Nei corsi di dottrina di ogni accademia militare occidentale si insegnano modelli come il Dime, acronimo che indica gli strumenti del potere nazionale e include, oltre a quella diplomatica, militare ed economica, anche la dimensione informativa.

Per la Nato non è dunque una novità l’inserimento di questa variabile nell’analisi degli scenari e degli effetti di una strategia bellica. Tali modelli non sono impiegati nella dottrina russa, ma ciò non significa che l’informazione non sia importante per Mosca, anzi, l’information warfare è divenuta fondamentale almeno dal 2013.

Strumento militare

Occorre considerare la pervasiva propaganda del Cremlino non come un elemento meramente politico bensì per quello che è: un vero strumento militare. La manipolazione della società per influenzare le politiche dei paesi democratici, l’uso di una galassia informativa di propaganda per minare la fiducia nei media indipendenti, le narrazioni alternative che hanno fatto breccia tra i cittadini e le dinamiche interne alla Russia, sono tutti tasselli di un mosaico che visto nel suo insieme assume significato.

Partiamo da un dato incontrovertibile: in occidente vige la libertà di stampa e in Russia no. Per quanto criticabili e imperfetti, i media europei hanno standard etici e di indipendenza nettamente superiori a quelli controllati dal Cremlino. La classifica di Reporters without borders vede la Russia al 150° posto globale di libertà di stampa su 180, mentre Freedom House definisce il paese «non libero» e segnala l’inasprimento delle leggi sull’agente straniero e sull’estremismo per colpire la stampa.

L’autorità per la censura Roskomnadzor ha silenziato tutte le principali fonti di informazione non legate al governo. Le pene fino a quindici anni per la diffusione di fake news sulla cosiddetta operazione militare speciale hanno costretto gli ultimi media indipendenti a chiudere, compresa Dozhd Tv, l’Eco di Mosca e Novaya Gazeta. Questa è una premessa necessaria per riconoscere l’asimmetria informativa con l’occidente.

È già stato scritto molto sulla dottrina Gerasimov, termine coniato e poi ripudiato da Mark Galeotti, e sulla guerra ibrida. Quest’ultima si distingue dalla guerra asimmetrica perché comprende non solo l’impiego di assetti militari ma anche una penetrazione politico-mediatica.

Molti in occidente commettono l’errore di considerare questa componente avulsa dalla guerra, mentre la manipolazione dell’opinione pubblica avversaria e l’inquinamento della realtà sono da anni parte integrante della dottrina russa di guerra ibrida. Anzi, il loro potenziale è ben più tangibile e pericoloso di altre armi che la Russia minaccia solo di usare, come quelle nucleari.

Strategia ibrida

Come ha esposto la ricercatrice della Rand corporation Bilyana Lilly nel suo saggio Russian Information Warfare, esistono quattro obiettivi specifici di tale strategia ibrida: danneggiare la credibilità del sistema informativo occidentale, minare la fiducia socioeconomica, manipolare l’opinione pubblica e influenzare l’avversario affinché prenda decisioni favorevoli alla Russia.

Il meccanismo più semplice è quello per cui un’opinione pubblica confusa, disorientata ed esausta può fare pressione su governi, attraverso i partiti o manifestazioni di piazza, per cambiare la politica estera nazionale. Questa operazione può conseguire un obiettivo strategico e non va derubricata a polemica mediatica.

Ad esempio, quando i cittadini legittimamente frustrati per l’aumento dei prezzi e stanchi da due mesi di guerra cominciano a pensare che tutto sommato Zelensky dovrebbe fare qualche concessione territoriale o arrendersi. Pazienza per i princìpi cardine di Helsinki su cui si fonda l’architettura di sicurezza europea: integrità territoriale e sovranità.

