I funerali di Jiang Zemin, l’ex segretario del Partito comunista cinese morto l’altro ieri all’età di 96 anni, dovrebbero svolgersi martedì 6 dicembre nella grande sala del popolo di Pechino.

A Shanghai – che godette di particolari attenzioni e ingenti finanziamenti durante l’era Jiang (1989-2022) – in questi giorni di lutto potrebbero esplodere nuove proteste, dopo quelle dello scorso fine settimana contro la politica “contagi zero” e il presidente Xi Jinping.

Come altre metropoli della Cina, Shanghai è militarizzata: le aree centrali sono presidiate giorno e notte da centinaia di poliziotti, mentre le università ordinano agli studenti di lasciare i campus, ufficialmente per limitare la diffusione dei contagi, in aumento in tutto il paese.

Sun Chunlan, la vicepremier delegata a coordinare la risposta all’epidemia, ha aperto a un cambiamento dell’inflessibile politica fin qui seguita.

«Stiamo affrontando una nuova situazione e nuovi compiti man mano che la patogenicità del virus Omicron diminuisce, la vaccinazione diventa più diffusa e aumenta l’esperienza nella prevenzione e nei controlli», ha dichiarato l’altro ieri Sun.

Gli studenti hanno chiesto la fine della politica “contagi zero”. Il governo ricorre a ogni espediente nel tentativo di depotenziare la protesta.

La tv di stato che trasmette i mondiali del Qatar non inquadra il pubblico per nascondere che nell’emirato non indossano mascherine.

Migliaia di bot hanno inondato Twitter di contenuti relativi a prostitute, porno e scommesse con gli hashtag della protesta, in modo che chi cerca informazioni sulle manifestazioni si ritrova su ben altra strada.

Nonostante ciò, Zhou Fengsuo ritiene che la rete sia il terreno della lotta, quello in cui gli studenti stanno prendendo coscienza e lo strumento grazie al quale metteranno in crisi il regime.

Zhou è uno dei leader del movimento di piazza Tiananmen del 1989. Cresciuto in un sobborgo di Xi’an, nella primavera 1989 era all’università pechinese Tsinghua, dove promosse l’elezione diretta delle rappresentanze studentesche.

Dopo la repressione del 4 giugno divenne il quinto studente più ricercato dalle autorità. Arrestato, fu rinchiuso per un anno nel carcere di massima sicurezza di Qincheng.

In seguito riuscì a riparare negli Stati Uniti, dove oggi, a 55 anni, unisce al lavoro nella finanza l’attivismo per i diritti umani.

Signor Zhou, si aspettava manifestazioni studentesche come quelle dello scorso fine settimana a Pechino, Shanghai e in altre metropoli cinesi? Che effetto le ha fatto rivedere gli studenti in piazza 33 anni dopo il movimento di Tiananmen?

No, non mi ha sorpreso il fatto che ci siano state delle manifestazioni, ma è stupefacente la rapidità con cui si sono allargate. Dico “allargate” perché, a mio modo di vedere, le proteste che sabato e domenica hanno coinvolto migliaia di giovani rappresentano il seguito di ciò che è successo il 13 ottobre scorso, quando Peng Lifa è riuscito a esporre sul ponte Sitong di Pechino due striscioni di protesta (invitando con il megafono studenti e lavoratori a scioperare contro il “dittatore e traditore nazionale Xi Jinping”, ndr).

Quell’uomo ha dato il la alle manifestazioni e alle proteste studentesche degli ultimi giorni, che chiedono libertà invece della politica “contagi zero”, e libertà politiche. L’eco del suo gesto si è diffuso all’interno della Cina e all’estero. Come sopravvissuto di Tiananmen sono colpito e sono commosso per l’attaccamento alla libertà di questi giovani, che hanno lo stesso sogno di una Cina libera e democratica che io ho vissuto 33 anni fa a piazza Tiananmen. Una nuova generazione sta insorgendo in Cina.

Quali differenze vede tra gli studenti cinesi che si battono per la democrazia nel 2022 e quelli della sua generazione?

Penso che la differenza stia soprattutto nella tecnologia. Oggi tutto avviene attraverso internet. Twitter, Telegram, Instagram sono i luoghi attraverso i quali vengono scambiate le informazioni, si affermano le rivendicazioni, e nei quali vengono condivise le idee. Questa volta è una rivoluzione che si svolge nel cloud, si tratta di una modalità di protesta “decentralizzata”, molto diversa dalla nostra, che si esprimeva in una piazza fisica, piazza Tiananmen, dove noi ci ritrovavamo per discutere e lottare. Oggi la piazza è virtuale, è il cyberspazio.

