Fin dalla fondazione del partito comunista cinese (nel 1921, sotto l’egida della Terza internazionale), i rapporti tra Pechino e Mosca sono stati intensi ma altalenanti.

Dal 1938 Mao inizia a “sinizzare” il marxismo – ad adattarlo cioè alla realtà cinese –  e, nel 1945, la Risoluzione su alcune questioni della storia del nostro partito segna la vittoria della sua linea politica contro quella dei “bolscevichi”, i leader più legati all’Unione sovietica, che vengono epurati.

L’intervento di 800mila “volontari” cinesi nella guerra per procura dell’Urss contro gli Stati Uniti in Corea (1950-1953) fa scattare il lungo isolamento internazionale della neonata Repubblica popolare cinese, lenito negli anni Cinquanta dai crediti e dagli ingegneri sovietici, che ne sostennero lo sviluppo economico.

La rottura sino-sovietica del 1960 è una conseguenza della destalinizzazione, che i cinesi temevano potesse intaccare anche la figura di Mao, e della crisi dello Stretto del 1958, nella quale l’Urss non non aveva appoggiato la Cina per evitare uno scontro diretto con gli Usa. Nel 1969 Cina e Russia finiscono per scontrarsi per un paio di settimane in un inconcludente conflitto di frontiera. Poi arriva il rapprochement tra Usa e Cina, voluto da Nixon proprio per impedire che Pechino si riavvicinasse all’Urss, per Washington allora di gran lunga il nemico più temibile.

La svolta strategica

Alla luce di tutto ciò è chiaro che il continuo rafforzamento delle relazioni con la Russia che ha contraddistinto la “Nuova èra” di Xi Jinping ha rappresentato per la Cina una svolta storica. Da quando, dieci anni fa, è stato eletto segretario generale del partito, Xi ha incontrato Vladimir Putin trentotto volte. L’ultima il 4 febbraio scorso, per siglare a Pechino la “Dichiarazione congiunta della Federazione russa e della Repubblica popolare cinese sull’ingresso delle relazioni internazionali in una nuova èra e sullo sviluppo globale sostenibile”.

Con questo documento i due leader hanno messo nero su bianco la loro scommessa sulla crisi irreversibile dell’ordine liberale e sull’affermazione di un multipolarismo che comporterebbe una «ridistribuzione di potere nel mondo». Xi e Putin hanno inoltre sostenuto che la democrazia e i diritti umani andrebbero declinati da ogni paese secondo la propria storia e cultura, cioè a piacimento di qualsiasi regime. Infine i due quasi-alleati «si oppongono a un ulteriore allargamento della Nato»: Pechino si è così schierata su un’importante questione europea, mentre Mosca le ha assicurato il suo sostegno al principio “Una sola Cina” su Taiwan. L’amicizia tra i due stati non ha limiti, hanno concluso Xi e Putin: non ci sono aree di cooperazione “proibite”.

Alla prova dei fatti – cioè della disastrosa campagna militare avviata da Putin il 24 febbraio – questa amicizia senza limiti ha posto al paese leader del commercio globale problemi enormi, per le ripercussioni della guerra sull’economia mondiale, e perché le sanzioni contro la Russia rischiano di colpire anche le compagnie cinesi. La quasi-alleanza con un Putin che rischia di essere sconfitto e isolato può rivelarsi un boomerang per Xi.

Gas, gas, gas

Le importazioni della Cina dall’Ucraina sono balzate da circa 3 miliardi di dollari nel 2012 a 9,9 miliardi di dollari nel 2021, mentre nello stesso periodo l’export da Pechino verso Kiev è aumentato da circa 7 miliardi di dollari a 9,4 miliardi di dollari. Per la Russia già nel 2020 l’interscambio commerciale con la Cina equivaleva al 23,7 per cento del totale, più del doppio di quello con la Germania (10,1 per cento) e quattro volte quello con gli Usa (5,7 per cento). E, in conseguenza del probabile, lungo isolamento di Mosca da parte dell’occidente, la Russia è destinata a diventare sempre più dipendente dalla Cina.

