Il vertice bilaterale tra Italia e Turchia ha segnato un’ulteriore vittoria per Recep Tayyip Erdogan in uno degli ambiti su cui il presidente ha maggiormente investito negli ultimi anni: quello della difesa. Tra gli accordi firmati ad Ankara vi è infatti anche quello sulla protezione delle informazioni del settore bellico, un tassello fondamentale per rafforzare ulteriormente la cooperazione in un ambito considerato particolarmente strategico da entrambe le parti.

La Turchia rappresenta prima di tutto un importante mercato di sbocco per l’export italiano, che ha segnato un record nel biennio 2018-2020, ma i rapporti con il paese anatolico vanno oltre le semplici esportazioni. La fabbrica di armi Beretta ha uno stabilimento a Istanbul e produce munizioni su licenza del ministero della Difesa turco, mentre la Leonardo, che ha una sede anche ad Ankara, subappalta le proprie produzioni militari alla Onuk-Bg Defence Systems Research, oltre ad aver venduto anni prima alla Turkish Aerospace Industries le licenze per gli elicotteri da guerra T-129 Atak, usati nel 2018 per attaccare il Rojava.

Ma gli accordi siglati con il premier Mario Draghi sono solo l’ultima di una serie di successi che il presidente turco ha collezionato nel giro di pochi mesi nel settore della difesa.

Gli embarghi

Solo pochi giorni fa Erdogan ha ottenuto la fine dell’embargo sull’export militare imposto nel 2019 da Svezia e Finlandia, aprendo in cambio all’adesione dei due paesi scandinavi all’Alleanza atlantica. Di per sé il ripristino delle esportazioni belliche verso la Turchia non avrà un impatto significativo sulle capacità militari del paese anatolico, ma il passo indietro di Helsinki e Stoccolma rafforza la posizione turca sul piano internazionale. L’embargo tra l’altro era stato deciso in risposta all’operazione Sorgente di pace diretta contro i curdi del Rojava, usati nuovamente come moneta di scambio nelle trattative per l’allargamento della Nato.

Ma a fare gli interessi dell’industria bellica turca è ancora di più la ripresa delle esportazioni dalla Gran Bretagna. A maggio Londra ha eliminato tutte le restrizioni imposte all’export militare nel 2019, ripristinando così anche quei rapporti di cooperazione industriale con la Turchia che erano stati sospesi negli ultimi anni. Tra questi, il più importante è quello siglato con l’azienda Rolls Royce, che dovrebbe fornire ad Ankara il motore per il primo jet autoctono, il TF-X. La realizzazione del primo caccia made in Turchia sarebbe non solo una buona notizia per l’aviazione nazionale, ma rappresenterebbe anche un importante passo in avanti verso la totale autonomia dell’industria della difesa turca, uno degli obiettivi di lungo periodo del presidente Erdogan.

In attesa dei TF-X, però, la Turchia ha bisogno di ammodernare la propria aeronautica. Gli F-16 di produzione americana di cui dispone attualmente diventeranno obsoleti nel giro di pochi anni, ma il Congresso americano non ha ancora deciso se autorizzare o meno la vendita di nuovi caccia al governo turco. Ad approfittare della situazione potrebbe però essere l’Europa. Londra sta infatti premendo per vendere ad Ankara gli Eurofighter, i caccia di quinta generazione nati dalla collaborazione tra diverse industrie europee, inclusa la Leonardo.

Data la presenza dell’azienda italiana nel progetto, la vendita dei caccia europei alla Turchia deve ricevere anche l’assenso dell’Italia, ma dopo la sigla degli accordi di Ankara è difficile immaginare un qualche tipo di opposizione da parte di Roma. Per la Turchia, gli Eurofighter sarebbero un ottimo sostituto degli F-16, ma la partita per i caccia americani è ancora aperta, soprattutto dopo l’ultimo endorsement del presidente Joe Biden arrivato nei giorni scorsi.

Il Samp/T

Gli accordi siglati con l’Italia rappresentano per la Turchia anche un avanzamento verso l’acquisto del sistema di difesa anti-missilistico Samp/T, la cui realizzazione era stata affidata nel 2017 al consorzio italo-francese Eurosam.

Ankara aveva optato per il Samp/T in mancanza di un accordo per l’acquisto dei Patriot americani, ma il veto posto successivamente dalla Francia aveva fatto saltare l’accordo. Dal punto di vista politico, a spingere Parigi a bloccare la vendita del sistema anti-missilistico era stata da una parte l’operazione lanciata nel 2019 dalla Turchia contro i curdi del Rojava, dall’altra l’aumento della tensione nel Mediterraneo orientale con la Grecia, a cui la Francia ha offerto il suo sostegno nella contesa per il Mare nostrum.

Ma a rendere complessa la vendita del Samp/T era anche l’assenza di un quadro legislativo che tutela il know-how europeo e lo scambio di informazioni sensibili in materia di difesa. Questo specifico problema però è stato superato in occasione del bilaterale tra Draghi ed Erdogan, aprendo pertanto la strada a un nuovo accordo trilaterale per la fornitura alla Turchia del sistema anti-missilistico europeo.

La Russia

L’acquisto del Samp/T sarebbe tra l’altro una cattiva notizia per la Russia. Il sistema prodotto in Europa andrebbe a sostituire gli S-400, eliminando così uno dei principali motivi di attrito nelle relazioni tra Ankara e Washington. La scelta turca di dotarsi del sistema russo ha infatti causato diversi problemi alla Turchia, che ha dovuto fare i conti anche con le sanzioni imposte dagli Usa contro l’agenzia governativa che si occupa dell’acquisto di armamenti. Le restrizioni americane hanno quindi messo in difficoltà l’industria militare nazionale e ritardato il raggiungimento dell’autonomia nel settore bellico, infliggendo un duro colpo ai sogni del presidente Erdogan.

La guerra in Ucraina e la ritrovata centralità della Turchia nel quadro internazionale però giocano a favore di Erdogan, ancora una volta abile nello sfruttare le situazioni di crisi per il proprio tornaconto. Riuscendo in questo caso a legarsi ancora di più l’Europa e tutelando il proprio potere.

© Riproduzione riservata