Il nation building ucraino nasce indubbiamente con l’irrisolta questione nazionale russa. Le origini storiche risalgono alla memoria dell’antica Rus’ di Kiyev. È una grande area abitata da un humus etno-genetico slavo-orientale, all’interno del quale la scuola tradizionale russa – sulla base delle differenziazioni delle isoglosse distingue i “grandi russi” (i russi propriamente detti), dai “piccolo russi” (gli ucraini) e dai “russi bianchi” (bielorussi).

È anche la civiltà antica ucraina, della Kiyev medievale, rinascimentale e barocca, considerata in qualche modo “sottratta” dalla storiografia russa che ne ha fatto la “culla” della civiltà russa, sviluppatasi con la Moscovia, Russia imperiale, sovietica, post sovietica. È un’identità primigenia medievale contesa, rivendicata per giustificare l’odierna aggressione russa all’Ucraina: rimane il fatto storico, che la Rus’ di Kiyev, come più antico stato organizzato slavo-orientale, sia alla base della statualità moscovita e kiyeviana moderna.

Con il XII secolo si consolida la chiesa della Rus’ di Kiyev come chiesa bizantina, distante e in competizione con il papato romano. La cultura scritta, lo slavo ecclesiastico, è preservato nei monasteri, mentre verso il 1140 arriva l’invasione tataro mongola che travolge Kiyev.

Ecco che Mosca emerge come nuovo centro della cultura ortodossa, sebbene anche il principato di Moscova cada sotto il “giogo mongolo” dal primo quarto del XIII all’ultimo quarto del XV secolo, ma preservi – secondo la lettura “eurasiatista” del primo Novecento – come stato tributario la civiltà slava e ortodossa anche sotto il dispotismo dei khan mongoli, per potersi proporre come “terza Roma” alla caduta di Costantinopoli sotto il potere ottomano nel 1453.

Nel XIV secolo Kiyev entra a far parte del gran principato di Lituania continuando una tradizione della Rus’ di Kiyev, mentre il regno di Galizia a occidente è fondato sempre per mano dinastica rjurikida. La seconda metà del Trecento è il periodo in cui anche la Lituania passa dal paganesimo al cristianesimo, cattolico romano. La Lituania, in unione con la Polonia, è il contesto istituzionale in cui le terre ucraine e bielorusse vengono legate alla cultura occidentale cristiana.

È un mondo multiculturale, a est di Kiyev da secoli a contatto con tribù nomadi, tra cui cosacchi di stirpe tatara, affiancati dai cosacchi slavi. Queste sono tribù militari, guidate da un “etmano” al vertice di comunità ortodosse di formidabili cacciatori e cavalieri gelosi delle proprie libertà, contro i tentativi di assoggettamento dei cattolici polacchi ma anche riottosi al controllo dello zar di tutte le Russie.

Tra fine Quattrocento e Cinquecento il Granducato di Lituania stringe i legami con il regno di Polonia, capitale Cracovia, oltre l’unione personale delle corone: nel 1569 l’Unione di Lublino sancisce l’istituzione della Rzeczpospolita, “Res Publica”, dunque della confederazione polacco-lituana, legata all’occidente cristiano e cattolico, includente, Leopoli, Kiyev, Minsk.

Nell’Ucraina contemporanea ci si riferisce spesso a questo regno, il più esteso player geopolitico dell’Europa moderna (caratterizzato da un sovrano, il re di Polonia, eletto dall’assemblea dei nobili), come “Polonia-Lituania-Ucraina”, o confederazione “polacco-lituana-ucraina”, per sottolineare la partecipazione degli ucraini (come popolo etnicamente definito) al fianco dei popoli istituzionalmente costitutivi lo stato dualista.

Religione, lingua, Crimea

Nel contesto dell’Unione di Lublino, cioè della confederazione polacco-lituana, 1596 si istituisce la chiesa greco-cattolica. Richiamandosi al compromesso dottrinale che il concilio di Firenze circa 160 anni prima aveva elaborato per ricomporre il grande scisma con la chiesa d’oriente (si era nel decennio prima della caduta di Costantinopoli sotto dominio turco-musulmano), l’istituzione di una Chiesa uniate – di comunità ortodosse che si riuniscono alla chiesa di Roma, riconoscendo la primazia del Papa – diventa un produttore di identità per le comunità ucraine e rutene che passano sotto la sovranità spirituale del vescovo di Roma.

