L’anniversario dell’esplosione al porto di Beirut ha visto un lungo corteo che, invocando giustizia per i propri familiari e stringendo le foto delle vittime, si è radunato nei pressi del porto. Non sono mancati momenti di tensione quando alcuni manifestanti si sono scontrati con le forze di polizia nei pressi del Parlamento, oggi più che mai simbolo di corruzione, inefficienza e impunità diffusa. Nonostante la dimensione del corteo, la protesta non ha ancora raggiunto quella massa critica per minacciare realmente lo status quo e, inoltre, la classe politica sembra, a poco meno di un anno dalle prossime elezioni, poter trarre vantaggio dalle stesse divisioni, sfociate in colluttazioni, interne alle varie anime della manifestazione.

I problemi del Libano

L’eventuale successo elettorale delle forze che compongono la protesta antigovernativa affermatasi il 17 ottobre del 2019 dipende, infatti, dalla capacità di rappresentare un fronte unito. Se sul fronte degli aiuti internazionali per la popolazione libanese la conferenza organizzata dalla Francia e dalle Nazioni unite è riuscita nell’intento di raccogliere 370 milioni di dollari, sul fronte interno si registrano lenti progressi per quanto riguarda la formazione, da parte del Premier designato Najib Mikati, del nuovo esecutivo. Sullo sfondo, restano da superare le resistenze trasversali dei principali blocchi politici che non intendono cedere le proprie rendite di posizioni: il contrasto dei traffici illeciti, beni e carburante, lungo il confine con la Siria, la riforma del settore dell’elettrificazione e la ricostruzione del paese.

Per la prima volta dal 2006

A preoccupare ulteriormente la tenuta del Libano è però quanto accaduto poche ore prima la manifestazione del 4 agosto, quando tre razzi sono stati lanciati, presumibilmente da gruppi armati palestinesi, dall’area al di fuori della competenza dell’Unifil, verso lo Stato d’Israele. Due di questi sono caduti in territorio israeliano senza causare vittime. In risposta, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno sparato circa 80 proiettili di artiglieria, in territorio libanese e, nella notte tra il 4 e il 5, è stato condotto un raid areo anche nell’area da dove erano partiti i razzi. Nella mattinata di venerdì ben 19 razzi sono stati lanciati dal Libano. Di questi tre sono caduti in territorio libanese, 10 sono stati intercettati dal sistema israeliano Iron Dome e sei sono caduti in campo aperto senza causare vittime. Per la prima volta dalla guerra del 2006, Hezbollah ha rivendicato il lancio di razzi contro lo Stato di Israele, come risposta ai colpi di artiglieria e al raid areo del 4 e del 5 agosto.

La strategia di Hezbollah

Sebbene le forze di difesa israeliane ritengano che Hezbollah abbia deliberatamente sparato in campo aperto e non in aree popolate, c’è il concreto rischio che la rivendicazione da parte del "partito di Dio” possa fare parte di un tentativo di mantenere, nonostante il collasso del Libano, un equilibrio di deterrenza con Israele, come confermato in una nota diffusa dal Vice Segretario Generale degli Hezbollah, Naim Qassem. Inoltre, l’azione delle milizie sciite potrebbe rappresentare una pericolosa sfida al Premier Naftali Bennet sul modello di quanto accaduto nel 2006, quando il neo Premier Ehud Olmert fu trascinato nella guerra dei 34 giorni. La dinamica di venerdì sembra rappresentare un pericoloso test della fiducia e delle capacità degli Hezbollah di lanciare razzi in territorio israeliano senza rischiare una guerra su vasta scala.

Le analisi delle forze militari israeliane ritengono che il lancio di razzi non sia il preludio dello scenario di attacco pianificato dagli Hezbollah che, invece, si baserebbe più su un attacco lungo tutto il confine e l’impiego delle forze speciali del Partito di Dio, le unità Radwan, addestrate per invadere porzioni della Galilea al fine di ottenere una vittoria simbolica, per quanto fugace, e ritardare Israele nel lanciare la propria invasione di terra nel sud del Libano. È inoltre possibile che il lancio di razzi sia servito ad Hezbollah per ribadire il suo ruolo di “protettore” del paese dei cedri. I militanti sciiti non vogliono essere accusati di alcuna distruzione di infrastrutture o perdita di vite umane in un momento in cui lo stato libanese è alle prese con una crisi economica e politica senza precedenti. Questo spiegherebbe la scelta di prendere di mira aree in territorio israeliano non popolate.

La richiesta di cessate il fuoco

Tuttavia, la gravità e i rischi di quanto accaduto trapelano dal comunicato del comandante dell’Unifil, il Generale Stefano Del Col che, a fronte di una serie di escalation registrate negli ultimi giorni, ha esortato le parti al cessate il fuoco immediato. Anche gli Stati Uniti, dopo aver condannato il lancio di razzi, hanno esortato le autorità libanesi a impedire ai miliziani di Hezbollah di condurre attacchi contro Israele.  

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