Alla luce del disimpegno americano in Afghanistan per meglio focalizzarsi in medio oriente, nel sudest asiatico e in Europa sale l’importanza dei leader locali in Afghanistan, meglio noti come “signori della guerra”. Importanza che non derivava affatto dalle posizioni ufficiali detenute nel governo centrale nei fastosi palazzi a Kabul, ma dalla loro autorità personale e dalla loro base di potere regionale.

Spesso in passato questi leader si sono scontrati con l’ex presidente afghano Hamid Karzai e poi con il successore Ashraf Ghani, come rappresentanti di un debole potere centrale istituzionale.

Oggi buona parte dei “signori della guerra”, sono in clandestinità, fuggiti nei paesi vicini o in zone ancora fuori del controllo talebano, ma le rispettive milizie delle etnie di appartenenza sono ancora dalla loro parte perché nel sistema feudale afghano la fedeltà va al signore locale, non alle istituzioni considerate una sovrastruttura occidentale.

È probabile che queste milizie personali verranno finanziate, armate e spinte ad agire dai paesi confinanti al momento più opportuno. Non c’è stabilità politica in vista in Afghanistan, che resterà un paese con forti tensioni e sottoposto a forze centrifughe.

I Talebani occuperanno i centri di potere ma in futuro ci sarà una nuova ribellione dei signori della guerra oggi esclusi dal potere che chiederanno di tornare dai loro rifugi e decidere sui destini del paese.

I capi clan

Ma chi sono i signori della guerra messi temporaneamente fuori dai giochi? I principali di loro sono: Abdelrashid Dostum, Atta Mohammad Nour, Ismail Khan, Ahmad Massoud e Amrollah Saleh.

Di questi cinque, che non esauriscono l’universo dei capi clan, tutti sono sfuggiti alla cattura o hanno patteggiato la fuga: Ismail Khan, signore di Herat, è riparato in Iran, Abdelrashid Dostum e Atta Mohammad Noor sono in Uzbeikistan e Ahmad Massoud, il figlio di Shah Massoud, con Amrollah Saleh è nella roccaforte del Panjshir, territorio non ancora nelle mani dei Talebani e mai conquistato nemmeno dai sovietici.

Panjshir, la “j” è importante – mi spiega un analista esperto dell’area – Panj vuole dire cinque, shir vuole dire Leone. “La Vallata dei cinque leoni”. E da questa parti le simbologie contano.

Abdelrashid Dostum

Abdelrashid Dostum, detto anche “il maresciallo”, è un signore della guerra di origini uzbeche, passato come molti altri suoi simili sulla poltrona di vicepresidente del paese ma senza perdere mai i legami con la sua terra di origine.

Dostum è tornato in fretta e furia dalla Turchia di Erdogan ai primi di agosto, dove si era recato per cure mediche, per organizzare la resistenza ai Talebani nel nord del paese su richiesta dell’ex presidente Ghani come era accaduto esattamente venti anni prima quando, in un consueto giro di valzer in queste terre spesso coltivate a oppio, era passato senza problemi dalle file sovietiche a quelle americane.

Questa volta la situazione, almeno per ora, è andata in senso contrario: i Talebani hanno occupato la sua villa fortificata nel nord dell’Afghanistan, ne hanno diffuso le immagini sui social per sfregio e dileggio, e hanno messo fuori dai giochi Dostum costretto alla precipitosa e umiliante fuga sull’autostrada oltre confine.

Per anni Dostum e Noor, altro capo locale, sono stati accusati di corruzione e violazioni dei diritti umani, con Dostum costretto, riporta la Reuters, a trascorrere un periodo in esilio fino al 2018 per le accuse di aver ordinato di molestare sessualmente un avversario politico.

Atta Mohammad Noor

Il 14 agosto le agenzie battono la notizia che Abdul Rashid Dostum e Ata Mohammad Noor, i due “signori della guerra” del nord chiamati a contrastare l’offensiva dei Talebani su Mazar-i-Sharif, sono fuggiti in Uzbekistan subito dopo la caduta della città in mano ai Talebani.

