“Ultima visualizzazione 30 aprile”. Chi ha parenti e amici a Kherson, città dell’Ucraina meridionale, ha visto, per giorni, questa scritta nelle chat di Telegram e Viber. Oltre a Internet, era scomparsa anche la rete dei cellulari nell’intera regione. Non c’era alcuna possibilità di mettersi in contatto con chi abita in città, in una zona che dal 2 marzo vive sotto occupazione russa. Non c’era campo, solo tanta preoccupazione. 

Nei gruppi dei quartieri scriveva solo chi era riuscito ad andarsene prima del 30 aprile: “Non riesco a sentire mia mamma”, “Qualcuno è riuscito a mettersi in contatto con chi abita a Kherson?”, “Sapete cosa è successo alla rete?”. La città era all’improvviso isolata e non era chiaro di chi fosse la colpa.

Rimbalzo di responsabilità

(foto Konstantin Ryzhenko)

Oleg Kryuchkov, consigliere per le politiche d'informazione della Crimea, ha accusato le autorità di Kiev: «Hanno privato gli abitanti della regione di Kherson delle comunicazioni mobili e di Internet, abbandonando così con aria di sfida questi territori».

Solo più tardi è diventato evidente come dietro alla disconnessione ci fosse invece la volontà della Russia. Secondo NetBlocks, l'organizzazione con sede a Londra che monitora la sicurezza informatica e le interruzioni della rete, il traffico Internet era stato reindirizzato, dopo alcuni giorni, attraverso l'infrastruttura di comunicazione russa.

Secondo le autorità ucraine il blackout era stato causato dai «militari di Mosca che avevano tagliato i cavi in fibra ottica e bloccato l’alimentazione alle stazioni base». Le comunicazioni sono state parzialmente ristabilite il 3 maggio.

Isolati

Oggi ci sono ancora molti problemi di connessione, ma dopo quattro giorni di isolamento totale chi abita a Kherson ha potuto almeno mandare un messaggio ai propri cari per far sapere di essere vivo. «Ho avuto tanta paura. Immaginatevi cosa significa vivere senza poter chiamare nessuno. La rete dei cellulari era completamente assente. Questo significa non poter chiamare nemmeno un’ambulanza se si sta male o i pompieri in caso di incendio. In quei giorni ci poteva succedere qualsiasi cosa e nessuno avrebbe saputo nulla di noi. Eravamo totalmente tagliati dal mondo», racconta Tatjana, che ha 40 anni e abita nel centro di Kherson.

«All’inizio pensavamo fosse un blackout momentaneo. In questi due mesi di occupazione, ci era già successo altre volte di trovarci senza rete. Ma il primo maggio abbiamo capito che non si trattava di un problema passeggero. Ci siamo spaventati, non riuscivamo a metterci in contatto con i nostri parenti, non sapevamo cosa stesse succedendo in città. Siamo usciti di casa e abbiamo visto tante persone per strada, si parlava solo della disconnessione della rete», dice un’altra abitante di Kherson di poco più di 30 anni.

Abbracciati alle poste

(foto Konstantin Ryzhenko)

Nei giorni di isolamento, le persone hanno preso d’assalto l’ufficio postale. Il giornalista di Kherson,  Konstantin Ryzhenko, spiega: «Dopo il blackout, abbiamo scoperto, casualmente, che l’ufficio usava un provider diverso rispetto al resto della città quindi da lì era possibile collegarsi a Internet».

«La gente abbracciava letteralmente l’edificio per avvicinarsi al router. Le persone iniziavano ad arrivare alle cinque del mattino per riuscire a collegarsi quando c’era meno gente, perché la rete dell’ufficio postale non era predisposta per un numero così alto di connessioni e durante il giorno era lentissima», racconta sempre Ryzhenko, che sul suo canale Telegram ha pubblicato anche le foto delle persone ammassate attorno all’edificio nella speranze di mettersi in contatto con amici e parenti. 

«A volte per stabilire una connessione ci si metteva anche 40 minuti e altri 30 per riuscire a effettuare una chiamata», spiega il giornalista. 