Tra la fine del Seicento e il Settecento la formazione di una parte importante della classe clericale di popolazioni in origine greco-ortodosse, in particolare rutene e ucraine, così come romene dell’Ungheria orientale e della Transilvania, avviene così in Italia, a Roma. Sebbene queste comunità mantengano il rito bizantino, l’élite clericale greco-cattolica diviene il maggiore produttore identitario di differenziazione dall’ortodossia orientale, in questa macro-regione dominata dalla chiesa ortodossa di Mosca.

La fedeltà alla chiesa di Roma (al fianco dei cattolici “romani”, “latini”, come cattolici “di rito greco”) è considerato un elemento di fedeltà allo stato, prima regno polacco, poi – dall’ultimo quarto del Settecento, a seguito delle spartizioni della Polonia – impero asburgico (che integra la regione della Galizia, abitata da polacchi, ruteni e ucraini). Sono coloro che ancor oggi i russi chiamano, con un certo disprezzo, chi si sente “occidentale”, gli “zapadenzi” (che ricambiano considerando i russi dei barbari asiatici). Ecco come si genera la mitopoiesi dell’Ucraina come ultima nazione occidentale dell’Europa orientale.

Poi ci sono i cosacchi delle steppe e dei “campi selvaggi”: dalle regioni del Dniepr al Don, costituiscono “corpi” di armati dediti in tempi di pace a pastorizia, caccia e pesca nonché scorribande. Ma si dedicano all’arte della guerra: combattono per la Polonia-Lituania, mercenari dei polacchi contro turchi e tatari, anche contro la Moscovia e la Svezia. Ivan Pidkova, nella seconda metà del Cinquecento è l’eroe cosacco della lotta contro tatari e turchi musulmani, nel 1578 decapitato dai polacchi (e celebrato nell’Ottocento dal poeta nazionale ucraino Taras Shevcenko).

Al proprio interno si forma un’aristocrazia che prende coscienza della necessità di ritagliarsi uno spazio geopolitico di libertà, anche appoggiandosi a uno degli attori in campo. Nel 1648 l’etmano Bogdan Chelmitzki guida una lotta di contadini contro i magnati polacchi, creando di fatto uno stato indipendente, un “etmanato” (da “etmano”, come in latino “dux”, duca).

Di ispirazione per il Taras Bulba di Gogol, Chelmitzki riesce così a costituire la prima realtà statuale cosacca, ucraina, un “ducato” a cavallo del Dniepr. Minacciati dai polacchi, questi cosacchi cercano l’aiuto di Mosca: il patto del 1654 di Pereyaslav li pone sotto la protezione russa e sarebbe rimasto come riferimento principale della “fratellanza” ucraino-russa, secondo la storiografia ufficiale.

Mezzo secolo dopo, però, con i voltafaccia dell’eroe cosacco Ivan Mazepa, eroe delle letterature romantiche occidentali, tentano – invano – di liberarsi dalla sottomissione agli zar, sconfitti al fianco degli svedesi di Carlo XII a Poltava contro le truppe di Pietro il Grande, nel 1709. L’etmanato è integrato nella Russia imperiale, e costituisce la “piccola Russia” intorno a Kiyev. Con la guerra turco-russa vinta da Caterina la Grande, negli anni Settanta dell’Ottocento, si conclude la normalizzazione della regione: la debolezza polacca induce Prussiani e Russi alla prima spartizione (1772), mentre le truppe russe sconfiggono i turchi e i loro vassalli tatari, conquistando le pianure a est del Diepr (chiamate Novorossija, “nuova Russia”) e costringono il sultano a rinunciare alla Crimea (1774), in seguito annessa unilateralmente (1783).

Con questa espansione l’impero zarista raggiunge l’obiettivo di creare una piattaforma marittima nel Mar Nero (che significa l’accesso ai mari caldi e alla foce del Danubio), il governatorato di Kiyev e la “nuova Russia”. Caterina mette fine alle ultime vestigia dell’autonomia cosacca, assimilando la nobiltà ucraina locale all’interno di quella russa e vietando l’uso della lingua media ucraina.

Con Caterina inizia l’epopea della Crimea russa: inizia la colonizzazione e lo sviluppo della penisola, di grande interesse economico, strategico e militare per l’impero zarista, con l’innesto di massici nuclei di popolazione russa a scapito delle comunità precedentemente abitanti, come la grande popolazione tataro-musulmana e i nuclei residui ellenici della regione del mar Nero.

