di Nir Oz, nel villaggio ancora distrutto e disabitato. Ieri sera invece si è recata a Kyriat Gat, dove tutta la comunità è sfollata, per un altro raduno di commemorazione. Secondo Machikawa Bibi avrebbe potuto salvare 42 israeliani che sono morti durante la prigionia a Gaza, accordandosi con Hamas in tempi più brevi. «Netanyahu è anche responsabile per il fatto che nessuno sia intervenuto a Nir Oz», dice. «Il villaggio è stata conquistato completamente per dieci ore dai terroristi. E quando l'esercito è arrivato, non c'era più nessuno. Hanno preso tutto. Hanno bruciato tutto. Hanno distrutto tutto. Nir Oz, non so se ci sei stato, sembra un inferno». Israele perde la testa e attacca anche Parolin. «Mina gli sforzi di pace»