Si allarga lo scandalo intorno al segretario alla Difesa americano. Che ha condiviso i piani dei raid sugli Houthi anche in una seconda chat su Signal. Questa volta con la moglie Jennifer, il fratello Phil e il suo avvocato. Trump continua a difenderlo («fake news»), ma la sua posizione si è incrinata. Intanto le esternazioni del tycoon sul capo della Fed fanno crollare il dollaro
I problemi per l’amministrazione di Donald Trump si accumulano. E sono legati sia a come si sta muovendo il presidente statunitense, sia all’operato e alla condotta di alcuni suoi fedelissimi. Dalla gestione di Elon Musk al controllo su Pete Hegseth. L’ultimo grattacapo, infatti, glielo sta procurando proprio il segretario alla Difesa e riguarda ancora una volta chat e messaggi. Ma proprio per la fragilità attuale, il presidente non può che difendere a oltranza la sua cerchia.
Informazioni sensibili
Dopo il caso del direttore di The Atlantic, Jeffrey Goldberg, inserito per errore nella chat Signal dei funzionari di Donald Trump in cui sono stati inviati dettagli di un attacco in Yemen, ora un nuovo caso rischia di travolgere Pete Hegseth. Il segretario alla Difesa americano, infatti, ha condiviso i piani dello stesso raid di marzo in una seconda chat su Signal. Questa volta con la moglie Jennifer, il fratello Phil e il suo avvocato - questi ultimi due con ruoli nel dipartimento della Difesa - oltre ad altre persone, ha rivelato il New York Times.
È la seconda prova che l’amministrazione americana ha rivelato informazioni militari sensibili con personale non autorizzato. E se nel primo caso il giornalista era stato aggiunto inavvertitamente nella chat dal consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, questo secondo gruppo - sempre su Signal - è stato creato appositamente da Hegseth, a cui vi accedeva dal suo telefono personale. Un gruppo con 13 persone, ideato inizialmente per supportare Hegseth nella sua conferma da ministro. Ma poi la chat è stata utilizzata anche per condividere i dettagli dell’attacco. La sostanza è che ancor prima del loro lancio, diverse persone non legate al Pentagono erano a conoscenza dei bombardamenti americani sulle postazioni Houthi, avvenuti a metà marzo.
Una grave lacuna nella sicurezza americana che ha fatto scattare le indagini – ancora in corso – sul cosiddetto “chatgate” e in generale sulla facilità nell’uso della Casa Bianca di un’app commerciale di messaggistica priva delle necessarie garanzie di protezione. Ora la posizione di Hegseth si è incrinata ancora di più, nonostante sia arrivata la prima levata di scudi. Ieri, infatti, Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, è stata ferma: «Ho parlato con lui questa mattina e Trump lo sostiene fermamente». A stretto giro lo stesso Trump ha bollato come «fake news» le nuove indiscrezioni e ha difeso Hegseth: «Sta facendo un grande lavoro, chiedete agli Houthi». I democratici premono per le dimissioni del segretario alla Difesa, ma il presidente Usa non sembra potersi permettere di imporre un passo indietro a una figura così importante della sua amministrazione a soli tre mesi dal suo insediamento. Sarebbe un segnale di debolezza, quindi per adesso la sua conferma è l’unica possibilità.
Faide al Pentagono
Tuttavia, la situazione attorno al Pentagono e a Hegseth è critica già da settimane. Solo pochi giorni fa sono stati licenziati il consigliere Dan Caldwell, il vice capo di gabinetto di Hegseth Darin Selnick e il capo di gabinetto del vicesegretario alla Difesa Stephen Feinberg. Tutti e tre hanno rigettato le accuse di essere responsabili di alcune fughe di notizie. E secondo alcune indiscrezioni, anche il capo dello staff di Hegseth, Joe Kaspar, lascerà il suo incarico nei prossimi giorni.
Faide, sospetti e rese dei conti interni che in pochi mesi hanno stravolto il Pentagono. Secondo alcune testimonianze, l’intero dipartimento sarebbe «nel caos totale». Parole usate dall’ex addetto stampa John Ullyot, che ha lasciato il suo incarico giorni fa. Un caos che «ora è una grande distrazione per il presidente» ha sottolineato Ullyot. La linea assunta da Hegseth e dalla Casa Bianca, però, è quella di accusare gli «ex dipendenti scontenti» per le fughe di notizie e per le rivelazioni contro il titolare del Pentagono.
Intanto, un ulteriore grattacapo per Trump glielo dà Elon Musk. Oltre ai suoi interessi economici, basterebbe soltanto il suo peso mediatico a rendere il fondatore di Tesla una figura ingombrante all’interno dell’amministrazione Usa. Secondo il Washington Post, Musk si sta preparando a lasciare il governo federale degli Stati Uniti. Il suo status da dipendente governativo scade a maggio, ma il miliardario sarebbe stanco di ricevere «attacchi sgradevoli e immorali» per il suo ruolo accanto a Trump. In particolare per l’azione del suo Doge, ovvero il Dipartimento per l’efficienza governativa, mentre dei numerosi tagli di cui si è reso protagonista il governo Usa.
In realtà già di recente erano emerse indiscrezioni sul potenziale addio di Musk dall’amministrazione, subito smentite dal diretto interessato e dalla Casa Bianca. Al momento non ci sono date certe, ma se le voci dovessero concretizzarsi le domande saranno due: sarà una vera separazione? E soprattutto: vista la natura dei personaggi, come sarà gestita? Anche perché con lo scontro tra Musk e il consigliere presidenziale Peter Navarro sui dazi sono emersi i dissapori che covano nella stessa amministrazione attorno all’uomo più ricco del mondo.
Lo scontro con Powell
In tutto ciò, Trump continua la sua campagna contro Jerome Powell. I retroscena dalla stampa americana dipingono una Casa Bianca che starebbe pensando alla possibilità di far saltare il presidente della Fed. Ieri è arrivato un altro attacco di Trump, che ha definito Powell «un grande perdente» accusandolo ancora di non voler tagliare i tassi di interessi. Il problema, anche qui, è che se Trump optasse per il licenziamento, la reazione dei mercati ricadrebbe sulla sua amministrazione.
Già ieri, a causa dello scontro tra il presidente e la Federal Reserve, il dollaro ha toccato il livello più basso degli ultimi tre anni. I grattacapi, quindi, non sembrano voler finire.
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