Gli ucraini risulteranno popolare soprattutto la costa occidentale: l’oblast della Crimea, importante piattaforma russa nel mar Nero, a trecento anni dal patto di Pereyaslav – ma anche soprattutto nel tentativo di alleviare la tragica memoria dell’Holodomor – nel 1954 sarebbe stata trasferita, internamente all’Unione sovietica guidata dal primo segretario Nikita Chrushhov, in amministrazione alla repubblica sovietica ucraina come “gesto simbolico” di fratellanza tra le due repubbliche sovietiche.

Il romanticismo

Anche tra gli ucraini, nel contesto del Romanticismo ottocentesco, si realizzano i più importanti tentativi di creazione di una lingua letteraria nazionale: il più importante è quello di Taras Scevchenko (1814-1861), detto il “bardo” (kobzar), il poeta nazionale e popolare ucraino. “Sarebbe stato un grande poeta se avesse usato il russo” si dice in Russia: eppure è considerato tra le “corone” della letteratura slava, con il russo Alexander Puskin (1799-1837) e il polacco Adam Mickiewicz (1798-1855).

Pittore e letterato, scrive anche in russo, ma è considerato l’artefice della rifondazione della lingua e della letteratura ucraina, per forma e contenuto. Nato in una famiglia di servi della regione del Dniepr, diventa presto rinomato artista e poeta in Russia: si dedica però a cantare la libertà della patria ucraina, della bellezza delle sue terre e fiumi, arrivando inevitabilmente a criticare il dominio russo.

Per questo viene esiliato, gli viene impedito di dipingere e scrivere, dopo qualche anno riesce a rientrare in patria per morire così alla vigilia del decreto zarista di abolizione della servitù, nel 1861. Percepita la rinnovata vitalità della lingua e della cultura ucraina, il potere zarista interviene per reprimere queste manifestazioni nazionali: nel 1863, dopo la rivolta polacca a cui avevano partecipato anche i patrioti ucraini, l’ucraino viene legalmente proibito per ogni forma di comunicazione scritta e letteraria, rimanendo lingua d’uso solo in famiglia. Nel 1876 lo zar decreta una nuova proibizione sull’uso dell’ucraino: è però nella Galizia austriaca che l’ucraino trova spazi culturali e letterari.

È un ucraino occidentale, impiegato da intellettuali e letterati asburgici della comunità greco-cattolica, spesso diffuso in alfabeto latino, chiamato “latynka”. Come per il “lacinka” bielorusso, il “latynka” ucraino si sviluppa per vicinanza e modello di trascrizione del polacco. Questo alfabeto viene imposto nel 1859 dalle autorità austriache per la lingua ucraina, ma esplode l’opposizione dei difensori del cirillico per l’evidente pericolo di una differenziazione sostanziale – linguistica e letteraria – della cultura ucraina: per questo, quindi, nel 1861 viene ripristinato l’uso del cirillico come alfabeto.

La Galizia, in particolare la capitale Leopoli, rimane un centro di nazionalismo ruteno-ucraino. È il caso di Ivan Franko (1856-1916), di famiglia tedesco-polacca, grande poeta socialista ucraino attivo in Galizia. Di questo periodo è da menzionare anche “la” poetessa nazionale Larysa Petrivna Kosach, detta “Lesja Ukrainka” (1871-1913), in cui il patriottismo ucraino contro l’assimilazione russa si unisce all’attivismo femminista.

Il Novecento tragico

Durante la guerra europea la Galizia è teatro del fronte di guerra tra Impero asburgico e zarista. Da una parte gli ucraini asburgici sospettati di essere filo-russi (oltre 20 mila) vengono arrestati e concentrati in campi.

Ma nel 1917 sono le regioni ucraine sotto dominio russo, a seguito della rivoluzione del febbraio e poi di quella di ottobre, a costituirsi come repubblica popolare d’Ucraina con il sostegno degli imperi centrali e a realizzare il primo tentativo di Ucraina indipendente, che dura fino al 1920. Il leader nazionalista Simon Petliura è un ex seminarista ortodosso, di orientamento rivoluzionario, attivo pubblicista nazionalista tra Pietroburgo, Mosca, Kiyev e Leopoli.

È il primo personaggio storico al centro della controversia sul nazionalismo ucraino come antisemita e (in seguito) filo-“nazista”. Di fatto durante questo periodo gli ebrei sono il target di un diffuso antisemitismo, tra i polacchi, gli ucraini, i russi: ed è altresì vero che periscono in questo periodo durante pogrom antiebraici circa 40mila ebrei in Ucraina.

