Il neuropsichiatra Yoram Yovell: «Gli israeliani sostengono l’accordo. Per una pace lunga serve empatia»

Yoram Yovell è uno psicanalista, psichiatra e ricercatore in neuroscienze, tra i più noti in Israele. Professore presso il dipartimento di Neurobiologia medica alla Hebrew University di Gerusalemme, le sue aree di studio riguardano la neurobiologia delle emozioni e i meccanismi alla base della sofferenza fisica e mentale. Oggi a Gaza vige di nuovo il cessate il fuoco, l’Idf ha iniziato a ritirarsi. Sono passati solo tre giorni dall’anniversario del 7 ottobre. È una data che rappresenta un trauma collettivo per la società israeliana? Assolutamente sì, è il nostro peggior trauma collettivo dai tempi dell’Olocausto. Lo stato di Israele è stato creato in risposta al trauma dell’Olocausto. È stato fondato con una missione: mai più. Evitare, cioè, che si ripeta. Nella Shoah gli ebrei furono assassinati solo perché erano ebrei e non erano in grado di proteggersi. Da questa prospettiva si può comprendere perché il 7 ottobre sia un trauma collettivo per tutti gli israeliani: centinaia di civili israeliani sono stati assassinati, torturati e stuprati indiscriminatamente; la sensazione è che lo stato abbia fallito perché avrebbe dovuto proteggerci. Vede, il trauma collettivo si verifica quando intere comunità sono esposte a eventi che causano morte e sofferenza e fanno sentire tutti in pericolo. I disastri naturali possono talvolta trasformarsi in traumi collettivi, ma quando la causa è provocata dall’uomo ed è intenzionale – come gli atti di guerra e di terrorismo – il risultato è ancora più traumatogeno. I familiari degli ostaggi: «Netanyahu tradisce la memoria del 7 ottobre» Cosa pensi dell’accordo? Quale potrebbe essere lo scenario in termini di percezione psicologica nella società israeliana? La società israeliana è entusiasta dell’accordo. Trump ha costretto Netanyahu a fare le due cose che gli israeliani desideravano di più: restituire tutti gli ostaggi e porre fine alla guerra. Ora è chiaro che lo stesso accordo, con gli stessi risultati, avrebbe potuto essere raggiunto più di un anno fa. La maggior parte degli israeliani crede che le vite di molti ostaggi e di molti soldati morti nell’ultimo anno, così come le vite di migliaia di palestinesi morti a Gaza, avrebbero potuto essere salvate. C’è chi pensa che l’attacco di Hamas del 7 ottobre sia stata una risposta – ingiustificabile, mostruosa e condannabile – all’occupazione israeliana della Palestina più che un’uccisione degli ebrei in quanto ebrei. Ciò richiede un ritorno al passato, ma preferirei rispondere con una prospettiva. Fin dall’inizio, il movimento sionista accettò la soluzione dei due stati. Hamas, tuttavia, non accettò mai la soluzione dei due stati. Hamas ha sempre negato il diritto dello stato di Israele a esistere. Anche il governo di estrema destra di Netanyahu nega il diritto della Palestina a esistere, ma la maggior parte degli israeliani è contraria a Netanyahu. A mio parere, la Palestina ha il diritto di esistere. Israele ha il diritto di esistere. Dopo tutto lo spargimento di sangue e il trauma inflitto a entrambe le parti, dovremo entrambi riconoscere il diritto reciproco di esistere. Non c’è altra soluzione. Gli israeliani vivono con la paura che un massacro simile al 7 ottobre possa ripetersi? Assolutamente sì. Gli israeliani sono convinti che Israele esista solo perché è militarmente troppo forte per essere distrutto. Questo è il motivo per cui l’esercito è così amato da noi. Il timore di un nuovo 7 ottobre per gli israeliani è fondato. La società israeliana si è sentita tradita dal sistema politico e militare che avrebbe dovuto proteggere i suoi cittadini? Sì. Il 7 ottobre 2023, l’esercito e il governo avevano fallito. Netanyahu è stato astuto nello scaricare la colpa sull’esercito e non su sé stesso, ma la maggioranza degli israeliani lo vuole mandare via. Il comportamento di Netanyahu a livello internazionale e le sue azioni a Gaza sono contrarie alla volontà della maggior parte degli israeliani. Nella regione di No Other Land, 7 violazioni al giorno commesse da esercito e coloni israeliani Come si manifesta lo stress post-traumatico e qual è la situazione in Israele? I ricordi intrusivi sono l’essenza del disturbo da stress post-traumatico. Tutti noi viviamo con ricordi dolorosi, ma non ci distruggono la vita. Nel caso del trauma, invece, l’individuo ha la sensazione che l’evento continui all’infinito, che