La rappresentazione perversa di un’Ucraina guerrafondaia, che si ostina a combattere e chiedere armi, sta facendo breccia nella mente di molti, ma è un sovvertimento della realtà. Uno stato democratico aggredito da una dittatura sanguinaria è legittimato a difendersi a oltranza. Circola anche una vulgata da bar, sempre più in voga sui social, secondo cui in Ucraina avviene un conflitto per procura da parte degli Stati Uniti, mentre l’Europa sarebbe una spettatrice impotente. Semplicemente una narrazione falsa e smentita dai fatti, ma molto comoda per Mosca perché mette sullo stesso piano l’aggressore e l’aggredito.

Vanno forte anche i cavalli di battaglia del Cremlino, per cui la Nato avrebbe accerchiato la Russia con provocazioni che giustificano l’invasione, e presunti laboratori batteriologici americani in Ucraina. È compito degli addetti ai lavori confutare queste tesi infondate, perché contribuiscono all’esito del conflitto. Non stupisce, perciò, il sondaggio di Demos & Pi secondo cui il 46 per cento degli italiani ritiene che l’informazione sulla guerra in Ucraina sia pilotata e distorta, mentre il 25 per cento pensa che le immagini dei massacri siano false o amplificate per delegittimare Putin e i russi.

Tra le cause di questo disorientamento ci sono anche l’analfabetismo funzionale, che in Italia sfiora il 28 per cento secondo le statistiche Ocse, e l’analfabetismo digitale, con oltre due terzi degli italiani che non sono in grado di usare internet in maniera complessa e diversificata. Obiettivo strategico russo raggiunto: inquinare e non riconoscere più la verità dei fatti. Una dimensione orwelliana di ribaltamento della realtà confermata anche dalla proibizione della parola guerra, come recita lo slogan della neolingua in 1984: «La guerra è pace».

Russia today e Sputnik

Per capire con cosa abbiamo a che fare, è utile analizzare l’ecosistema di disinformazione alimentato per anni dal regime putiniano. Due capisaldi di tale sistema sono Russia Today e Sputnik. Come ben descritto dalla giornalista Marta Ottaviani nel suo saggio Brigate Russe, non si tratta di organi di stampa bensì di veri e propri strumenti di propaganda.

Nel 2005 il canale televisivo Russia Today venne creato dall’agenzia di stampa statale Ria Novosti, con la missione di fornire «una visione russa del mondo». Questa Weltanschauung è stata sempre più plasmata dalla cerchia ristretta del Cremlino, tra cui l’ideologo Vladislav Surkov e la direttrice dell’emittente, Margarita Simonyan. La stessa propagandista – termine più appropriato di giornalista – che nel 2018 organizzò un’intervista con i due agenti del servizio militare Gru mandati a Salisbury per assassinare Sergej Skripal con il veleno Novichok.

Nella messinscena televisiva, Simonyan cercò di far passare i due sicari per personal trainer interessati a visitare «la famosa cattedrale» della cittadina inglese. Nel 2009 il canale cambiò nome, facendo sparire la parola Russia per una più neutra sigla Rt, ma anche la linea editoriale, con una precisa strategia volta a criticare il modello democratico e delegittimare i media occidentali più autorevoli e indipendenti.

Nel 2013 Ria Novosti, l’editore di Rt, fu sciolto e sostituito dal gruppo Rossija Segodnya, con a capo l’onnipresente Simonyan. L’anno successivo fu creato il sito Sputnik, per fare a livello digitale ciò che Rt faceva in televisione, con la diffusione di notizie in numerose lingue, accessibili online a un pubblico più giovane abituato a navigare sui social network.

Uno degli aspetti più interessanti è il tentativo di “ripulire” la propria immagine per renderla più rispettabile e apparentemente neutrale, non solo con il cambio di nome. Infatti, nel corso degli anni, i giornalisti e autori russi sono stati progressivamente sostituiti con presentatori e articolisti occidentali, spesso appena usciti dalle scuole di giornalismo, strapagati nonostante la scarsa esperienza e quindi entusiasti di aderire alla linea editoriale dettata da Mosca.

