Da 73 giorni la popolazione scende in piazza, sfidando il governo del partito Sogno Georgiano, accusato di aver fatto scivolare il paese in orbita russa e in un autoritarismo sempre più sfacciato. Ma la Farnesina sembra adottare un approccio realista riguardo Tbilisi
Due mesi e mezzo. Da oltre 70 giorni la popolazione georgiana scende in piazza per protestare contro il governo del partito Sogno Georgiano, accusato di aver fatto scivolare il paese in orbita russa e in un autoritarismo sempre più sfacciato dopo le contestate elezioni di ottobre.
Anche se la partecipazione è più altalenante rispetto alle proteste post voto e a quelle di fine novembre, scaturite dopo l’annuncio del premier Irakli Kobakhidze di sospendere i negoziati per l’adesione all’Unione europea, sono comunque migliaia le persone che affollano ogni sera le strade di Tbilisi e di altre città.
Proteste e repressione
In questi mesi i manifestanti hanno sfidato una repressione crescente da parte delle forze dell’ordine e delle squadracce di uomini, vestiti di nero e con passamontagna, che danno man forte alla polizia. Le aggressioni condotte da queste gang contro chi protesta proseguono, così come gli arresti che in totale sono quasi 500. Tra i fermati, molti hanno denunciato di essere stati malmenati e una cinquantina sono ancora detenuti. Il pugno delle autorità è sempre più duro.
La settimana scorsa, durante una manifestazione antigovernativa particolarmente partecipata, in migliaia hanno cercato di bloccare l’ingresso di un’autostrada a nord della capitale. Sono scattati subito gli arresti violenti. A finire in manette semplici manifestanti ma anche leader politici dell’opposizione, come quello del partito liberale Akhali, Nika Melia, ed esponenti di rilievo nel fronte dei dissidenti, come l’ex sindaco di Tbilisi Gigi Ugulava. Portati via a forza ed entrambi rilasciati dopo qualche ora, rischiano fino a quattro anni di prigione.
Le nuove leggi contro i manifestanti
Se la repressione si manifesta nelle strade, è in altre sedi che viene decisa: cioè nelle istituzioni dirette da Sogno georgiano. Il parlamento di Tbilisi, infatti, è in mano al partito dell’oligarca Bidzina Ivanishvili. Le tre forze principali di opposizione, Movimento nazionale, Coalizione per il cambiamento e Georgia Forte, non riconoscendo il risultato delle elezioni da ottobre, disertano l’aula. E mercoledì scorso, il mandato dei loro 49 eletti è stato revocato dal parlamento. Quindi l’Aula è passata da 150 a 101 membri. Gli unici veri oppositori che rimangono, pur non partecipando ai lavori, sono i 12 esponenti del partito Per la Georgia, non contando alcuni parlamentari che si sono staccati da Sogno georgiano per creare una presunta opposizione.
Negli ultimi giorni l’Aula ha approvato dei provvedimenti che inaspriscono le norme su manifestazioni e assembramenti, aumentando le sanzioni amministrative, ma anche le pene per atti di vandalismo o per resistenza a pubblico ufficiale, oltre a essere limitate le aree dove poter protestare. La libertà per il dissenso in Georgia viene quindi erosa sempre più. L’allarme lo ha lanciato anche Marta Kos, commissaria Ue per l’Allargamento: «Le modifiche legislative comprometteranno ulteriormente i diritti dei cittadini alla libertà di espressione e di riunione».
Ma la stretta governativa non si ferma. Il capogruppo di Sogno georgiano in Parlamento, Mamuka Mdinaradze, ha preannunciato un provvedimento che mira a colpire la società civile e i legami di attivisti, ong e altri enti con attori stranieri. A detta del governo, la nuova bozza di legge copierà il ‘Fara’ (Foreign agents registration act) americano, ma secondo gli oppositori sarà un rafforzamento della cosiddetta “legge russa”, che già aveva causato proteste nel 2024.