non finisca mai. In Israele si è registrato un aumento record della domanda di sonniferi e tranquillanti, insieme alla richiesta di psicoterapia, ma l’intero sistema di salute mentale è stato trascurato per anni. Netanyahu ha fallito anche in questo, ed è anche per questo che il risentimento nei suoi confronti è cresciuto. Lo stress post-traumatico rafforza l’identità nazionale e il senso di comunità o crea isolamento nell’esperienza individuale della sofferenza? La società israeliana vede sé stessa come una collettività: questa è la sua forza. E la sua resilienza si può vedere nel movimento popolare contro il governo, un’opposizione fatta di scioperi e manifestazioni di cui forse non si parla abbastanza al di fuori di Israele. Che tipo di stress vivono i soldati rientrati dal fronte? Molti di loro sono profondamente traumatizzati per le cose che hanno visto e hanno dovuto fare, come uccidere civili mentre cercavano di colpire i terroristi di Hamas che si nascondono e agiscono intenzionalmente all’interno di scuole e ospedali. Il brutale attacco a Gaza con le sue ingenti vittime civili ha sconvolto l’opinione pubblica internazionale. A suo avviso, ha avuto un impatto simile in Israele? O ha alimentato la convinzione che la forza sia l’unica risposta possibile alla minaccia all’esistenza della nazione? La maggior parte degli israeliani non è contenta di quanto è successo a Gaza. Netanyahu è sostenuto solo da un quarto o forse un terzo della popolazione. La maggior parte degli israeliani apprezza che l’attacco a Gaza sia finito, ma teme ciò che Hamas potrebbe fare agli israeliani se rimanesse al potere. Se Hamas se ne andasse, la maggior parte degli israeliani accetterebbe i palestinesi vicino a loro nel proprio stato. Ma secondo lei la società israeliana prova empatia per ciò che sta accadendo a Gaza? Sì, assolutamente. La maggior parte degli israeliani considera eccessivo e disumano l’attacco di Netanyahu a Gaza. E la comunità internazionale prova empatia per il trauma vissuto dalla società israeliana dopo il 7 ottobre? C’è stata empatia nei primi giorni dopo l’attacco, ma ora, a causa delle politiche di Netanyahu e del numero di vittime a Gaza, la comunità internazionale manca di empatia per gli israeliani. Ed è un peccato, perché l’empatia è la chiave per risolvere questo conflitto storico. Al di là degli accordi politici, non ci sarà riconciliazione senza empatia reciproca. È possibile elaborare il trauma dell’Olocausto? In generale, un trauma è ancora attivo quando la memoria dell’evento doloroso sente di essere reale. Un trauma si risolve quando si considera l’evento come appartenente al passato: è finito, non può più accadere. Dopo il 7 ottobre gli israeliani pensano che possa accadere di nuovo. L’Idf si è ritirata da Gaza, ora tocca agli ostaggi: Hamas cerca i cadaveri Secondo la psicoanalisi, ciò che non viene simbolizzato tende a ritornare come ripetizione. Possiamo parlare di una coazione a ripetere inconscia nelle azioni di Netanyahu contro Gaza? Non so cosa gli passi per la mente. Posso dire però che è molto manipolatore. Netanyahu usa la paura dell’Olocausto per ricevere sostegno alle sue politiche. Per fortuna non ci è riuscito perché la maggior parte degli israeliani vuole che lui vada via. Lei ritiene che il feroce attacco contro Gaza possa essere considerato un genocidio? Il genocidio deve avere alla base un intento, come nel caso degli armeni e dei tutsi. Non credo che Netanyahu volesse uccidere quanti più palestinesi possibile. Vuole che la vita dei cittadini di Gaza sia così insopportabile da spingerli a lasciare la loro patria. Questo è brutale e immorale, ma non è genocidio. Il trauma che stanno vivendo i palestinesi verrà trasmesso alle generazioni future? E con quali conseguenze? La domanda è: i bambini di Gaza che hanno visto i loro familiari uccisi e vivono con questo trauma diventeranno terroristi? Sì, può succedere. Tuttavia, penso che le persone possano cambiare con l’istruzione e la speranza. Sarà necessario ricostruire la Palestina e, se ci sarà la pace, i bambini non diventeranno terroristi. Il trauma vissuto da israeliani e palestinesi potrebbe essere un nuovo inizio per tutti. Può essere l’inizio della riconciliazione. Molto dipende dai leader sia in Israele che in Palestina. È difficile, ma le persone possono cambiare. Questo ci insegna la psicoanalisi. Israele e Hamas, sì alla fine della guerra. L’Idf via da metà di Gaza, ostaggi liberi