Noor ha fornito la sua versione dei fatti su Twitter e ha spiegato che «purtroppo, nonostante la nostra ferma resistenza, tutti gli equipaggiamenti del governo e delle forze speciali sono stati ceduti ai Talebani in seguito a un grande, codardo complotto organizzato».

Traditi dunque ma da chi? Noor non lo dice.

«Avevano architettato un piano per catturare anche il maresciallo Dostum e il sottoscritto ma non ci sono riusciti – aggiunge Noor – io, il maresciallo Dostum, il governatore di Balkh, i parlamentari di Balkh e il capo del consiglio provinciale di Balkh siamo in un posto al sicuro ora».

«Ho molte storie non raccontate che condividerò a tempo debito», ha concluso il comandante, «ringrazio tutti coloro che hanno resistito con fierezza per difendere la loro terra. Il nostro cammino non finisce qui».

Noor, considerato uno degli uomini più ricchi dell’Afghanistan grazie a una serie infinita di business redditizi, ha dovuto affrontare ripetute accuse di corruzione, che ha sempre negato.

Tuttavia, quando le forze regolari si sono sbriciolate di fronte ai Talebani in seguito al ritiro delle forze americane, è tornato in prima linea, nella speranza che la loro base di potere locale avrebbe fornito una resistenza più efficace.

Non è andata così ed è dovuto fuggire, ma non resterà a guardare.

Ismail Khan

A Herat, nell’ovest del paese, il luogo detenuto dal contingente italiano fino al suo recente ritiro e che negli ha provocato la morte di 53 caduti, anche il leggendario signore della guerra Ismail Khan, che per decenni ha combattuto le forze d’invasione sovietiche e poi i Talebani, si è lasciato catturare dagli insorti.

Ismail Khan, 75 anni, il signore della guerra che era tornato sulla linea del fronte un mese fa e che avrebbe dovuto difendere Herat dall’attacco dei Talebani, secondo Tolo News, un tv all news di Kabul, si sarebbe rifugiato in Iran, nella città di Mashhad.

Khan sarebbe rimasto nella sua città per quattro giorni dopo essersi arreso agli insorti e sarebbe stato condotto in Iran con il sostegno dei Talebani. Il “leone di Herat” aveva mobilitato uomini e mezzi nel tentativo di resistere all’assalto dei Talebani contro la città.

Herat, importante polo economico di circa 600mila abitanti vicino al confine con l’Iran e nei secoli uno dei centri storici della cultura persiana è il ponte culturale e politico con la Repubblica islamica iraniana, sotto pesanti sanzioni economiche americane dal 2016.

Ahmad Massoud

L’Afghanistan è nelle mani dei Talebani ma c’è una valle che resiste: nel Panjshir il figlio del leggendario comandante Massoud, Ahmad, rompe gli indugi e annuncia la nascita di un fronte armato contro i nuovi padroni di Kabul. «Noi, afghani, ci troviamo nella situazione in cui era l’Europa nel 1940.

Siamo soli, a resistere. Non cederemo mai». A scriverlo è Ahmad Massoud, figlio del leggendario comandante Massoud e capo delle forze di resistenza afghana del Panjshir, assassinato nel 2001 da al Qaeda, in un testo trasmesso a La Règle du Jeu, magazine diretto dal filosofo Bernard-Henri Lévy, profondo conoscitore dell’Afghanistan.

«Sono in Panjshir, con combattenti pronti di nuovo contro i Talebani.

Abbiamo tante armi, che abbiamo immagazzinato negli anni sapendo che questo giorno poteva arrivare», scrive lo stesso Massoud in un altro appello pubblicato dal quotidiano americano Washington Post.

«Abbiamo anche le armi di chi si è unito a noi nelle ultime 72 ore, e i soldati dell’esercito che hanno rifiutato di arrendersi, disgustati dalla decisione dei loro comandanti» di abbandonare città e villaggi davanti all’avanzata talebana.

Nella valle «sventolerà la bandiera dell’Alleanza del Nord» quella issata dal padre nel 1996 contro i Talebani.

«Gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno lasciato il campo di battaglia, ma l’America può ancora essere “un grande arsenale per la democrazia” come disse Franklin Roosevelt», avverte Massoud, «le nostre disponibilità militari non dureranno per sempre. finiranno velocemente finché i nostri amici in occidente non troveranno una strada per equipaggiarci senza ulteriori ritardi», è il suo fiero appello.