Petliura, leader politico e militare, diffonde dichiarazioni antisemite ma anche proclami per fermare i progrom. Accusato per questi eccidi anche da parte bolscevica, sarebbe per questo rimasto vittima della vendetta ebraica dell’intellettuale Sholem Schwarzbard (secondo alcuni, invece, incaricato dell’assassinio dai sovietici) e ucciso in esilio a Parigi nel 1926.

Intanto la riconquista russo-bolscevica apre le porte all’integrazione dell’Ucraina nell’Unione sovietica: con la Nep e, si crea una Repubblica socialista sovietica ucraina, con lingua e accademia delle scienze, di circa 25 milioni di persone. L’arrivo di Stalin al potere però cambia le dinamiche del confronto: all’inizio degli anni Trenta la classe intellettuale (scrittori, giornalisti, docenti) viene eliminata e inviata nei gulag, mentre si scatena la guerra ai contadini proprietari, i “kulaki”, “nemici del popolo” sovietico nonché colonna portante del nazionalismo ucraino.

Stalin paga con il grano i macchinari moderni e imprescindibili all’industrializzazione, mentre fa morire di fame i contadini, corpo culturale dell’ucraino (le città parlano per lo più russo): è l’Holodomor, il genocidio (o meglio “democidio” per ragioni politiche e ideologiche) ucraino, che elimina milioni di cittadini sovietici (per lo più ucraini). Sono anni in cui la Repubblica socialista sovietica dell’Ucraina viene “normalizzata”, a livello socio-economico come a livello politico-ideologico o linguistico-culturale.

Ancora una volta la lingua è la cartina di tornasole: il vocabolario viene depurato delle parole più marcatamente provenienti dall’Ucraina occidentale, perfino una lettera dell’alfabeto, la “gh rovesciata”, viene espunta dall’alfabeto, in quanto la lingua ucraina deve assimilarsi il più possibile al russo.

Nazismo e nazionalismo

L’altro personaggio di grande controversia è Stepan Bandera. Nato in un piccolo villaggio della Galizia nel 1909, in un ambiente greco-cattolico. Diventa esponente dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini, un partito politico di stampo nazionalista e fascista, fondato nel 1929 nella città di Vienna, dagli esuli ucraini anticomunisti con l’obiettivo di realizzare, anche attraverso l’uso della violenza e del terrore, un’Ucraina etnica indipendente. In questo contesto i nemici principali sono la Russia e la Polonia, mentre la Germania nazista rappresenta l’alleato naturale per il raggiungimento dello scopo.

Bandera unisce al pragmatismo dichiarato per raggiungere questo fine un forte sentimento antisemita. La sua figura emerge con il suo coinvolgimento nell’attentato dell’Oun che provoca la morta del ministro dell’interno polacco Pieracki, nel 1934, per cui viene incarcerato. Con l’invasione della Polonia da parte tedesca, porta la fazione dell’Oun a lui fedele (detta OUN-B, giovane, radicale e rivoluzionaria, a differenza dell’ala conservatrice diretta dal leader Andriy Melnik, detta OUN-M) a sostenere l’occupazione nazista, per la ricostituzione di un’Ucraina indipendente. I simboli filotedeschi e filonazisti che emergono in questo contesto (e che sono anche simboli dell’antisovietismo e dell’antirussimo), come la bandiera a due strisce orizzontali rossa e nera, sono gli stessi che riaffiorano nel 2014 con l’Euromaidan tra le fila dell’ultranazionalismo ucraino.

Bandera, perseguendo l’obiettivo di un’Ucraina indipendente anche dalla Germania, sarebbe entrato in contrasto con i tedeschi, a più riprese imprigionato e poi recluso in campo di concentramento, poi nell’ultima fase della guerra rimesso in campo per la resistenza ucraina antisovietica dell’Upa (Esercito insurrezionale ucraino). Nemico giurato dei sovietici, viene ucciso da un sicario del Kgb a Monaco di Baviera nel 1959. Fervente anti-polacco e antisemita (e nello stesso tempo accusato dai nazisti di aver salvato degli ebrei), è una figura emblematica dell’ultranazionalismo ucraino (le sue formazioni sono accusate di aver eliminato circa centomila persone, ebrei e polacchi, durante la sua reclusione da parte dei tedeschi). Una figura analoga è quella di Roman Shukhevich, al fianco di Bandera dall’Oun fino alla leadership dell’Upa, accusato dei massacri antipolacchi della Volinia e rimasto in Ucraina sovietica come leader della resistenza fino alla sua uccisione nel 1950. Come Petliura, anche Bandera e Shukevich vengono ricordati come un patrioti ucraino dalla rivoluzione arancione del 2004, poi glorificati dal 2014: il presidente ucraino filo-occidentale Viktor Yushchenko onora di una visita patriottica la tomba di Petliura a Parigi nel 2005, mentre nel 2010 conferisce il titolo di “eroe nazionale” a Bandera e Shukevich, scatenando le proteste di Varsavia, Israele e l’Unione europea.

