L’uscita di scena di Donald Trump non poteva essere più degna. Lascerà la Casa Bianca come il primo presidente della storia americana a subire un procedimento di impeachment per due volte. I membri della Camera si sono riuniti in tempi record per votare l’avvio della procedura, che ha ottenuto 232 voti a favore. La pratica dovrà essere poi presentata in Senato e si concluderà con ogni probabilità dopo il termine naturale della sua presidenza.

Se l’esito di questo storico voto era quasi scontato, le circostanze in cui è stato espresso stanno tenendo l’America con il fiato sospeso. Gli occhi sono puntati sulla reazione dei membri del Grand Old Party che si sono trovati a decidere in modo indipendente su un presidente che ha marcato – e macchiato pesantemente – l’identità del partito.

Dieci deputati repubblicani hanno votato per l’impeachment, mentre altri hanno per la prima volta ammesso le responsabilità di Trump nell’assalto, ma tuttavia contestano il ricorso alla procedura. Rimane da definire quando si terrà il processo in Senato, che da programma terrà la prossima sessione il 19 gennaio, e come reagiranno in quel contesto i repubblicani che fino ad ora hanno difeso le politiche di Trump. Resta inoltre eccezionale che l’impeachment sia stato votato senza che siano trascorsi mesi di indagini, come avvenuto nei rari casi del passato.

Ma d’altronde i fatti parlano chiaro. Così chiaro che le ragioni di questa urgenza è stata fin da subito espressa da diversi membri del Congresso, democratici e non solo, e soprattutto dalla Speaker Nancy Pelosi: è necessario bloccare e condannare Trump visto quanto accaduto lo scorso 6 gennaio, quando orde di suoi sostenitori hanno assaltato Capitol Hill. Trump è ritenuto colpevole di «incitamento all’insurrezione» e accusato di non aver fatto nulla per fermare le violenze.

Oltre a creare un pericoloso precedente, la mancanza di una formale condanna da parte del Congresso potrebbe contribuire a trasformare i giorni dell’imminente insediamento di Joe Biden in quello che Pelosi ha descritto come uno «horror show» per gli Stati Uniti. L’Fbi ha fatto sapere che ci sono sostenitori estremisti di Trump pronti ad azioni di «rivolta armata» in tutto il paese e ieri Trump ha fatto pervenire una tardiva dichiarazione per calmare gli animi: «Alla luce delle informazioni su nuove manifestazioni, chiedo che non ci siano violenze, violazioni della legge e vandalismo. Questo non è quello in cui credo e non è quello in cui l’America crede. Chiedo a tutti gli americani di aiutare a stemperare le tensioni e a calmare gli animi».

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Il rifiuto di Pence

La decisione di procedere con il voto alla Camera è arrivata dopo che il vicepresidente uscente, Mike Pence, ha respinto la richiesta di fare ricorso al 25esimo emendamento per rimuovere Trump dal suo incarico prima del termine ufficiale del mandato. In una lettera rivolta a Pelosi, Pence ha detto che una simile mossa «non sarebbe nel migliore interesse per la nazione» e ha chiarito che, come la scorsa settimana non ha ceduto alle richieste di Trump di usare il suo potere per mettere in discussione l’esito delle elezioni, così non intende farlo per prendere parte a «giochi politici» su richiesta dei membri della Camera.

In generale, ha scritto nella sua lettera, è tempo di curare le ferite e di «evitare azioni che possano ulteriormente dividere o infiammare i fanatismi del momento». Tuttavia, ha fatto notare uno dei rappresentanti democratici nel corso del dibattito alla Camera, «niente sarebbe più unificante di un voto bipartisan» a condanna di Trump e della sua condotta.

Se per il primo procedimento di impeachment nessuno dei repubblicani alla Camera aveva votato a favore, questa volta è stato diverso. In cinque avevano chiarito già nei giorni scorsi che avrebbero votato per procedere. Liz Cheney, terza autorità repubblicana alla Camera e figlia dell’ex vice presidente di George W.Bush, Dick Cheney, ha detto apertamente che avrebbe votato contro Trump perché nessun presidente ha mai tradito in questo modo il suo incarico e la Costituzione.

Anche in Senato si sono confuse le acque. Il senatore del Kentucky Mitch McConnell, leader del partito al Congresso, ha fatto trapelare la sua soddisfazione per l’impeachment, salvo poi correggere il tiro: «Non ho ancora preso una decisione finale sul voto», ha detto. Questo non significa però che lo sosterrà formalmente. McConnell, che nei quattro anni appena trascorsi come capo della maggioranza in Senato ha difeso senza molti compromessi politiche e intenzioni di Trump, sembra ora determinato a prenderne le distanze per difendere la sua credibilità e l’identità del partito: per molti repubblicani l’impeachment rappresenta un’occasione per mettere Trump fuori gioco ed escluderlo dalle prossime presidenziali. Sebbene sia praticamente impossibile che il Senato riesca a condurre il processo e a votare entro il 20 gennaio, può comunque portare avanti la procedura nei prossimi mesi.

A quel punto il Senato sarà già a maggioranza democratica ma serviranno comunque quasi una ventina di repubblicani per confermare la sua condanna. Cosa che non è da escludere. E qualora Trump fosse dichiarato colpevole, basterebbe un altro voto a maggioranza semplice per escluderlo da futuri incarichi politici.

Le reazioni

Dopo il voto alla Camera, McConnell ha confermato che il processo di impeachment al senato non avverrà prima del 20 gennaio: «Si farà meglio l'interesse dalla nazione se il Congresso e l'esecutivo impiegheranno la prossima settimana concentrati ad organizzare un insediamento sicuro e un ordinato trasferimento dei poteri all'amministrazione Biden».

«Considerate le regole, le procedure ed i precedenti del Senato riguardo ai processi di impeachment, non c'e' assolutamente la possibilità che un processo giusto o serio possa concludersi prima del giuramento di Biden».

Chuck Schumer, che sarà il leader della maggioranza democratica al Senato, ha detto: «Nonostante gli sforzi di Donald Trump e dei suoi violenti insorti, l'America non è una dittatura. Che sia prima dell’insediamento di Biden o dopo, un processo al Senato comunque ci sarà».

 

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