In Panjshir si sarebbero tessute le trame dell’alleanza con l’ex primo vicepresidente afghano del deposto governo di Kabul, Amrullah Saleh, il «presidente ad interim legittimo» del paese, come si è dichiarato nelle ultime ore, all’indomani di altre dichiarazioni di fuoco contro i Talebani: «Noi afghani dobbiamo dimostrare che questo non è il Vietnam e i Talebani non sono affatto i Vietcong», ha tuonato lanciando l’appello a «unirsi alla resistenza».

Nel suo scritto, Massoud parla di altri militari «in cammino verso la valle» e anche di «unità delle forze speciali che si sono già unite alla lotta».

Le notizie di questo “esodo militare” erano iniziate a spuntare nei giorni scorsi in molti resoconti e sui quotidiani indiani: molti ufficiali afghani sono stati infatti addestrati a New Delhi per cercare di attenuare l’influenza pachistana, paese nucleare e acerrimo nemico dell’India. ,

«C’è ancora speranza, combatteremo», riferiva uno di questi soldati: «Sono nascosto, i Talebani mi cercano». Secondo alcune fonti sarebbero centinaia, forse «migliaia» gli afghani che si sono rifugiati nella valle, e quelli che ci si stanno dirigendo, non riuscendo a lasciare il paese. Molti altri ancora inseguono la speranza, la leggenda del passato, vanno in Panjshir per combattere.

E hanno trovato qualcuno disposto a farlo: «Non importa cosa succeda, con i mujaheddin difenderemo il Panjshir, ultimo bastione della libertà afghana», promette il figlio del comandate Massoud.

Ce la farà? Difficile rispondere. Sarà interessante vedere in che rapporti si collocherà rispetto al triunvirato dialogante composto dall’ex presidente Hamid Karzai, Gulbuddin Hekmatyar, detto il “macellaio” di Kabul, e Abdullah Abdullah, già alleato di Massoud padre.

Amrullah Saleh

Mentre i Talebani hanno preso il controllo quasi totale dell’Afghanistan, un altro leader li ostacola ancora. L’ex vicepresidente Amrullah Saleh, altro eterno “signore della guerra”, ha promesso che non si sottometterà in alcun modo a loro, arrivando persino a dichiararsi presidente legittimo.

L’ex capo dei servizi segreti del paese, nemico giurato degli islamisti ora al potere a Kabul, si è ritirato nell’ultima regione non ancora nelle loro mani: la Valle del Panjshir, a nordest della capitale. «Secondo la Costituzione afghana, in caso di assenza, fuga, dimissioni o morte del presidente, il primo vicepresidente diventa il presidente ad interim.

Attualmente sono nel mio paese e sono il presidente ad interim legittimo. Faccio appello a tutti i leader a ottenere il loro sostegno e consenso», ha scritto sul suo account Twitter in inglese.

«Non deluderò i milioni di persone che mi hanno ascoltato. Non sarò mai sotto lo stesso tetto dei Talebani. MAI», aveva già twittato la domenica di Ferragosto, poco prima di entrare in clandestinità. Il giorno dopo sono apparse sui social le immagini dell’ex vicepresidente e di Massoud insieme nella valle del Panjshir, al confine con il massiccio dell’Hindukush.

Sembra che i due uomini stiano ponendo le basi per quella che sarebbe una ribellione contro il nuovo regime di Kabul, poiché uomini armati hanno iniziato a riorganizzarsi nel Panjshir. La valle, di difficile accesso, non è mai caduta nelle mani dei Talebani durante la guerra civile degli anni Novanta, né un decennio prima in quelle dei sovietici.

«Non permetteremo ai Talebani di entrare a Panjshir e resisteremo con tutte le nostre forze», ha detto all’Afp un residente di questa regione, che ha preferito rimanere anonimo.

Sarebbe solo l’ultima di una lunga serie di battaglie contro i Talebani, quella di Saleh, originario proprio del Panjshir.

