Sono finora 32.600 le persone migranti sbarcate sulle coste italiane da inizio anno fino al 1 dicembre. Di questi, oltre 12.500 (e quindi 4 su 10) sono di nazionalità tunisina, sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Bangladesh (circa 4.100, il 13 per cento), Costa d’Avorio (1.739), Algeria (1.379), Pakistan (1.358), Egitto (1.155), Sudan (1.043), Marocco (995), Afghanistan (949), Somalia (810), a cui si aggiungono 6.500 persone (2 su 10) provenienti da altri stati o per le quali è in corso la procedura di identificazione.

Questi i crudi dati del ministero dell’Interno; a chi non ha parametri o strumenti, possono far pensare che fanno pensare a un’invasione. Nulla, invece, se pensiamo che negli ultimi cinque anni gli irregolari arrivati in Europa sono stati circa due milioni di persone, quasi tutte in fuga da paesi in guerra, e una minoranza in cerca di una vita migliore per se stessi e le loro famiglie. Solo centomila gli arrivi regolari, tramite missioni o corridoi umanitari: il 5 per cento del totale.

Ma arginare le traversate del Mediterraneo è del tutto inutile: chi vuole spostarsi lo fa lo stesso, attraverso altre rotte. Dall'est si prova a passare lungo la rotta balcanica, dal sud e in particolare dall'africa subsahariana e nord-occidentale, si affronta l'oceano per tentare la rotta che passa dalle isole Canarie.

La rotta delle isole

Non è una nuova rotta, quella che passa dalle isole Canarie. È dal 1994 che questa rotta attraverso l’oceano Atlantico è aperta come via alternativa rispetto alla rotta del Mediterraneo centrale. E infatti viene scelta da chi scappa ogni volta che la crisi in Libia si inasprisce o che le politiche europee aumentano la pressione per impedire le partenze dal Paese nordafricano o favoriscono e guidano le operazioni della cosiddetta guardia costiera libica e contemporaneamente rendono praticamente impossibile l'intervento delle navi umanitarie.

Si chiude una strada e se ne apre un'altra: è impossibile formare chi mette in conto di morire, di dover fare lo schiavo, di subire ogni tipo di violenza piuttosto che rimanere sotto le bombe, gli spari, morire di inedia, subire persecuzioni per religione o identità sessuale. Se nel 2010 solo 196 persone sono arrivate in Europa attraverso l'oceano, nel 2020 oltre 16mila migranti hanno percorso questa rotta, con un aumento rispetto all'anno precedente di oltre il 500 per cento. Una rotta non meno pericolosa di quella attraverso il Mediterraneo, ma non si riescono ad avere notizie sugli incidenti che occorrono a chi è in fuga.

Le certezze, però le abbiamo: chi arriva attraverso l'Oceano Atlantico, spiegano gli attivisti del Circolo del Silenzio delle Isole Canarie, sono uomini, giovani madri, bambini anche soli, provenienti da Senegal, Mali, Marocco, Costa d’Avorio, Guinea e Gambia. Non resta loro che affrontare anche 1.700 chilometri di navigazione nell’Atlantico, in condizioni meteo marine terribili, onde enormi e venti fortissimi e contrari, sperando di riuscire a sbarcare nell’arcipelago. «Noi vediamo solo la piccola punta di un iceberg» dice Sophie Muller, Alto Commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite, «perché queste persone scelgono di percorrere rotte che sono davvero impossibili da portare a termine». Impossibili da percorrere perché nessuno le controlla, perché il mare è feroce, perché le distanze sono infinite. Ma è anche, e per gli stessi motivi, impossibile conoscere il numero dei naufragi e dei morti. Se ne viene a sapere solo quando relitti o cadaveri raggiungono le acque controllate dalla Spagna.

Alarm Phone, l'organizzazione di volontari che rilancia alle autorità e alle navi della società civile le richieste di soccorso ricevute dal mare, conferma: «Nel 2020 la rotta attraverso l'Atlantico è stata più trafficata. Chi la segue passa settimane in mare. L’unica speranza è la guardia costiera spagnola, che però copre un'area di milioni di chilometri quadrati, così vasta da non lasciare speranza se una barca ha perso la rotta o un motore si è guastato e le persone a bordo non hanno mezzi di comunicazione, il che è frequente quando le partenze sono dai paesi dell'Africa occidentale». E se nella rotta mediterranea si stima che muoia una persona ogni 94 che partono, nell'Atlantico i morti stimati sono uno ogni 20 partenti.

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