Un referendum che racconta di un diffuso rifiuto del divieto assoluto di aborto accompagnato da una vittoria dei candidati trumpiani quasi ovunque alle primarie repubblicane.

La giornata elettorale del 2 agosto comprendeva le primarie di democratici e repubblicani in Arizona, Kansas, Michigan, Missouri e stato di Washington, oltre a un referendum in Kansas su un emendamento costituzionale che avrebbe inserito l’annullamento dei diritti presenti sull’interruzione di gravidanza e la possibilità di perseguire penalmente le donne che sceglievano di abortire.

La sorpresa in Kansas

I risultati hanno sorpreso gli analisti soprattutto per quanto riguarda il Kansas: stato molto conservatore con una governatrice democratica centrista come Laura Kelly, ci si aspettava quantomeno che i due fronti contrapposti fossero  alla pari, dato il sostanziale bilanciamento di popolazione tra aree urbane e rurali.

A sorpresa invece le contee più spopolate si sono rivelate favorevoli a un cambiamento legislativo, ma tiepide, mentre nelle città come Topeka e nell’area di Kansas City le percentuali hanno sfiorato l’80 per cento. Nella città di Lawrence si è giunti all’81 per cento.

Questo dato in Kansas, dove i repubblicani vincono tutte le elezioni dal 1968 e al quale è stato dedicato uno dei classici della saggistica sulla destra americana, What’s the matter with Kansas? scritto dal giornalista Thomas Frank nel 2004, lascia ben sperare i democratici sulla popolarità della questione come mobilitatrice dell’elettorato.

Anche se fa pensare che nella stessa tornata un ultratrumpiano come Kris Kobach, già autore di una delle leggi più restrittive sul voto a livello statale quando era segretario di stato, abbia vinto le primarie per la carica di procuratore generale.

Ciò vuol dire che esiste anche un’ampia fetta di repubblicani pro choice che però al momento hanno ben pochi rappresentanti al Congresso. Il risultato finale è stato di 58,8 per cento di voti per il No. Sufficienti anche per far rifiatare la governatrice Kelly, che può puntare con maggiore serenità al bis.

Trumpiani scatenati in Arizona

Situazione molto diversa in Arizona, dove i trumpiani scatenati hanno dominato le primarie. A cominciare dalla carica più importante per il corretto svolgimento delle elezioni, quella di segretario di stato: a vincere è stato Mark Finchem, perfetto prodotto del trumpismo post elezioni 2020, totalmente allineato alla narrazione delle “elezioni rubate” e della necessità del tutelare “l’integrità elettorale”.

Ovvero di influenzare lo svolgimento delle elezioni, qualora fosse necessario. La scommessa dei dem è che però un partito così trumpizzato sotto la direzione della presidente Kelli Ward, già soprannominata “Chemtrail Kelli” per la sua tendenza a credere alle teorie del complotto più disparate e per aver affermato trionfalmente che il partito repubblicano dell’Arizona non è più “debole” come quello di John McCain.

A sfidare il dem Mark Kelly al Senato invece sarà Blake Masters, alleato del magnate della Silicon Valley Peter Thiel e a sua volta ultratrumpiano con forti venature libertarie. Per la carica di governatore, invece, la sfida tra Kari Lake e Karrin Taylor Robson sta vedendo prevalere, con dati ancora non definitivi l’ex anchorwoman di Fox News Lake, sostenuta dall’universo trumpiano contro Taylor Robson che ha ricevuto l’appoggio del governatore repubblicano uscente Doug Ducey, ostile a Trump, oltreché di Mike Pence.

Establishment in crisi

L’establishment repubblicano, quindi, non ha avuto una buona tornata nemmeno altrove: in Missouri ha sì scongiurato l’ipotesi che l’ex governatore Eric Greitens vincesse le primarie aperte per il Senato, dove nonostante la sua visione ultratrumpiana avrebbe comunque fatto fatica a vendere all’elettorato conservatore i suoi processi per molestie sessuali e maltrattamenti dell’ex moglie.

Non che il procuratore generale Eric Schmitt sia così diverso: non c’è tema amato dall’ex presidente che non abbia sostenuto con forza. Ivi compreso il tentativo di alcuni stati di ottenere una revisione del risultato elettorale da parte della Corte suprema nel 2020.

Persino Peter Meijer, deputato moderato repubblicano del Michigan, uno dei dieci rappresentanti che hanno deciso di votare a favore del secondo impeachment di Trump nel 2021, ha perso contro l’estremista John Gibbs, uno dei rari afroamericani che fanno parte del “mondo MAGA”.

Secondo quanto dichiarato da lui a CommonSense, newsletter curata dall’ex giornalista del New York Times Bari Weiss, i dem avrebbero finanziato il suo avversario con la speranza di strappare il seggio. Rischiando però di avere un intrattabile estremista anziché un moderato ragionevole.

Moderati a sinistra

Per i democratici non ci sono stati particolari patemi, anche perché c’erano diversi candidati già in carica. Anche se alcune analisi concordano con il dire che tutto sommato il tema dei diritti abortivi può portare degli elettori alle urne a novembre: lo stratega elettorale di Bill Clinton, James Carville, pur apprezzando il risultato, ha ricordato ai democratici che ci sono altre questioni su cui gli elettori giudicheranno i democratici e quindi non sarebbe il caso di puntare troppe fiches su una singola problematica.

Inoltre, già è successo in passato che un candidato estremista si sia rivelato difficile da battere: nel 2016, con lo stesso Donald Trump, inizialmente sostenuto in modo informale dalla campagna di Hillary Clinton perché ritenuto più vulnerabile.

Stavolta Trump non sarà sulla scheda, ma ci saranno molti suoi nuovi seguaci che nel frattempo si sono spostati ancora più a destra. Un astensionismo forte potrebbe favorire gli estremisti e nelle elezioni di metà mandato una bassa affluenza alle urne è da mettere in conto.

In estrema sintesi, le elezioni primarie del 2 agosto fotografano una situazione chiara: un partito democratico assestato su una linea moderata e i repubblicani che, pur volendo superare il trumpismo, spesso nulla possono contro la macchina organizzativa ed economica di quel mondo.

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