Sotto il successore presidente Viktor Yanukovich il tribunale di Donetsk impugna i decreti del presidente Yushchenko in quanto questi personaggi non erano stati cittadini ucraini (sono originari della Galizia sotto amministrazione prima austriaca poi polacca). Queste figure vengono riabilitate ponendo in secondo piano la cultura antisemita ed evidenziando gli aspetti patriottici (di lotta per l’Ucraina indipendente) e dunque anti-sovietici e anti-russi.

L’ultranazionalismo ucraino – anticomunista, antisemita, omofobo – si compone negli ultimi anni di varie formazioni politiche e paramilitari. Nel 2012 emerge il partito “Svoboda”, già attivo in precedenza con simbologie che richiamano il nazismo e ben radicato in Ucraina occidentale, Durante le proteste dell’Euromaidan si evidenzia la presenza delle formazioni paramilitari, con immagini di Bandera, vessilli rossi e neri e stile marziale.

Fanno il loro ingresso nel contesto democratico e civile ucraino Pravy Sektor, “settore destro”, e il battaglione Azov. Settore Destro è un movimento politico paramilitare, molto attivo nel corso degli scontri dell’Euromaidan, nato nell’ambiente degli stadi di calcio unendo gruppi ultras e movimenti di destra ultranazionalista (tra cui Trident, Martello Bianco, Tryzub “Stepan Bandera”). È una forza nazionalista principalmente radicata nelle regioni sudorientali, a maggioranza russa. C’è poi il Battaglione Azov, formatosi sulle sponde del mar d’Azov tra Berdyansk e Mariupol nell’autunno 2013.

Fondato dall’esponente di Pravy Sektor è Andriy Biletsky, l’Azov raccoglie in un battaglione i volontari combattenti contro i separatisti filorussi, provenienti da differenti movimenti e gruppi ultras dell’ultranazionalismo. Sostenuti in ambienti governativi e da oligarchi più nazionalisti, è tra i gruppi paramilitari – composti da nazionalisti provenienti da tutta Europa – impiegati per combattere i separatisti filorussi.

L’Azov viene inquadrato nella polizia, poi dal 2015 nella Guardia Nazionale, con compiti di ricognizione, addestramento e bonifica del territorio da ordigni esplosivi: questa formazione è menzionata come unità d’eccellenza dal presidente ucraino predecessore di Zelensky, Petro Poroshenko.

Lingua e religione

Il movimento nazionale ucraino nasce a sinistra, nell’Ottocento e primo Novecento, come nazionalismo socialista fino alla guerra civile, e solo successivamente prenderà le caratteristiche dell’etno-nazionalismo nel periodo interbellico e durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1991 l’Ucraina indipendente dapprima presenta un approccio nazionalista in cui avviene la de-etnicizzazione della lingua, prima di tutto russa, che qui continua ad essere lingua d’uso veicolare.

Poi con la rivoluzione arancione la questione linguistica assume caratteri di discussione nazionalista e simbolica, come nel caso delle proposte di elaborazione di un alfabeto “euro-ucraino” basato sul tradizionale ucraino occidentale “latynka”.

L’indipendenza del 1991 si riflette anche sulle necessità di “indipendenza” confessionale dalla Russia. Al termine di un processo di geopolitica religiosa interna al mondo ortodosso quanto mai complessa e di grande tensione con il patriarcato di Mosca, nel dicembre 2018 si realizza a Kiyev il Concilio di unificazione per la costituzione di una Chiesa ortodossa ucraina autocefala, come Chiesa ortodossa nazionale ucraina. Il nuovo giovane patriarca Epifani, nel gennaio 2019, riceve a Costantinopoli dalle mani del patriarca ecumenico Bartolomeo il “tomos” dell’autocefalia.

Con la Chiesa greco-cattolica, la grande e maggioritaria nuova Chiesa ortodossa ucraina, riunendo le precedenti due chiese considerate scismatiche dalla Chiesa ortodossa di Mosca (la Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Kiyev, e la Chiesa ortodossa autocefala, costituite con la dissoluzione dell’Unione sovietica negli anni Novanta) si propone come contraltare di indipendenza anche nell’ultimo ambito di influenza russa sull’Ucraina, come quello religioso e spirituale.

© Riproduzione riservata