La tregua a Gaza è conclusa da venerdì mattina e sulla Striscia piovono di nuovo i missili d’Israele. Si ritorna al conflitto dopo quasi una settimana di pausa umanitaria. Da una parte il governo di Tel Aviv è riuscito a portare a casa decine e decine di ostaggi grazie alle mediazioni di Qatar ed Egitto. Dall’altra, Hamas ha riportato a casa un centinaio di prigionieri palestinesi. Nella Striscia sono entrati decine di camion con aiuti umanitari, ieri altri 55 autocarri hanno oltrepassato il valico di Rafah. Cinquanta di loro trasportavano cibo e medicine, gli altri il carburante necessario per far vivere la popolazione e mantenere in funzione gli ospedali in vista di una nuova ondata di sangue.

Ora, però, non è più tempo per la tregua. La speranza degli ultimi giorni è stata affossata ieri quando da Tel Aviv il capo del Mossad David Barnea ha ordinato alla sua squadra a Doha dove stavano svolgendo le trattative di tornare in Israele. «L’organizzazione terroristica Hamas non ha rispettato la sua parte dell'accordo, che prevedeva il rilascio di tutti i bambini e le donne secondo una lista trasmessa ad Hamas e da questa approvata», ha detto il capo del Mossad. Resta da capire quali saranno le sorti dei 136 prigionieri israeliani ancora nelle mani di Hamas e della Jihad islamica. Proprio per questo il Forum delle famiglie degli ostaggi e dei dispersi del 7 ottobre ha chiesto ieri un incontro con il gabinetto di guerra. Vogliono sapere quali sono le prossime mosse, vista la fine della tregua e la ripresa dei combattimenti, per riportare gli ostaggi in Israele.

Macron in Qatar

Mentre il Mossad si ritira dai negoziati, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che incontrerà lo sceicco del Qatar Tamim ben Hamad Al-Thani. I due terranno una cena per cercare di non far morire i negoziati e portare a una tregua duratura. «La giusta risposta contro un gruppo terroristico non è eliminare un intero territorio o bombardare i civili», ha detto ieri Macron.

Il capo dell’Eliseo è convinto che la «sicurezza» di Israele non può essere garantita se «ciò avviene a costo delle vite palestinesi». Inoltre, secondo Macron, l’obiettivo annunciato da Benjamin Netanyahu, ovvero l’annientamento di Hamas, è irrealistico. Servirebbero dieci anni secondo il presidente francese per “neutralizzare” il gruppo terroristico.

Sul conflitto è intervenuta da Dubai anche la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris. Gli Stati Uniti vogliono «vedere una Gaza e una Cisgiordania unificate sotto l’Autorità nazionale palestinese», ha detto Harris. Per questo L’Anp «deve essere rafforzata per assumersi responsabilità in materia di sicurezza a Gaza».

Ma il clima è teso. Ieri il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha detto che per ora non ci sono speranze per arrivare alla pace. «Le possibilità di pace a Gaza dopo la pausa umanitaria sono per ora perse a causa dell’approccio intransigente di Israele», ha dichiarato Erdogan all’emittente televisiva Ntv. Immediata la risposta del ministro degli Esteri Ely Cohen. Su Twitter Cohen ha scritto: «L’organizzazione Hamas-Isis cesserà di esistere a Gaza, libereremo Gaza da Hamas, per il bene della sicurezza di Israele e per creare un futuro migliore agli abitanti della regione». E ha aggiunto: «La vostra presidenza potrà poi accogliere nel suo paese i terroristi di Hamas che non siano stati eliminati e che siano fuggiti da Gaza».

Gli attacchi nella notte

Stando a quanto riferito da Hamas dalla fine della pausa umanitaria sono morte circa trecento persone nella Striscia di Gaza. L’esercito israeliano ha annunciato di aver colpito 400 obiettivi nella Striscia, molti dei quali a Khan Younis nel sud. I media statali siriani hanno riferito di attacchi israeliani vicino a Damasco. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, un gruppo di attivisti con sede nel Regno Unito, nell’attacco sono morti due combattenti siriani e due Pasdaran iraniani.

Contestazioni

Sembrava che lo scoop del New York Times, secondo cui l’intelligence israeliana sapeva già da un anno che Hamas stava progettando un piano di attacco senza precedenti, fosse passato in sordina. Ma non è così. In Israele c’è chi ha chiesto ieri spiegazioni al premier Benjamin Netanyahu. Un gruppo di manifestanti ha organizzato un sit-in di protesta di fronte l’abitazione del premier a Cesarea. Hanno chiesto le sue dimissioni accusandolo di essere responsabile degli attacchi del 7 ottobre. I manifestanti sono stati immediatamente allontanati dalla polizia, sei di loro sarebbero in stato di arresto come riporta il Times of Israel citando gli organizzatori della protesta. Secondo le forze dell’ordine non avevano l’autorizzazione per manifestare.

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