Il 13 marzo di dieci anni fa i barbari sono entrati in Vaticano con Jorge Mario Bergoglio, il papa sudamericano che parla una lingua mista, nata dall’esperienza porteña (di Buenos Aires) e dall’italiano intriso di dialetto dei genitori, immigrati italiani di origine piemontese, che seguirono, nei primi decenni del Novecento, il flusso delle navi lungo la rotta atlantica per cercare fortuna dall’altra parte del mare.

L’elezione del pontefice argentino, il primo papa americano, ha cambiato profondamente la curia romana, ne ha sconvolto riti, usanze, abitudini e gerarchie. La stessa figura del papa uscirà cambiata, forse per sempre, dal pontificato di Francesco.

Spogliata della retorica e della ieraticità che l’avvolgeva, demitizzata, resa più umana, quindi anche più contraddittoria e fragile, l’immagine del vescovo di Roma non è più avvolta dal mistero e anche sulle sue condizioni di salute non c’è spazio per molte speculazioni e voci di corridoio, perché le notizie sugli acciacchi e i problemi fisici vengono diffuse dallo stesso pontefice.

La curia

Francesco in questi anni ha ingaggiato un lungo braccio di ferro con la curia, con i suoi apparati, per smontare i meccanismi classici di un mondo chiuso: il persistere di piccoli e grandi privilegi, l’uso disinvolto del denaro e delle risorse dei fedeli, l’assenza di trasparenza in ogni comportamento, gli uffici vaticani trasformati in piccoli feudi personali.

Il tempo dirà se l’imponente e continuo lavoro legislativo prodotto in questi anni modificherà in modo sostanziale le regole – anche quelle non scritte – entro le quali si svolge la vita della curia; intanto è stata promulgata ed è entrata in vigore nel 2022 una nuova Costituzione apostolica (Praedicate evangelium) che riorganizza dicasteri e strutture interne.

Ma, soprattutto, Praedicate evangelium, riassume in sé le tante norme per una corretta e trasparente gestione delle finanze vaticane emanate in questi anni dal papa per porre un freno a mala gestione e scandali.

Le cose non devono andare tanto lisce però se Francesco ha dovuto pubblicare, ancora nelle settimane scorse, un nuovo motu proprio con il quale ha riaffermato che i beni della chiesa non possono essere considerati di proprietà di un singolo dicastero o di un organismo vaticano, ma la loro destinazione è sempre universale, non possono cioè diventate beni “privati” di un certo ente ma restano della Santa sede. Tanto per dire del clima che si respira nei sacri palazzi.

Infine, è del 7 marzo scorso il nuovo Statuto dello Ior, la mitica “banca vaticana”, che prevede, fra le altre cose, un limite dei mandati – massimo due, per un totale di 10 anni – nei vari organismi amministrativi. 

È un fatto, in ogni caso, che l’appartamento del papa nella terza loggia dei palazzi vaticani è vuoto dal marzo del 2013, da quando cioè Jorge Mario Bergoglio, appena eletto, si fece accompagnare a visitare le stanze in cui avevano abitato i suoi predecessori; cortesemente passò attraverso le stanze dell'abitazione e poi disse “no grazie”, per ora resto a Santa Marta. Più tardi decise di rimanervi stabilmente. 

Se un mutamento d’epoca è in primo luogo una questione di simboli, di certo Francesco, almeno nella prima parte del pontificato, è partito in quarta, ha svuotato la reggia, o almeno ha cominciato a farlo.

Borges e il San Lorenzo

L’immagine del papa della porta accanto nasce allora così, con le utilitarie al posto delle berline di lusso, i protocolli che perdono ogni senso tranne in alcuni casi speciali, il “buon pranzo” augurato spesso la domenica alla fine dell’angelus per avvicinarsi a quella normalità della vita quotidiana nella quale Bergoglio voleva riportare la chiesa.

Francesco ha provato ad essere il papa-parroco della chiesa di quartiere, che non nasconde di essere un tifoso sfegatato del San Lorenzo, squadra di calcio argentina poco nota (ricevuta naturalmente in Vaticano quando ha vinto il campionato), che ha conosciuto e letto il connazionale Borges, non solo le vite dei santi.

Una persona, insomma, segnata dalla cultura del nostro tempo. Tutti questi particolari sono emersi – e sono stati trasmessi con abilità all'opinione pubblica – fin dal principio del suo mandato, e stanno a significare che l’uomo di chiesa è anche un uomo di questo mondo, della sua epoca, proveniente da una famiglia di immigrati italiani nella quale, appunto, la domenica presumibilmente ci si riuniva a pranzo.

Il che un po’ nasconde la lunga e difficile esperienza di vita e di formazione del papa, passato per frangenti storici e personali non facili. E di certo ci si può chiedere quanto vi sia di studiato, di ingannevole, di preparato in questa semplicità manifesta, ostentata, così immediatamente mediatica.

Dualismi

D’altro canto, Francesco ha avuto il compito di traghettare la chiesa in un’epoca in cui il cattolicesimo da qualche tempo non rappresenta più la maggioranza del comune sentire anche in quei paesi in cui, e forse soprattutto, gode di un’antica tradizione.

Il cristianesimo, e al suo interno in modo specifico la chiesa cattolica, stanno infatti vivendo un momento cruciale, si potrebbe anzi dire che sia in corso una sorta di doppio e reciproco scisma (o una separazione di fatto): una spaccatura fra fondamentalismo e riforma, nazionalismo e cosmopolitismo, confronto con la modernità e tradizionalismo, xenofobia e accoglienza, dogma e misericordia, diritti civili e legge naturale.

Una faglia sempre più larga si sta allargando lungo questi e altri dualismi che corrispondono ad una più generale ridefinizione delle identità nazionali e continentali, mentre l’Europa ha perso il proprio ruolo di terra d’elezione del cristianesimo.

Il magistero di Bergoglio coglie i rischi di questo passaggio d’epoca e prova a costruire una non semplice sintesi che avrà un suo punto di caduta nel sinodo generale della chiesa convocato dal papa la cui conclusione sarà nell’autunno del 2024.

La novità è che non siamo di fronte a una discussione puramente teorica, anzi, si tratta di una contesa che tocca temi decisivi nella vita delle nostre società come immigrazione, sessualità, famiglia, economia globale, cittadinanza, guerre.

Resta da vedere fino a che punto il papa argentino riuscirà a garantire l’unità della chiesa e allo stesso tempo ad aprire la strada a qualche segnale visibile di cambiamento.

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