Il Partito democratico dell’impopolare Joe Biden ha tenuto, l’ondata repubblicana non si è materializzata e più oltranzisti fra i candidati trumpiani sono stati tendenzialmente sconfitti, al termine di una campagna che l’ex presidente aveva orchestrato proprio puntando sull’estremizzazione del messaggio Maga.

Insomma, alle elezioni di midterm è andato in scena il migliore fra gli scenari immaginati, o forse sognati, dai democratici, che perdono la Camera – com’era ampiamente previsto e come peraltro è scritto nella fisiologia politica americana – ma tengono aperta la partita per il controllo del Senato: nella sfida decisiva della Georgia fra il repubblicano Herschel Walker e il democratico Raphael Warnock nessuno ha superato il 50 per cento dei voti, e si andrà al ballottaggio il 6 dicembre.

La giornata negativa per i repubblicani ha mandato all’aria il piano congegnato dall’ex presidente lo scorso febbraio. Trump, dopo aver sponsorizzato numerosi candidati alla carica di segretario di Stato nei vari stati in bilico, era pronto per ripetere quanto fatto dopo il 2020, ovverosia tentare di ribaltare il risultato delle elezioni.

Con l’attiva collaborazione delle massime figure statali il piano sembrava possibile, ma per diventare realtà si doveva piazzare uno di questi negazionisti in uno degli stati in bilico vinti da Joe Biden.

La realtà è che quasi tutti i candidati non entreranno negli uffici statali, se non da turisti. Anche quando, per prendere il controllo della carica statale, hanno smussato la propria posizione.

Elezioni rubate

Questo è il caso di Amy Loudenbeck, che correva in Wisconsin, dove peraltro i poteri di supervisione delle elezioni sono in capo a una commissione elettorale bipartisan per evitare interferenze.

Nel suo programma però c’era lo smantellamento di questo organismo, per riportare quei poteri sotto la tutela della segreteria di Stato. Per “controllare” meglio eventuali frodi.

Di misura sembrerebbe aver prevalso il segretario uscente Doug La Follette, un ottantaduenne che è in carica dalle elezioni del 1982, il più longevo eletto a livello statale d’America.

LaFollette ha resistito per un migliaio di voti di scarto, nonostante la sua scarsa dimestichezza con le campagne elettorali sul web, continuando la sua scia quarantennale di successo

Anche nel vicino Michigan è andata così: qui la candidata Kristina Karamo non ha esitato a dispiegare tutto il campionario delle bufale trumpiste, compreso l’hackeraggio delle macchine elettroniche.

La sua avversaria Jocelyn Benson ha subito minacce da parte di gruppi di estrema destra per la sua confutazione degli argomenti falsi dell’avversaria, ma è riuscita comunque a prevalere.

Anche in Arizona Mark Finchem, che faceva parte di un ticket repubblicano quasi integralmente negazionista capeggiato dalla trumpiana totale Kari Lake come governatrice, sembra aver ceduto il passo all’avversario Adrian Fontes.

Insomma, sembrerebbe proprio che l’argomento delle elezioni rubate interessi poco a un elettorato stanco di una campagna elettorale ininterrotta su questo argomento e anche in altre cariche statali hanno vinto in seggi abbastanza sicuri: come la governatrice dell’Alabama Kay Ivey o lo scrittore J.D. Vance, ex critico del presidente convertitosi in sostenitore strenuo delle sue posizioni, quali che siano in quel momento.

E dire che un ex alleato del presidente come Ron DeSantis ha stravinto con un distacco di quasi venti punti: sull’argomento elezioni però ha prudentemente glissato.

Insomma, la storia fa presa solo in stati dove l’ambiente è già fortemente repubblicano e i suffragi spostano davvero poco in termini di rapporti di forza.

Rimane solo in bilico il Nevada, ma difficile dare un giudizio definitivo, dato l’alto numero di voti postali.

Il flop di Oz

Anche al Senato alcuni trumpiani sono caduti: primo tra tutti Mehmet Oz, scelto personalmente dall’ex presidente su consiglio di Melania, secondo alcuni retroscena, soltanto per la sua fedeltà alla sua persona.

Fatica anche l’ex campione di football Herschel Walker, costretto al ballottaggio in Georgia il 6 novembre, mentre in tutte le altre cariche statali i repubblicani  hanno trionfato facilmente.

Anche gli annunciati disordini, che nelle idee di Steve Bannon dovevano avviare la “quarta svolta” della storia americana, sono rimasti più che altro sulla carta.

I giri in auto di Kari Lake a controllare i “malfunzionamenti” delle macchine elettroniche che conteggiano i voti sono stati soltanto un’estrema occasione di far campagna elettorale, sfruttando l’assenza del silenzio pre-voto nel sistema politico americano.

Cadendo l’interesse per la vendetta legata alle elezioni 2020, fatalmente cade tutto il castello dei candidati Maga, trionfatori soltanto in contesti ultrafavorevoli.

Come il Wyoming che incoronerà Harriet Hageman, l’avvocata che ha sconfitto l’arcinemica del trumpismo Liz Cheney.

A criticare tutto questo mondo adesso non sono più soltanto i media liberal, ma quelli conservatori: un editoriale su FoxNews ha incoronato proprio Ron DeSantis nuovo leader repubblicano dicendo che il tempo di Donald Trump è ormai «passato».

Stesso tono anche nell’apertura del New York Post, che a fine 2020 rilanciava senza sosta le bufale più arzigogolate partorite da Rudy Giuliani nella sua veste di avvocato del presidente.

Per il quotidiano conservatore DeSantis ormai è “DeFuture”, facendo un gioco di parole con il suo cognome. E anche pezzi del Trumpworld stanno saltando giù dalla barca: l’ex portavoce Sarah Matthews ha detto che i repubblicani «devono prendere coraggio e abbandonare Trump», sennò il rischio è di perdere anche nel 2024.

A completare la disfatta, i due superstiti alla Camera che hanno deciso di votare a favore del secondo impeachment ancora in corsa, David Valadao e Dan Newhouse, sono stati facilmente rieletti.

Se Mitch McConnell aveva da tempo abbandonato l’ex presidente, un problema grosso si pone per il potenziale speaker della Camera Kevin McCarthy, che avrà una maggioranza ristretta composta anche da tifosi sfegatati trumpisti: come tenere tutti insieme?

Un mal di testa che depone male per il biennio entrante, dove dovranno dimostrare di essere ancora un partito di governo e non l’emanazione di un leader ormai sgradito alla maggioranza degli elettori, in misura ancor maggiore di Joe Biden secondo i sondaggi. Un enigma difficilmente solubile, fintanto che Donald Trump continuerà a ritenersi indispensabile.

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