Non basta avere armi sofisticate e saperle usare per vincere una guerra. Servono, tra le altre cose, coordinate, intercettazioni via radio, aggiornamenti quotidiani sul numero di truppe e sull’arsenale a disposizione dell’esercito nemico e altre informazioni utilizzate per la pianificazioni degli attacchi. È questo il supporto principale che gli alleati della Nato, e in particolare gli Stati Uniti, stanno garantendo all’esercito ucraino.

Un aiuto prezioso che dopo oltre settanta giorni di guerra ha permesso a Volodymyr Zelensky di difendere Kiev e allontanare le forze russe respingendole nel Donbass. Territorio ben conosciuto dalle milizie separatiste che combattono al fianco di Mosca e dove i russi hanno annunciato di voler concentrare la loro «battaglia finale».

Quella in Ucraina è una guerra combattuta tra due eserciti (oltre che un nutrito gruppo di mercenari) e più apparati di intelligence, tra cui la Cia, che sta decisamente spostando gli equilibri con la sua collaborazione. Non è un segreto, e forse non lo è mai stato in questa guerra, ma anche il portavoce del Pentagono John F. Kirby ha confermato che gli americani forniscono «all’Ucraina informazioni e intelligence che possono usare per difendersi». «Abbiamo aperto i tubi», ha detto invece Mark Milley, il capo di Stato maggiore dell’esercito americano in una commissione del Senato riferendosi al flusso di informazioni che raccolgono e lavorano dal campo di battaglia.

La collaborazione tra i servizi segreti statunitensi e le autorità ucraine è iniziata molto prima dell’invasione dello scorso 24 febbraio. Secondo quanto rivelato dal Wall Street Journal il direttore dell’Agenzia centrale di intelligence, William Joseph Burns, ha incontrato a Kiev il presidente Zelensky a metà gennaio. Una visita per comunicare le informazioni sull’imminente piano di attacco russo e che hanno permesso all’esercito ucraino di presentarsi preparato nei primi giorni della guerra.

Il doppio binario

Kiev ha affermato di aver ucciso dodici generali russi, un numero decisamente elevato, ma dal Pentagono non forniscono informazioni su un loro coinvolgimento attivo delle forze americane nell’uccisione dei generali o alti ufficiali. Il presidente Joe Biden si trova davanti a  un bivio: da una parte non può evitare di fornire aiuto a Kiev, dall’altra non può esporsi troppo e dare vita a una escalation militare oltre i confini ucraini.

Non tutti gli attacchi, infatti, vengono condotti con l’aiuto prezioso di Washington e la vicenda del capo di stato maggiore russo, Valery Gerasimov, è l’esempio lampante di come gli Stati Uniti decidano di collaborare attivamente senza correre un rischio eccessivo.

Negli ultimi giorni è circolata la notizia che il generale Gerasimov, l’uomo più alto nella scala gerarchica dell’esercito russo e che è l’unico insieme a Vladimir Putin e al ministro della Difesa Sergej Shoigu a possedere i codici delle testate nucleari, si trovava nel Donbass la scorsa settimana per supervisionare l’avanzata delle sue truppe.

Le autorità ucraine hanno detto di aver attaccato una scuola utilizzata come base militare dalle forze russe nella città di Izium e che avrebbero ucciso almeno duecento soldati. Sempre secondo l’esercito ucraino, Gerasimov sarebbe fuggito all’attacco dopo essere stato ferito alla gamba da una scheggia. Gli americani, che secondo il New York Times non sono stati complici dell’attacco, hanno trattato la notizia con molta cautela e si sono limitati a confermare la presenza di Gerasimov nel territorio ucraino ma non il suo ferimento.

Il supporto americano

Ufficialmente in territorio ucraino non ci sono militari o agenti americani. Il sostegno dei servizi segreti di Washington arriva sotto forma di immagini satellitari, informazioni di prima mano raccolte sul campo elaborate ed elaborate quasi in tempo reale prima di essere consegnati ai militari ucraini.

Il 3 maggio la Cia ha anche postato sui suoi canali social un messaggio in cirillico fornendo istruzioni su come i russi possono contattare l’agenzia in maniera sicura attraverso un portale online criptato che garantisce la segretezza. L’obiettivo è cercare di ottenere informazioni tra cittadini o membri dell’esercito russo più insoddisfatti dell’andamento della guerra visto l’alto numero di perdite subìte.

Il coordinamento tra Stati Uniti, Nato e Ucraina ha permesso di mettere a segno attacchi importanti. Come quello riportato dalla rete televisiva statunitense Nbc, secondo cui grazie alle coordinate americane gli ucraini sono riusciti a distruggere un aereo russo che stava trasportando soldati verso lo scalo di Hostomel, a nord della capitale.

Non è chiaro invece se ci sia stato o meno un coinvolgimento da parte degli Stati Uniti nella vicenda dell’incrociatore missilistico Moskva, la nave ammiraglia della flotta russa di stanza nel mar Nero affondata a metà aprile.

Dal Cremlino hanno detto che l’affondamento dell’incrociatore è stato causato da un incendio scoppiato a bordo nel deposito munizioni, mentre gli Stati Uniti hanno confermato che l’ammiraglia sia stata colpita con due missili Neptune di fabbricazione ucraina, ma colpire e affondare una nave di quel tipo che gode di un sofisticato sistema di difesa non è semplice.

La strategia

La guerra in Ucraina sta mostrando un sostegno da parte dell’intelligence americana nei confronti di un paese non Nato senza precedenti. Difficilmente si ricorda anche una strategia comunicativa espansiva di questo tipo.

Attraverso interviste rilasciate alla stampa, bollettini militari quotidiani e discorsi pubblici i servizi segreti americani e il presidente Joe Biden mostrano al mondo intero che hanno in un certo senso il “controllo” della situazione, a differenza di quanto è accaduto la scorsa estate in Afghanistan. Alla Russia, invece, confermano che l’Ucraina non è sola in questa guerra, eliminando, pur sempre nei limiti che impone il loro ruolo, il carattere di segretezza che ha sempre caratterizzato i servizi segreti.

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