Media sotto attacco
Il governo vuole poi adottare un provvedimento per «stabilire standard per l’obiettività dei media e l’etica giornalistica», oltre a restringere la possibilità per siti e testate di ricevere finanziamenti dall’estero. «In Georgia il sistema dei media non è autosufficiente, avendo un mercato piccolo e con problemi economici. Molti media online sono particolarmente dipendenti dai fondi esteri. Senza di quelli sarà impossibile per loro sopravvivere», ha raccontato a Domani Anna Gvarishvili, giornalista georgiana e voce critica.
Che le autorità di Tbilisi vogliano minare la libertà di stampa ormai sembra assodato. Secondo Reporters sans frontières, dal 28 novembre scorso fino al 19 dicembre, più di 70 cronisti hanno subito attacchi: aggressioni, arresti violenti o danni ai propri strumenti di lavoro. Anche in questo inizio 2025 le intimidazioni non sono mancate e il numero di giornalisti colpiti è salito a 90.
L’11 gennaio a Batumi, durante una manifestazione, la giornalista Mzia Amaglobeli è stata arrestata due volte nel giro di poche ore. La prima dopo aver attaccato un poster adesivo fuori da una stazione di polizia. Rilasciata quasi subito con accuse amministrative, la 49enne fondatrice di due testate web, Batumelebi e Netgazeti, è rimasta in piazza, mentre le forze di sicurezza hanno iniziato ad arrestare altre persone. Dopo alcuni insulti, Amaglobeli ha dato uno schiaffo al capo della polizia di Batumi e a quel punto è scattato il secondo arresto. Ora rischia una detenzione dai quattro ai sette anni.
Il suo caso è esploso in Georgia, anche perché la giornalista in carcere ha iniziato uno sciopero della fame, sfidando quello che chiama a tutti gli effetti un regime: «Non giocherò secondo le sue regole», ha scritto in una lettera. Le sue condizioni di salute sono peggiorate al punto da rendere necessario il ricovero in ospedale.
L’iniziativa italiana e l’approccio con la Georgia
La vicenda ha oltrepassato i confini georgiani. Michael O’Flaherty, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, ha incontrato Amaglobeli in carcere, così come diverse ambasciate straniere in Georgia ne hanno chiesto il rilascio. A interessarsi è stata anche la missione italiana.
L’ambasciatore a Tbilisi Massimiliano D’Antuono ha infatti incontrato la ministra degli Esteri Maka Botchorishvili. Oltre a discutere delle relazioni tra i due paesi, il diplomatico ha sollevato il caso di Amaglobeli, come riferito dal ministro Antonio Tajani in audizione alle commissioni Esteri di Camera e Senato. Pochi giorni dopo, per bilanciare, l’ambasciatore D’Antuono ha incontrato anche i familiari di alcuni dimostranti arrestati.
L’accusa che viene mossa al governo italiano però è di aver dato legittimità al governo di Sogno georgiano, rompendo quel fronte europeo che – Ungheria e Slovacchia escluse – è rimasto ambiguo sul riconoscimento dell’esito elettorale e del governo Kobakhidze e che vorrebbe imporre sanzioni a Tbilisi.
Il senatore di Azione Marco Lombardo ha spiegato a Domani che il pericolo è proprio «la fuga in avanti» di un’Italia che «dovrebbe compattare il fronte europeo, non dividerlo». «Siamo sicuri che questo sia un modo per favorire la prospettiva europea del popolo georgiano?» si domanda Lombardo, che ha depositato un’interrogazione parlamentare per chiedere al ministro degli Esteri i motivi dietro tale iniziativa.
È Tajani che ha spiegato la posizione di Roma: bisogna «mantenere canali di interlocuzione, anche critica, con le autorità di Tbilisi», pur chiedendo «chiarezza sulle irregolarità del voto» e «consapevoli» dei passi indietro della Georgia nel percorso europeo. Insomma, l’Italia si vuole tenere in equilibrio, anche perché in realtà il fronte Ue non è compatto.
Altri diplomatici occidentali, come britannici e austriaci, hanno avuto vertici con Tbilisi. E dalla Farnesina trapela scetticismo sulla possibilità di nuove elezioni nel paese, così come di sanzioni a livello europeo. Quindi tanto vale parlare con chi è al potere, non adottare atteggiamenti paternalistici e cercare di non farlo scivolare verso la Russia. Realismo politico, viene definito. Ma intanto la repressione continua.
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