Inaugurato nel 2019, il gasdotto “potere della Siberia” raggiungerà la piena capacità (38 miliardi di metri cubi) nel 2025. Ma il 4 febbraio scorso Putin e Xi Jinping hanno firmato accordi per la fornitura di gas e petrolio russo per un valore complessivo di oltre 117 miliardi di dollari, tra cui quello con Gazprom per far arrivare ogni anno in Cina 10 miliardi di metri cubi di gas attraverso “potere della Siberia 2”, che collegherà l’isola di Sachalin, nell’estremo oriente russo, alla provincia dello Heilongjiang, nel nord est della Cina. La stessa Gazprom sta lavorando al progetto di un ennesimo gasdotto, il “Soyuz Vostok”, che dovrebbe raggiungere la Cina attraverso la Mongolia. L’export di gas russo in Cina potrebbe toccare i 48 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2026, quando sarà terminato “potere della Siberia 2”.

Se nel medio periodo la Cina potrà assicurarsi ingenti forniture di gas, sicure e a basso costo, nell’immediato Xi ha il problema di rassicurare l’opinione pubblica interna e l’occidente, dopo che il quasi-alleato Putin per centrare l’obiettivo della «ridistribuzione di potere nel mondo» ha riportato la guerra nel cuore dell’Europa.

Xi ha già proposto ai vertici di Bruxelles, il 1° aprile scorso, di mediare assieme all’Ue tra due paesi nei confronti dei quali Pechino può esercitare una potente leva economica, ma una serie di indiscrezioni d’intelligence su presunte forniture di armi cinesi alla Russia hanno fatto capire a Pechino la contrarietà degli Usa – almeno in quella fase del conflitto – a una mediazione cinese. Il presidente cinese ne ha riparlato in seguito con il suo omologo francese Emmanuel Macron.

Megafono dei paesi poveri

In attesa del momento propizio per favorire un negoziato, Pechino continuerà a farsi portavoce di quel consistente gruppo di paesi (i 35, soprattutto asiatici e africani, che si sono astenuti dalla risoluzione dell’Onu che ha condannato l’invasione russa) sui quali le conseguenze delle interruzioni delle catene di approvvigionamento rischiano di essere drammatiche. L’ambasciatore alle Nazioni unite, Zhang Jun, non smette di lanciare l’allarme sulle sanzioni che, provocando l’impennata dei costi dei generi alimentari e del petrolio, colpiscono soprattutto i paesi in via di sviluppo.

La contrarietà assoluta di Pechino alle sanzioni guarda anche al futuro del confronto con Washington, che potrebbe inasprirsi ulteriormente. «Il sequestro arbitrario e il congelamento delle riserve valutarie di altri paesi», ha tuonato Zhang Jun, «equivalgono a utilizzare l’interdipendenza economica come un’arma, provocando maggiori incertezze e pericoli all’economia mondiale e alle relazioni internazionali».

Ma la scelta di non condannare Mosca potrebbe avere pesanti ripercussioni sugli interessi della Cina in Europa, in particolare sul “16+1”, il forum di cooperazione con i paesi dell’Europa centro-orientale creato dalla Cina per far avanzare nella regione i suoi commerci e i suoi progetti infrastrutturali nell’ambito della nuova via della Seta. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, alcuni di questi stati (Polonia, Lettonia, Estonia tra gli altri) che si sentono nel mirino di Putin e sono stati spaventati dalla presa di posizione anti-Nato di Pechino, e che sono coinvolti nel confronto sempre più serrato tra democrazie e regimi autoritari, potrebbero essere non più favorevoli alla collaborazione economica con la Cina, mettendo in discussione il “16+1”.

L’invasione di Putin ha creato a Xi Jinping – l’artefice della partnership “senza limiti” con Mosca – il problema di far digerire, in patria e all’estero, il suo appoggio politico alla Russia, spacciato per “neutralità”. Il partito, alle prese con l’emergenza Covid e con il rallentamento dell’economia alla vigilia del suo XX congresso, ha oscurato dai media una guerra in cui la Cina è apparsa agli occhi dell’opinione pubblica interna (che, fin quando ha potuto, ha espresso perplessità e sconcerto sui social media) come sostenitrice di un paese che fa strame dei princìpi di sovranità e integrità territoriale difesi da decenni come “sacri” dalle leadership che si sono succedute nel Pcc.

Pechino non farà mosse azzardate, continuerà a sostenere la sua posizione ufficialmente di “neutralità” che le permette di atteggiarsi ad alfiere dei paesi in via di sviluppo, e a difendere le sue compagnie dalle insidie delle sanzioni internazionali. Ma, con la campagna russa che volge al peggio, se il quasi-alleato da un lato e, dall’altro, gli Usa lo permetteranno, Xi proverà a ritagliarsi un ruolo in un futuro negoziato, per provare a far dimenticare la scommessa perduta puntando sul cavallo Putin.

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