Kherson è Ucraina

(foto Konstantin Ryzhenko)

Nel frattempo alcuni abitanti di Kherson hanno inventato metodi alternativi per far arrivare dei messaggi ai loro cari. “Katja, abbiamo lasciato la città”, ha scritto qualcuno per terra col gessetto, nella speranza che Katja leggesse queste parole.

“Non abbiamo rete, chiamate i miei genitori”, la scritta, insieme al numero di telefono da comporre, era stata lasciata davanti alle videocamere di sorveglianza perché potesse essere letta da qualcuno, come si vede dalla foto pubblicata da un canale Telegram locale che conta più 200mila iscritti.

Ma nonostante la disconnessione, il crescente senso di isolamento, le voci di referendum di indipendenza dall’Ucraina, gli abitanti di Kherson con cui siamo in contatto non perdono la speranza e non si sentono abbandonati dall’Ucraina. Anche se sono ormai più di due mesi che la città è in mano ai russi. «A volte la mia fiducia vacilla, è difficile vivere in una situazione di totale incertezza, poi però sento in periferia i bombardamenti e penso che lì sta andando avanti la controffensiva e mi dico che ci libereranno perché Kherson è Ucraina», dice Natalia, una farmacista. 

Il 9 maggio

(foto Konstantin Ryzhenko)

Le nuove autorità, imposte dai militari russi, non escludono che presto a Kherson potrebbero essere vietati i social occidentali, come è successo in Russia. Kirill Stremousov, vicepresidente dell’amministrazione militare e civile della regione, ha dichiarato a Rbc: «Metteremo a bando prossimamente Facebook, Instagram e altre piattaforme che screditano la nostra regione e si comportano come organizzazioni estremiste volte a destabilizzare la situazione a Kherson».

Al momento questa possibilità non sembra allarmare gli abitanti di Kherson, l’argomento non viene particolarmente discusso sui canali Telegram e nei gruppi Viber. L’attenzione è concentrata su cosa potrebbe accadere in città domani, lunedì 9 maggio, durante il giorno della Vittoria. Tutti si aspettano un annuncio importante dal presidente russo Vladimir Putin e, secondo alcune ricostruzioni, questo potrebbe riguardare proprio Kherson: una sua indipendenza dall’Ucraina o direttamente l’annessione della regione alla Crimea.

Russi per sempre

Secondo diversi analisti, l’idea iniziale del Cremlino era di arrivare al 9 maggio con in mano i risultati di un referendum a Kherso. Per annunciare così la nascita di una nuova Repubblica popolare, sul modello di Donetsk e Luhansk. Ma la resistenza degli abitanti della città e la lentezza sul campo avrebbero fatto saltare questo piano. 

Il senatore della Federazione russa, Andrey Turchak, ha assicurato che Kherson non tornerà a essere ucraina. Rivolgendosi direttamente agli abitanti della regione ha detto: «Vi ripeto ancora una volta che la Russia è qui per sempre. Questa è una certezza. Non ci sarà alcun ritorno al passato». 

Quale liberazione

(foto Konstantin Ryzhenko)

Anche i soldati ucraini si sono rivolti direttamente a chi abita a Kherson. «Stiamo combattendo per voi, stiamo venendo in vostro aiuto», hanno detto in un video e hanno annunciato la liberazione di alcuni insediamenti nella regione. Non ci sono conferme da parte russa.

Le speranze di coloro con cui parliamo sembrano essere appese proprio a questa controffensiva. «Aspettiamo l’Sbu (il servizio di sicurezza dell’Ucraina, ndr). Ci libereranno, non ci hanno abbandonato», dice sicura Tatjana. Natalja condivide le sue speranze: «Spero che abbiano rinunciato al referendum fake che volevano fare qui. Spero di rimanere nel mio paese e spero che arrivi presto la vittoria dell’Ucraina».

Intanto però la città si prepara a celebrare un’altra vittoria, quella della Russia sulla Germania nazista. A Kherson, i militari russi hanno smantellato la scritta in pietra “Ucraina”, vicino al parco della Gloria (Park Slavy).

All’ingresso dello stesso parco sono stati appesi manifesti con la falce e il martello e le scritte “Vittoria” e “9 maggio”. In piazza della Libertà è stato montato un maxischermo dove scorrono immagini in bianco e nero e una voce dall’altoparlante parla della “Grande guerra patriottica”. 

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