Il presidente Ukhnaagiin Khurelsukh ha dato il via libera a Power of Siberia 2, il gasdotto lungo 2.600 chilometri che, passando per la sua Mongolia, dalla penisola di Yamal (nella Siberia occidentale) raggiungerà la Cina, grazie al quale Gazprom punta a rimpiazzare Nord Stream 2.

Quest’ultimo progetto, sostenuto a lungo dalla Germania, è stato cancellato in seguito all’invasione russa dell’Ucraina.

Power of Siberia 2, la cui costruzione inizierà nel 2024, è stato al centro del vertice trilaterale tra Khurelsukh, Xi Jinping e Vladimir Putin che si è svolto l’altro ieri a margine del XXII summit della Shanghai cooperation organization a Samarcanda, in Uzbekistan. I tre presidenti si sono accordati anche per la creazione di un corridoio economico Cina-Mongolia-Russia nell’ambito della nuova via della Seta.

Il ministro dell’energia russo, Alexander Novak, ha dichiarato che per Mosca Power of Siberia 2 sostituisce Nord Stream 2 e che il suo governo firmerà presto un accordo per la fornitura alla Cina di «50 miliardi di metri cubi di gas all’anno» attraverso Power of Siberia 2, la cui entrata in funzione è prevista per il 2030.

La capacità del nuovo gasdotto asiatico si avvicinerà molto a Nord Stream 1 che, prima di essere chiuso il 2 settembre scorso, portava dalla Russia in Europa (attraverso la Germania) 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno. L’altro ieri l’agenzia russa Tass ha confermato la «totale sospensione» dell’erogazione attraverso Nord Stream 1, «fino a quando saranno riparate le parti danneggiate».

L’abbandono di Nord Stream 2 e l’avvio di Power of Siberia 2 è emblematico della svolta asiatica impressa da Putin alle relazioni internazionali di una Russia sempre più legata alla Cina.

Rapporti difficili

I rapporti energetici (così come quelli politici) tra Mosca e Pechino però non sono stati sempre facili. Nel 1994 gli allora presidenti Jiang Zemin e Boris Eltsin firmarono un accordo che naufragò dieci anni dopo, quando dalle parole si passò ai fatti: i cinesi volevano pagare 200 dollari per mille metri cubi, ma i russi ne pretendevano 350 (lo stesso prezzo praticato allora agli europei).

Nel 2014, due mesi dopo l’arrivo delle sanzioni occidentali per l’invasione e l’occupazione della Crimea, la russa Gazprom e China national petroleum corporation (Cnpc) siglarono un contratto trentennale di fornitura di gas per un valore di 400 miliardi di dollari.

Così nel 2015 ebbe inizio la costruzione di Power of Siberia 1, 3mila chilometri di lunghezza, dalla Jacuzia (Siberia orientale) alla provincia dello Heilongjiang, nel nordest della Cina. Entrato in funzione nel dicembre 2019, entro il 2025 l’impianto dovrebbe essere in grado di trasportare in Cina fino a 38 miliardi di metri cubi di gas all’anno.

Ridurre le emissioni

Ma quale sarà d’ora in avanti il bisogno effettivo della seconda economia del pianeta, che nei prossimi anni dovrebbe puntare sempre di più sul gas per ridurre l’utilizzo del carbone, principale fonte i emissioni di anidride carbonica? Mentre è evidente che Mosca ha una gran fretta di vendere, quanta urgenza ha davvero Pechino di comprare un mare di gas?

Nel febbraio scorso Pechino si è accordata con Mosca per acquistare gas anche dall’Isola di Sakhalin che, attraverso il Mar del Giappone, arriverà sempre nello Heilongjiang, e che dovrebbe raggiungere un flusso di 10 miliardi di metri cubi all’anno intorno al 2026.

Attualmente la Cina compra il gas russo a 360 dollari per mille metri cubi, contro i 320 dollari che paga per quello proveniente dal Kazakistan e dal Turkmenistan. Con quest’ultimo paese centro-asiatico sta negoziando un ennesimo gasdotto (il Central Asia–China Gas Pipeline D) che raggiungerà la Cina dopo aver attraversato il Tagikistan e il Kirghizistan e dovrebbe fornire 25 miliardi di metri cubi all’anno per 30 anni.

E poi ci sono i contratti in essere per la fornitura di gas naturale liquefatto (Gnl) con Qatar, Stati Uniti e le major globali dell’energia, per 42 milioni di tonnellate all’anno di Gnl.

«Ci sembra difficile che Power of Siberia 2 possa concretizzarsi prima del 2030, poiché la Cina si è già assicurata forniture sufficienti fino a quella data», ha spiegato alla Reuters un esperto del settore con sede a Pechino, che ha chiesto di rimanere anonimo. «Sarà una negoziazione estremamente complessa che potrebbe richiedere anni, poiché comporta enormi rischi politici, commerciali e finanziari», ha concluso.

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