Rimasto orfano molto presto, ha combattuto al fianco del comandante Massoud negli anni Novanta. Ha poi servito nel suo governo, prima che i Talebani lo rovesciassero prendendo Kabul nel 1996, per stabilire un regime fondamentalista, che avrebbe resistito al potere fino al 2001. Saleh ha detto che i Talebani hanno poi torturato sua sorella, nel tentativo di farlo uscire dal nascondiglio.

«La mia opinione sui Talebani è cambiata per sempre a causa di quello che è successo nel 1996», ha scritto l’anno scorso in un editoriale della rivista Time. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, due giorni dopo l’assassinio del comandante Massoud, è diventato un’importante fonte di informazioni per la Cia.

Questo lo ha portato, dopo la caduta dei Talebani, a prendere il posto di capo tra il 2004 e il 2010 del National security directorate (Nds), i servizi di intelligence afghani. In questo posto, avrebbe creato una vasta rete di informatori e spie tra i Talebani, ma anche in Pakistan, dove i loro leader sono in gran parte basati.

Questo gli ha permesso di raccogliere prove, secondo lui, che gli insorti hanno continuato a beneficiare dell’appoggio di membri dell’esercito pakistano, accuse che quest’ultimo ha sempre respinto.

La sua ascesa alla vicepresidenza, tuttavia, non è stata esente da alcune battute d’arresto.

Nel 2010, è stato licenziato dal suo incarico di capo dell’Nds dopo un umiliante attacco subito a una conferenza di pace a Kabul.

Fuori dalla politica per alcuni anni, ha guidato la sua personale battaglia contro i Talebani e il Pakistan sui social media, attaccandoli con tweet quasi quotidiani.

È tornato in auge nel 2018 servendo per alcuni mesi come ministro dell’Interno, dopo aver siglato un’alleanza con l’ex presidente Ashraf Ghani, fuggito dall’Afghanistan domenica. È poi diventato vicepresidente dopo le elezioni presidenziali del 2019.

Saleh è sfuggito a diversi attentati compiuti dai Talebani, l’ultima volta nel settembre 2020 quando un carretto bomba è esploso al passaggio del suo convoglio, provocando almeno dieci morti.

Ore dopo, è riapparso in video, con la mano sinistra bendata, promettendo di rispondere colpo su colpo. «Continueremo la nostra battaglia», ha detto allora come ora.

L’ultimo bastione

Come venticinque anni fa, ai tempi del leggendario comandante Massoud, la Valle del Panjshir rimane l’ultimo bastione di resistenza contro i Talebani. La provincia del nordest è l’unica a non essere ancora caduta in mano agli insorti. «Il territorio è sicuro, tutte le organizzazioni statali continuano a funzionare e i residenti sono pronti per qualsiasi tipo di attacco talebano», ha assicurato alla Efe il capo del locale dipartimento di Economia, Abdul Rahman, «siamo pronti a resistere ai Talebani per la seconda volta».

La prima fu dal 1996 al 2001, quando il Panjshir rimase l’unica regione dell’Afghanistan fuori dal controllo degli studenti coranici grazie alle doti di stratega di Ahmad Shah Massoud, che seppe sfruttare le caratteristiche orografiche della provincia per renderla una fortezza impenetrabile e preservarla dall’occupazione talebana, come anni prima era riuscito a preservarla dall’invasione sovietica.

L’epopea è finita il 9 settembre 2001, due giorni prima dell’attentato alle Torri Gemelle, quando Massoud fu assassinato da due terroristi di origine araba, forse membri di al Qaeda che, spacciatisi per giornalisti, fecero esplodere una bomba nascosta in una macchina fotografica. Il compito di portare avanti la lotta passa ora al giovane Ahmad Massoud, figlio del “Leone del Panshir”. Ahmad Wali Massoud, fratello minore del condottiero tagiko, ha invece fatto parte della squadra di negoziatori inviata a Doha per trattare con i Talebani.

La resistenza ai Talebani passa dai destini dei signori della guerra, se e quando i governi limitrofi o delle potenze protettrici li sosterranno in futuro magari in funzione anti-pakistana o anti-cinese in una delle tante guerre per procura che si sono combattute in queste terre, definite “tombe degli imperi”.

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