Durante la visita del segretario generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres, che dopo aver fatto tappa a Istanbul e a Mosca ha visitato la capitale ucraina e le fosse comuni a Bucha, c’è stato un attacco con missili da crociera su Kiev «per umiliare l’Onu», ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, promettendo «una risposta forte». Nell’attacco è stata uccisa anche la giornalista ucraina Vera Girich. 

A poco è servita la versione del ministero delle Difesa di Mosca secondo cui «il bombardamento russo su Kiev ha distrutto con missili di alta precisione fabbriche per la produzione di missili Artyom e un sito dell’industria spaziale», tralasciando il dettaglio che da due mesi le fabbriche militari ucraine sono state spostate fuori dal centro urbano, proprio per evitare rappresaglie sui civili. Ma siamo di fronte all’ennesimo esempio di disinformazione del Cremlino.

Quali trattative?

Ma se è vero che i missili russi sono caduti su Kiev, è altrettanto vero che i cruise sono caduti sulle trattative dell’Onu? Siamo realisti: di quali trattative stiamo davvero parlando?

Guterres prova a fare, dopo due mesi dall’inizio del conflitto, il suo lavoro, ma non ha uno straccio di mandato e il Consiglio di sicurezza è paralizzato dal veto di Mosca. In queste condizioni Guterres ha solo tentato di trattare con un Putin, reticente sui suoi piani complessivi, un corridoio umanitario per gli ultimi difensori di Mariupol.

Anche l’intervista rilasciata da Guterres a Kiev alla Bbc, pochi minuti prima che arrivassero i missili, non ha svelato molto di più, non per non compromettere i negoziati in corso, ma perché non c’è nessuna trattativa.

Certo, Erdogan sta cercando di accreditarsi sul fronte negoziale proponendosi come mediatore, consentendo ai russi le vie aeree civili per raggiungere Istanbul, ma bloccando quelle militari dirette in Siria, in un continuo bilanciamento dove i turchi sono maestri.

Ma finora anche Erdogan, che non partecipa alle sanzioni occidentali a Mosca e anzi apre le porte agli oligarchi in fuga da Londra, non ha ottenuto molto dal Cremlino.

I tentativi di Israele

Anche Israele e il suo premier, Naftali Bennet, è sostanzialmente rimasto alla finestra di una mediazione tra Kiev e Mosca visto che un cittadino su cinque del suo paese è di origine russa o ucraina, e che prendere una parte o l’altra creerebbe tensioni inaccettabili nel suo fragile equilibrio di governo.

Senza contare che c’è un patto non scritto in Siria con le truppe russe, che consente a Israele di colpire obiettivi militari iraniani in territorio siriano senza pericolo di reazioni di Mosca.

Poi c’è l’opera del Vaticano, che però non riesce a trovare un terreno di dialogo comune. Per ora la Santa sede cerca di ridurre il rischio di escalation.

«Abbandonare lo schema di guerra e assumere lo schema di pace significa rafforzare la partecipazione agli organismi internazionali e anche ritrovare una maggiore capacità di iniziativa europea. Non entro nel merito delle decisioni che i Paesi hanno preso per l’invio di armi all’Ucraina, che come nazione ha diritto a difendersi dall’invasione subita. Dico soltanto che limitarsi alle armi rappresenta una risposta debole», ha detto il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, per il quale occorre «arrivare a una soluzione negoziata». Parole che tradiscono per ora un certo grado di impotenza.

La posizione europea

Certo c’è poi l’Unione europea che fatica a trovare una posizione comune sia in materia energetica sia in materia militare e negoziale.

«Mariupol è la Aleppo europea. Faremo di tutto per porre fine a questa guerra il più presto possibile», ha scritto in un Tweet Josep Borrell, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri che ha preso in passato posizioni forti in difesa di Kiev.

Ma è sull’energia che la Ue fatica a trovare una posizione: Polonia e Bulgaria sono con le forniture di gas russo bloccate perché si sono rifiutate di pagare in rubli mentre Germania, Austria e Italia sembrano pronte ad accettare. 

Secondo Bloomberg, dopo che già quattro stati Ue hanno aderito alle richieste di Mosca, anche l’Eni starebbe aprendo un conto in rubli presso la Gazprombank JSC, spaccando così il fronte europeo.

«L’Eni starebbe preparandosi all’evenienza mentre la società continua – ricorda Bloomberg – a cercare chiarezza dalle autorità italiane ed europee su cosa è consentito fare senza violare le sanzioni». Anche la tedesca Uniper SE, crede di poter acquistare gas russo senza infrangere le sanzioni.

Certo va ricordato che Varsavia avrà a breve il collegamento con il gas norvegese che dal 1° di ottobre dovrebbe giungere attraverso la Danimarca e il Baltic Line, una mossa che le consentirà di avere una alternativa al gas di Mosca che vale 150 miliardi di metri cubi all’anno per l’intera Ue, pari al 45 per cento di tutto il gas importato in Europa (l’Italia ne importa 28 miliardi di mc, pari al 38 per cento del suo fabbisogno).

Oggi il gas russo rappresenta il 25 per cento dei consumi Ue e il 10 per cento della sua produzione di energia. Certo se si abbassasse di un grado il riscaldamento delle case in Europa significherebbe ridurre di 10 miliardi di mc il fabbisogno di gas russo o se si installassero 10 milioni di pompe di calore equivarrebbe a un risparmio di 12 miliardi di mc.

O come suggerisce su Twitter Guntram Wolf del think tank Bruegel, l’export di gas e petrolio russo vale per Mosca 1 miliardo di dollari di incassi per continuare la sua guerra. Per Wolf la Ue ha tre opzioni: l’embargo totale, un tetto al prezzo e le tariffe.

E le tariffe sono l’opzione migliore perché riduce significativamente i profitti russi mantenendo aperto il flusso di gas. In attesa di predisporre una iniziativa negoziale europea sul conflitto.

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