Cosa sanno dell’esperienza di lotta della vostra generazione gli studenti cinesi di oggi? Cosa hanno lasciato i ribelli del 1989 ai giovani che sono tornati a protestare?

Ciò che successe a piazza Tiananmen è sempre stato fonte di ispirazione per i cinesi che amano la libertà, in particolare per i giovani. Conosco molti dei giovani che protestano sia online che fisicamente. Grazie a Telegram continuo a battermi per la democratizzazione della Cina e posso rappresentare un esempio per i giovani. Nei gruppi Telegram mi confronto con loro. Il mio compito è quello di condividere con loro una visione di una Cina democratica

Sembra davvero difficile che possa aprirsi lo spazio per un movimento politico democratico in un paese il cui regime ha speso anni e cifre inimmaginabili per dotarsi dell’apparato repressivo più tecnologico e massiccio della storia dell’umanità.

Penso che sia cambiato tutto. Prima di quest’ultima ondata di proteste la gente era profondamente pessimista, è per questo che Peng Lifa (il fisico quarantottenne che ha inscenato la protesta del 13 ottobre a Pechino, ndr) è stato così importante, perché è stato un esempio grandioso di ciò che, nonostante tutto, è possibile fare.

Quell’uomo ha fatto tutto da solo, è stato capace di mettere in scena la sua spettacolare protesta a Pechino, nel cuore del potere politico della Cina, mentre Xi Jinping stava facendo una importante riunione, c’era la polizia, le telecamere, tutto l’apparato repressivo, eppure…

Peng Lifa ha dimostrato che c’è sempre un modo per agire: se t’ingegni e hai cuore, puoi fare grandi cose. Allo stesso modo, adesso i giovani stanno cercando modalità clamorose di protesta: è ciò che abbiamo visto con quella che è stata chiamata la “rivoluzione dei fogli bianchi”: quella di mostrare i fogli bianchi per protestare contro la censura è una nuova idea, che è nata nel corso delle manifestazioni.

Il partito comunista di Xi Jinping però rivendica ufficialmente la sua lotta per prevenire la diffusione in Cina di valori come la democrazia liberale e i diritti umani intesi come concetto universale.

Credo che debba esserci una rivoluzione che cambi il modo di pensare delle persone. E questo sta già succedendo, soprattutto tra gli studenti cinesi, nelle comunità di giovani cinesi che studiano all’estero: molti di loro fino a qualche anno fa sostenevano il Partito comunista cinese, ma ora hanno cambiato completamente opinione, stanno prendendo il futuro nelle loro mani.

È grazie al loro attivismo che Instagram, Telegram, Twitter sono diventate le piattaforme principali per la diffusione del pensiero libero. A partire da queste piattaforme, il pensiero libero viene trasferito nelle app cinesi mainstream come WeChat, Weibo, Douyin (gli attivisti cinesi utilizzano software VPN per accedere all’internet globale e una varietà di “messaggi in codice” per diffondere idee che altrimenti verrebbero bloccate dalla censura, ndr).

Quali tattiche potranno utilizzare gli studenti dopo le dimostrazioni dello scorso weekend?

Non so, davvero. Ma ognuno deve trovare la sua strada. Credo comunque che vedremo una escalation in futuro. Avranno bisogno di un po’ di tempo, ma troveranno un modo per continuare, perché è nella natura umana, è come la lava che scorre all’interno di una vulcano, che deve trovare una crepa per eruttare.

Lei vive negli Stati Uniti da decenni, qual è la sua opinione sulla politica dell’amministrazione Biden nei confronti della Cina?

Non credo che l’amministrazione Biden abbia fatto abbastanza. Anche se nel rapporto con la Cina hanno cambiato politica, nel modo giusto rispetto all’amministrazione Trump. Io riconosco a Biden soprattutto il merito di aver varato la legge sui semiconduttori, che è un provvedimento del quale avevamo bisogno, perché deve esserci trasparenza dell’operato di chi investe in Cina, che deve esserne responsabile.

Per quello che mi riguarda direttamente, ovvero il mio desiderio di una Cina libera e democratica, negli ultimi 33 anni gli Stati Uniti si sono limitati soprattutto a degli appelli. Gli Stati Uniti devono mettere la democratizzazione della Cina al centro della loro politica nei confronti della Cina.

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