Droni su Taiwan, Tokyo alza i jet e Pechino è nervosa

I jet giapponesi si sono levati in volo per intercettare un sospetto drone cinese tra l’isola di Yonaguni e Taiwan. L’incidente è avvenuto sabato ma è stato rivelato lunedì 17 novembre dal ministero della difesa di Tokyo. Si tratta dell’ultimo episodio di un’escalation che negli ultimi giorni ha aperto una crisi diplomatica tra la Cina e il Giappone. Tutto è iniziato il 7 novembre, con un discorso in parlamento di Sanae Takaichi, nel quale la neo premier ultraconservatrice ha dichiarato che, nell’eventualità di uno scontro tra la Repubblica popolare cinese e Taiwan, «se ciò comporta l’impiego di navi da guerra e azioni militari, potrebbe a tutti gli effetti trasformarsi in una situazione minacciosa per la sua sopravvivenza, in cui il Giappone potrebbe ricorrere all’uso della forza per difendersi». Gli Usa si portano via i chip di Taiwan. E la Cina gode Pacifismo addio Ipotizzando un intervento militare del Giappone a difesa di quella che Pechino considera una sua provincia (occupata dal Giappone dal 1895 al 1945) la leader del partito liberaldemocratico ha scavalcato il principio al quale si attengono sia il suo paese sia gli Usa, la cosiddetta «ambiguità strategica». Takaichi ha fatto un clamoroso pasticcio all’esordio del suo governo? Donald Trump, nella sua recente visita a Tokyo, l’ha definita una «persona deliziosa», con la quale rafforzare l’alleanza politico-militare tra i due paesi. È possibile che su una questione delicata come Taiwan una politica con dieci legislature alle spalle come Takaichi faccia una simile frittata? Soprattutto, dopo che negli incontri dei mesi scorsi il governo cinese ha ripetutamente avvertito quello dell’alleato statunitense di non superare le “linee rosse” su Taiwan. Come che sia, dopo la convocazione dell’ambasciatore, al quale Pechino ha comunicato le più dure rimostranze «da parte della leadership», sono arrivate anche le «forti proteste» di Tokyo riguardo a un post del console generale cinese a Osaka, Xue Jian, che aveva scritto su X che «la testa sporca … deve essere tagliata». E lunedì è sbarcato nella capitale cinese Masaaki Kanai, il diplomatico inviato dalla premier per avviare una ricucitura. La Linea di Tokyo è che le parole, in realtà inequivocabili, della leader ultranazionalista sono state fraintese. Difficile che Pechino possa accontentarsi di una simile spiegazione. Altrettanto improbabile che ottenga le scuse di Takaichi, che ha il sostegno dell’opinione pubblica e che non ha ritrattato un’esternazione che riflette la strategia di un Giappone post-pacifista, che vuole tornare a far sentire nella regione anche le sue armi, perché è spaventato dall’ammodernamento dell’Esercito popolare cinese. Atomica, la rincorsa di Xi: gli spintoni trumpiani accelerano il riarmo Propulsione nucleare D’altro canto la Cina teme il rafforzamento delle alleanze tra gli Usa e i suoi partner asiatici. Washington ha già dato l’ok ai sottomarini a propulsione nucleare per la Corea del Sud (dopo l’Australia) e il Giappone potrebbe essere il prossimo. Secondo quanto anticipato dai media nipponici, oggi Kanai chiarirà che Takaichi non ha modificato la posizione di Tokyo così come stabilita nel comunicato congiunto del 1972 con Pechino. In quel documento, il Giappone «riconosce la Repubblica Popolare Cinese come unico governo legittimo della Cina» e «comprende pienamente e rispetta» quella di Pechino secondo cui «Taiwan è una parte inalienabile del territorio della Repubblica Popolare Cinese». Oltre che con le proteste diplomatiche, Pechino ha reagito inviando la guardia costiera vicino alle isole contese nel Mar cinese orientale e scatenando la rappresaglia economica. Il governo ha fatto sapere che il Giappone non sarebbe un paese sicuro, bloccando così i viaggi di gruppo organizzati dai tour operator in occasione del capodanno cinese (il 17 febbraio), una risposta che potrebbe costare cara all’economia nipponica. Insomma una risposta ultra muscolare a una dichiarazione, per far capire, anche a Washington, che su Taiwan la Cina non è disposta ad arretrare di un millimetro. Chip e Ia, corsa all’autosufficienza: così l’embargo Usa ha aiutato Pechino E lunedì l’organo ufficiale del partito comunista, il Quotidiano del popolo, ha esortato le nazioni asiatiche a restare «in massima allerta» di fronte al potenziale «pericoloso» orientamento strategico del Giappone, tracciando un paragone tra Takaichi e il militarismo imperiale nipponico. La propaganda cinese – che già aveva celebrato con la gigantesca parata dio Pechino gli 80 anni della liberazione dal Giappone – negli ultimi giorni si è letteralmente scatenata sui social. La Cina non si fida di un Giappone che si riarma e vuole dire addio alla costituzione pacifista perché ha paura della Cina, che a sua volta teme il rafforzamento delle alleanze Usa nell’area (Giappone, Corea del Sud e Filippine). L’ascesa economica e militare della Cina sta alterando nel Pacifico l’equilibrio ereditato dalla fine della Seconda guerra mondiale. E Taiwan è la gigantesca mina che potrebbe farlo definitivamente saltare in aria.