La battaglia del presidente americano, Donald Trump, per mantenere riservate le sue dichiarazioni fiscali ha subìto un brutto colpo. Tre giudici della Corte d’appello federale hanno confermato che i documenti dovranno essere consegnati alla procura di New York, guidata da Cyrus Vance, un democratico. La decisione riguarda dichiarazioni dei redditi relative sia alle sue società – la Trump Organization – che quelle personali.

I legali del presidente avevano fatto ricorso sostenendo che la richiesta della procura era vaga e politicamente motivata, argomentazione che il tribunale ha rigettato: «Nessuna delle accuse del presidente, prese separatamente o assieme, è sufficiente a dimostrare in modo plausibile che la richiesta della procura è stata emessa con l’intento di aggredirlo», hanno scritto i giudici.

Ora agli avvocati di  Trump non resta che presentare un ricorso alla Corte suprema, la quale tuttavia già lo scorso luglio aveva respinto la pretesa del presidente di potersi considerare immune alle indagini. I giudici avevano comunque chiarito che poteva appellarsi facendo leva su altri punti, come la rilevanza o il fine della pubblicazione di questi documenti, cosa che i legali di Trump hanno fatto.

Ed è proprio su questo che hanno di nuovo perso. Già alla fine di settembre la situazione fiscale di Trump era tornata al centro dell’attenzione mediatica con la pubblicazione di una monumentale inchiesta del New York Times: svelava che Trump non aveva pagato tasse per 11 anni e che nel 2016 e 2017, appena eletto presidente, aveva pagato solo 750 dollari. Tuttavia, come già successo nel caso dell’inchiesta del Times, questo tipo di notizie non sembrano avere davvero un impatto sui suoi potenziali elettori.

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Nello studio ovale?

Un consigliere del presidente ha detto per errore ai giornalisti che Trump era già tornato al lavoro nello Studio Ovale, cosa che confligge con gli ordini dei medici di rimanere isolato nel lato residenziale della Casa Bianca. Incalzato dai giornalisti, il consigliere ha spiegato che considerava il ritorno dietro al Resolute desk come un fatto inevitabile.

Il capo di gabinetto, Mark Meadows, ha detto che l’agenda del presidente «in questo momento è fluida». Da quando è rientrato dall’ospedale, Trump ha minimizzato i rischi del Covid, si è preso il merito per aver sconfitto la malattia e ha fato naufragare la trattativa con i democratici sullo stimolo economico per la pandemia.

Riproponendo la sua strategia negoziale classica, il presidente ha fatto saltare il tavolo (cosa che ha fatto crollare le borse) e poi, un tweet dopo l’altro, ha fatto passi indietro, riaprendo spiragli di trattativa non sull’intero pacchetto di finanziamenti ma su voci di spesa specifiche. Intanto la speaker della Camera, Nancy Pelosi, e il segretario del Tesoro, Steve Mnuchin, hanno discusso di un disegno di legge per sostenere le compagnie aeree.

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Il primo e unico faccia a faccia tra i vice, Harris e Pence

Mercoledì sera a Salt Lake City, in Utah, si terrà il primo e unico dibattito tra i due candidati alla vicepresidenza degli Stati Uniti, l’attuale vice di Donald Trump, Mike Pence, e la democratica Kamala Harris. Il dibattito si terrà alle 21 ora di New York, le tre di notte italiane, e sarà moderato da Susan Page, giornalista a capo dell’ufficio di USA Today a Washington DC con alle spalle decenni di carriera e interviste a nove presidenti americani.

Anche se Pence non ha lo stesso carisma di Trump - che nel primo dibattito ha mostrato un’arroganza senza precedenti storici, interrompendo e insultando l'avversario Joe Biden e non mostrando alcuna considerazione per le regole - Harris ha imparato la lezione e si è detta preparata a contenere eventuali interruzioni.

Harris e Pence si confronteranno per 90 minuti, in 9 slot da 10 minuti, ciascuno dedicato a una specifica domanda della moderatrice. Al fine di prevenire ogni possibile contagio di Covid19, saranno posizionati a più di 3,5 metri di distanza e separati da pannelli di plexiglass, nonostante il team di Pence ieri abbia contestato questa ultima precauzione.

La polemica è suonata particolarmente fuori luogo considerando che Pence - che tra l’altro è a capo della task force per affrontare la pandemia - era presente all'evento che si ritenga abbia scatenato il focolaio tra i sostenitori di Trump, ovvero la nomina di Amy Coney Barrett alla corte suprema, tenutasi sabato scorso nel giardino delle rose della Casa Bianca. Pence era seduto in prima fila, rigorosamente senza mascherina come la stragrande maggioranza degli altri invitati, proprio davanti al governatore dello Utah, Mike Lee, poi risultato positivo al test.

I commentatori americani, dalle testate più conservatrici a quelle più progressiste, concordano sul fatto che si tratti di un dibattito di particolare importanza. Vista l’anzianità dei due candidati alla presidenza e lo stato di salute di Trump, entrambi i vice si impegneranno per mostrarsi all'altezza di un eventuale passaggio alla carica più alta.

Al centro del dibattito ci sarà certamente la gestione della pandemia, oltre che la possibile conferma di Coney Barrett alla corte suprema prima del 3 novembre. Harris ha più volte avvertito che un simile evento metterebbe a rischio il diritto all’aborto e più in generale la libertà delle donne di decidere sul proprio corpo.

Non ha tuttavia mai chiarito se appoggerebbe l’idea di aumentare il numero dei giudici nel caso Coney Barrett venisse confermata: questo permetterebbe di “ribilanciare” la corte suprema, già a maggioranza conservatrice, dopo la morte di Ruth Bader Ginsburg.

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Le bugie su Biden e il fracking

Intanto, sempre a colpi di tweet, Trump continua la campagna di calunnie contro Biden, sostenendo che i sondaggi che lo danno in vantaggio in Pennsylvania non sono credibili. «Come è possibile che sia in vantaggio in Pennsylvania considerando che è contro il fracking (JOBS!), il secondo emendamento e la religione? Sondaggi falsi. Vincerò la Pennsylvania».

Se si escludono secondo emendamento e religione, nei confronti dei quali Biden non si è mai dichiarato contro pur appoggiando certe limitazioni, il tema del fracking resta più controverso. Da quando la sua nomina è stata confermata, Biden ha assunto posizioni sempre più forti nei confronti della lotta al cambiamento climatico, abbracciando posizioni più vicine a quelle di Bernie Sanders e annunciando un piano da 2000 miliardi per l’ambiente.

Tuttavia non si è mai spinto al punto di dire che metterà fine al fracking, ovvero una tecnica di fratturazione idraulica per estrarre il petrolio, molto dannosa per l’ambiente e appunto molto utilizzata in Pennsylvania.

Come chiarisce un articolo del Washington Post, Biden ha solo detto che non intende concedere più permessi per le trivellazioni su territori di proprietà federale, ma considerando che il 90% dei pozzi di petrolio negli Stati Uniti sono su terreni privati la sua decisione non è destinata ad avere un grande impatto.

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