Questo fenomeno è stato studiato nel 2020 da ricercatori di Oxford e confermato all’inizio dell’invasione dell’Ucraina dalle dimissioni di molti dipendenti di Rt a Berlino e Londra, che hanno ammesso il modus operandi dell’emittente. Nel 2021 Rt ha ricevuto un budget statale di oltre 360 milioni di euro e consolidato una presenza all’estero con trasmissioni in inglese, francese, spagnolo e arabo.

Come spiega un dettagliato rapporto del Global engagement center del Dipartimento di stato Usa, risalente a gennaio 2022, Rt e Sputnik sono senza dubbio i due principali canali tramite cui il Cremlino ha veicolato la sua propaganda in questi anni ed è per questo che il 2 marzo l’Unione europea ha sospeso le loro attività. Ma non si tratta degli unici, esiste un nutrito sottobosco di siti e piattaforme legati più o meno apertamente al governo russo, una vera costellazione di disinformazione.

Gli altri canali di propaganda

Per esempio, il sito canadese Global research, diretta emanazione dei servizi militari Gru, i cui funzionari scrivevano articoli sotto pseudonimo. Spicca la Strategic culture foundation, che dal 2010 pubblica contenuti in inglese e dal 2018 è stata ripulita da autori con nomi russi, a favore di anglofoni o comunque occidentali, per infondere maggiore fiducia nei lettori.

Si tratta spesso di individui senza la minima competenza, come tale Finian Cunningham, un irlandese specializzato in chimica agricola che per qualche ragione è divenuto il secondo autore più prolifico con oltre 550 articoli in cui, ad esempio, definisce gli Stati Uniti «uno stato canaglia fuorilegge», invoca rispetto per la Corea del Nord e definisce Putin un vero statista globale.

Quando ha potuto, la Strategic culture foundation ha ingaggiato anche militari occidentali in congedo come l’ex attaché australiano in Pakistan Brian Cloughley. Non è difficile trovare qualche ufficiale in pensione disposto a sostenere tesi controverse per un po’ di visibilità, come fa per sincera convinzione il generale Fabio Mini sul Fatto Quotidiano. In questo caso non c’è una longa manus russa, ma i titoli segnalano una linea editoriale volta ad aumentare i lettori filoputiniani e antiamericani.

Un’operazione invece volutamente condotta tra il 2014 e il 2020 da Giulietto Chiesa, fondatore di Pandora tv, una succursale di Rt incaricata di diffondere in Italia la versione dei fatti russa. Pandora tv è stata un esperimento per sondare la capacità di penetrazione dell’opinione pubblica italiana, con messaggi visceralmente antiamericani. Il canale si serviva dei video forniti da Ruptly, un’agenzia controllata da Rt, per distribuire contenuti prodotti da Mosca.

Come in una matrioska, Ruptly controlla a sua volta la piattaforma Redfish, creata appositamente per avvicinare militanti di sinistra europei all’ideologia “rossobruna”. Infatti, i contenuti di Redfish sono volutamente incentrati sulla critica all’imperialismo americano e a denunciare l’ipocrisia occidentale senza sembrare legati a Mosca.

Uno dei post di maggior successo di Redfish è diventato virale su Instagram all’inizio della guerra, con una mappa che mostrava i bombardamenti nel mondo nelle ultime 48 ore e insieme all’Ucraina elencava Siria, Yemen e Somalia. Il post recitava: condanna la guerra ovunque. La propaganda russa opera dunque su più livelli, alcuni apertamente filorussi e altri più ambigui, tesi a delegittimare l’avversario.

Il sottile messaggio subliminale di questo post, condiviso da molti ignari cittadini europei, è il seguente: le guerre ci sono in tutto il mondo e quella in Ucraina non è più importante delle altre. Obiettivo di Mosca è anche quello di portare dalla sua parte altri segmenti del mondo, tra cui la Nigeria, l’India e i paesi arabi, le cui società emergenti tendono a simpatizzare con il modello proposto dalla Russia.

Dinamiche informative

Infine, le dinamiche informative interne alla Russia rivestono un ruolo altrettanto importante in questa strategia, non solo per indebolire la volontà politica dell’avversario ma anche per garantire una solidità alle decisioni di Mosca. Parole chiave per comprendere questa narrazione sono vittimismo, paranoia, umiliazione, russofobia, complesso di inferiorità, orgoglio, potenza.

