Se le elezioni di settembre saranno le più importanti della storia recente tedesca, non sarà soltanto per l’addio alla politica di Angela Merkel. Le immagini di devastazione che arrivano in queste ore dalla Germania sono la prova che in gioco c’è anche la scelta su come affrontare quel che nei prossimi anni sarà un rischio sempre più tangibile.

Ovviamente, l’uscita di scena di Merkel alla cancelleria domina la maggior parte delle analisi, e a ragione. Il fatto che non sarà più alla guida del paese rappresenta in modo plastico la fine di un’èra e un momento di riassestamento del sistema politico tedesco.

Al di là dei fatti umani è però sempre bene ricordare che la Germania, come il mondo intero, è già entrata da tempo in una nuova èra: l’Antropocene. L’emergenza climatica è ormai un fatto con cui è impossibile non fare i conti, un’urgenza talmente immediata da aver catalizzato l’attenzione degli elettori tedeschi anche nei giorni più bui della pandemia. Le catastrofiche inondazioni nel bacino del Reno e le decine di vittime non hanno fatto altro che dare sostanza alla domanda che tutti si pongono, dai board aziendali all’aula del Bundestag: come farà la Germania ad affrontare le conseguenze del riscaldamento globale?

Disastro senza precedenti

La domanda non è astratta. Ventiquattrore di pioggia hanno distrutto dighe e reso inutili gli argini del Reno e decine di affluenti, provocando almeno 130 morti e danni incalcolabili a uno dei cuori economici del paese.

La rottura degli argini è stata così repentina da demolire alcuni edifici più vecchi, non progettati per un fenomeno così inatteso. Essendo un paese a basso rischio idrogeologico (percepito), la Germania ancora non ha una vera politica di cura del territorio semiurbano.

Il livello dell’acqua ha superato gli 8 metri a Colonia mentre il sistema ferroviario e alcune autostrade sono stati resi inagibili. 19.000 membri delle forze dell’ordine, inclusi numerosi pompieri volontari, sono stati mobilitati per tentare di evacuare ospedali e case di riposo, oltre che interi quartieri investiti dalle acque.

La catastrofe è solo un sintomo della crisi ambientale che sta guidando il reset politico ed economico della Bundesrepublik. Le esondazioni del Reno arrivano dopo le misure senza precedenti per contenere la pandemia. L’abbandono (temporaneo) del rigore di bilancio e le incertezze globali hanno regalato ampi spazi di manovra ai leader che, nel bene e nel male, dovranno gestire le conseguenze del riscaldamento globale.

Tutti i partiti erano entrati nella campagna elettorale pensando di poter usare la crisi climatica per rafforzare i propri profili ideologici, utilizzandola come chiave di lettura per modernizzare il sistema economico tedesco. Ma l’immediatezza dell’esondazione limita la capacità della politica di affidarsi a slogan programmatici, trasformando una competizione già molto personalizzata in una gara fra candidati cancellieri. Chi si è dimostrato più donna o uomo di stato? Chi sarà capace di contestualizzare il disastro nella propria analisi politica?

Candidati in difficoltà

Non sarà così semplice. I cristianodemocratici, da parte loro, si trovano in una pericolosa contraddizione. Da un lato la Cdu è sempre stata la formazione più capace, almeno agli occhi degli elettori, a gestire le crisi improvvise che sempre più spesso colpiscono il paese. Dall’altro, l’immobilismo dei conservatori sul dossier ambientale ne ha posto a repentaglio la credibilità.

Il candidato cancelliere Armin Laschet, è anche governatore del Nordrhein-Westphalen (Nrw), la regione più colpita. In quanto tale ha un evidente problema: vorrebbe capitalizzare sulla gestione dell’emergenza, mostrarsi con gli stivaloni che arranca per le strade di Colonia facendosi spiegare i danni dalla protezione civile. Rimane però colui che nel 2019 esclamava esasperato che «per qualche motivo l’ambientalismo è diventato un tema globale». Appena poche settimane fa il suo governo ha decretato che i parchi eolici possono essere costruiti solo a 1.000 metri di distanza da edifici abitativi, un’impresa quasi impossibile nello stato più popoloso del paese. Come dimostrare capacità nella gestione delle crisi avendo fatto poco per contenerne le cause?

Nell’immediato anche i Verdi saranno in evidente difficoltà. Per mesi si è detto che sarebbe bastata una secca del Reno quest’estate per convincere i tedeschi a incoronarli partito vincente. Il fenomeno opposto, con annessi morti e incalcolabili danni, potrebbe non essere poi così d’aiuto. Annalena Baerbock arriva da un mese di guerriglia comunicativa abbastanza pesante, una polemica su presunti plagi nel quale è stata attaccata su due fronti particolarmente sensibili: la sua capacità di reagire sotto pressione e la sua reputazione da studiosa attenta ai dettagli.

Per qualche giorno si è persino mormorato di un possibile cambio di ruolo con Robert Habeck, il carismatico cosegretario che le ha ceduto il passo nella corsa alla cancelleria. In questo frangente, la scelta di Baerbock è stata sicuramente più saggia: Habeck, percepito come un narciso, avrebbe attirato su di sé proprio quelle accuse di strumentalizzazione che il partito vuole assolutamente evitare.

Una visita repentina nella zona della catastrofe e l’insistenza sulle sue origini, considerato che non sarà l’ultimo evento ambientale estremo a cui si assisterà nell’epoca della crisi climatica, sarebbe scontata al punto da sembrare sciacallaggio, un tentativo di recuperare punti lucrando sulle vite delle persone. Non avendo nessun ruolo di governo, Baerbock non ha scuse per recarsi in Nrw, e la squadra di comunicazione dei Verdi sarà paradossalmente molto cauta a non calcare troppo la mano sul tema ambientale.

Qualche settimana fa un deputato federale aveva indirettamente collegato gli incendi in Canada con l’irresponsabilità politica della Cdu che ha spinto per rallentare l’agenda ambientale, incolpando in una certa misura Laschet dei morti. Uno scivolone di queste dimensioni va evitato in ogni maniera, sperando che ci pensino i media (come sembra stia succedendo) a evidenziare il nesso.

Tra i due litiganti

Pur con gli stessi limiti, l’unico a poterne guadagnare potrebbe essere Olaf Scholz, che grazie alla visita di Merkel in America è stato il volto del governo federale nei luoghi del disastro. La strategia di presentarlo come un’evoluzione della cancelliera è messa alla prova proprio in una situazione come questa. La tentazione è ovviamente quella di imitare l’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, che durante l’esondazione dell’Elba dimostrò la propria vena decisionista visitando l’area accidentata. Ma per il ministro la vera prova sarà riuscire a fornire aiuti in maniera diretta e tranciando la burocrazia economica tedesca, ripartita fra il suo dicastero delle Finanze e quello dello sviluppo economico di Peter Altmaier (Cdu).

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