Luca Gori ha ben descritto nel suo saggio La Russia eterna come l’ideologia conservatrice russa abbia avuto una svolta decisiva nel 2012, quando il regime si è consolidato intorno al presidente rieletto. Putin ha abbandonato la via dell’integrazione occidentale e imboccato la strada neo-imperiale, per restituire ai russi l’orgoglio e la dignità di potenza perduta. Per farlo, ha alimentato i canali televisivi e la stampa con la propaganda paranoica di una nazione accerchiata dalla Nato, umiliata dall’occidente russofobo, coltivando astio e aggressività verso quella società molle e corrotta denunciata dal patriarca ortodosso Cirillo.

Possiamo distinguere tre categorie: i russi che si informano esclusivamente attraverso la tv, quelli che hanno accesso a internet e quelli che vivono all’estero. I primi sono spesso all’oscuro delle atrocità che avvengono in Ucraina e tendono a credere al governo, si tratta spesso di persone anziane ancora abituate al modello informativo sovietico. I più giovani che usano la rete sono comunque dentro una bolla informativa che approfondiremo a breve. Infine, il paradosso più grande riguarda i russi all’estero, sino al punto che oggi anche persone istruite e cosmopolite tendono a identificarsi con la narrazione putiniana della guerra in Ucraina. Pur avendo accesso alle notizie, prendono sul personale le accuse di crimini di guerra rivolte agli invasori, ritengono le critiche un attacco alla nazione e negano l’evidenza dei massacri.

Tutto questo ha a che fare anche con l’assenza di una cultura dell’informazione in Russia. I giovani russi sono disposti ad accettare informazioni che arrivano da link su Telegram, canali YouTube, post sul social VKontakte o catene tramite amici e familiari di cui si fidano. Spesso perché è la versione in cui ormai vogliono credere.

È emblematica la differenza di risultati ottenuti digitando la parola “Bucha” su Google Immagini e sul motore di ricerca russo Yandex: nel primo si vedono massacri e cadaveri, nel secondo (browser preinstallato sui cellulari in Russia) solo foto degli edifici della cittadina ucraina. Dopo aver oscurato Facebook (ma è molto più popolare VKontakte) e Instagram, anche YouTube è nel mirino di Mosca. Da anni il Cremlino ha cercato di creare un’alternativa con il sito RuTube, dove Navalny non trova spazio, ma con risultati per ora deludenti. Le influencer moscovite utilizzano connessioni Vpn per aggirare la censura su Instagram e pubblicare i video in cui fanno a pezzi le borsette di Chanel. Per raggiungere i giovanissimi con la propaganda il governo si è inventato anche Ya Molodets, l’equivalente di TikTok, con l’obiettivo di rendere totalizzante l’ecosistema social russo, poter censurare le critiche e promuovere una narrazione governativa.

Successo e popolarità

Questa strategia sta funzionando nell’opinione pubblica. Naturalmente, alcune migliaia di russi sono scese in piazza per condannare la guerra ma sono stati brutalmente arrestati. Tre distinti sondaggi offrono un panorama desolante, con rispettivamente il 68 per cento, il 74 per cento e il 53 per cento degli intervistati favorevole all’invasione dell’Ucraina, giustificata dalla necessità di proteggere i russofoni del Donbass e impedire un attacco Nato.

Anche la popolarità di Putin è cresciuta sino a superare l’80 per cento. La decennale macchina della propaganda ha portato i suoi frutti e questo garantisce al regime una qualche garanzia di stabilità.

In conclusione, non basta vincere la guerra sul campo di battaglia in Ucraina. Sarà uno sforzo vano se la società russa si sentirà vittima di un’aggressione occidentale e resterà ignara dei crimini di guerra. Sarà una sconfitta strategica se in occidente si insinuerà la disinformazione russa al punto da abbandonare Kiev al suo destino.

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