Le guerre, oggi più di ieri, si vincono con la logistica. La capacità di mobilitare rapidamente una forza, schierarla e proiettarla nel teatro, garantire i rifornimenti e il coordinamento delle azioni fino alla vittoria.

Ci sono almeno quattro aspetti rilevanti per capire la difficoltà logistica russa in Ucraina: la fragile catena di rifornimenti e rinforzi, l’efficacia delle armi cedute dall’Europa, i limiti nelle telecomunicazioni e la dottrina russa in un’offensiva convenzionale.

La “rasputitsa” e le perdite russe

Se alla vigilia del conflitto molti osservatori erano convinti che la difesa ucraina sarebbe stata spazzata via in poche ore e le città occupate, oggi possiamo dire che lo scenario è ancora aperto e incerto.

La vittoria russa non è più scontata, grazie a fattori determinanti come il morale, la resistenza, le armi occidentali e, appunto, la logistica. Dopo due settimane dall’invasione, la Russia ha proiettato quasi il 100 per cento delle forze mobilitate, secondo alcune stime circa 160-190mila soldati.

Una forza sulla carta equivalente a quella ucraina, che però può contare anche sulla resistenza di milioni di civili armati di fucili e molotov, oltre che di quasi ventimila volontari stranieri arruolati nella Legione internazionale.

L’avanzata delle colonne russe è stata frenata dai bombardamenti con i droni Bayraktar e da imboscate delle forze d’élite ucraine. Quando osserviamo una mappa dell’occupazione, occorre tenere a mente che i russi non hanno il controllo capillare del territorio ma si limitano a percorrere le strade principali, lasciando le aree circostanti in mano ucraina.

Dopo essere stati respinti dalle città settentrionali di Sumy e Kharkiv, gli invasori le hanno semplicemente aggirate, puntando sulla capitale. Questa strategia, tuttavia, crea degli inconvenienti logistici notevoli, con una catena dei rifornimenti che si allunga per centinaia di chilometri dall’avanguardia sino alla retroguardia.

Tali direttrici costituiscono quelli che in gergo militare si chiamano salienti offensivi, che penetrano in profondità in territorio nemico ma sono costantemente a rischio di essere ridotti a sacche e annientati.

Se il nord regge, è vero che al sud i russi hanno sfondato dalla Crimea in direzione di Kherson e Mariupol, ma poi hanno disperso le loro forze su troppe direttrici, rallentando il “battle rhythm” dell’invasione.

La logistica è forse l’aspetto che ha penalizzato di più la macchina militare di Mosca. Alcuni analisti a febbraio citavano la “rasputitsa”, cioè il fenomeno per cui in primavera la neve si scioglie e i mezzi restano impantanati nel fango, come limite temporale per l’attacco.

Dalle fonti aperte sappiamo che ciò si è verificato, con colonne abbandonate o vittime di imboscate ucraine. Ma non è l’unico fattore logistico ad aver rallentato l’avanzata.

Scarsissimo coordinamento tra le unità russe, che adoperano ancora mappe di carta, ha fatto sì che interi reparti restassero bloccati senza carburante, alcuni si sono persi e altri dopo tre giorni hanno finito il cibo distribuito.

Alcuni esperti sostengono che il disastro logistico sia da imputare anche alla corruzione endemica nell’amministrazione russa, che ha penalizzato la macchina dei rifornimenti.

Gli ucraini hanno fatto una scelta coraggiosa con risorse limitate: colpire la catena logistica russa significa talvolta non colpire le avanguardie che sono una minaccia diretta. È una scelta sulla difesa a medio-lungo termine rispetto a quella a breve termine.

Non esistono cifre verificate e indipendenti sui morti dei due fronti. Il governo Zelensky parla di oltre 12mila soldati russi uccisi, cifra probabilmente esagerata, ma sono certamente svariate migliaia, al contrario dei 500 ammessi dal Cremlino. Secondo la stima del Pentagono sono fino a quattromila.

In ogni caso, in sole due settimane si tratta di una cifra enormemente più alta delle perdite subite dalla Russia o dall’Unione sovietica in conflitti precedenti più lunghi, quali la Siria, il Donbass, la Cecenia e l’Afghanistan.

Tra i caduti russi figurano anche due generali, il vicecomandante e il capo di stato maggiore della 41a armata, oltre a numerosi alti ufficiali eliminati dai cecchini ucraini. Perdite che sicuramente influiscono sul morale delle truppe.

Le immagini satellitari analizzate dall’istituto Rusi di Londra testimoniano la distruzione di quasi mille veicoli marchiati con la lettera Z, divenuta simbolo infame dei sostenitori della guerra. La distruzione delle colonne e il pantano sulle strade ha imposto allo stato maggiore russo l’invio al fronte di soldati a bordo di comuni camion o mezzi civili, come testimoniano vari video.

Inutile dire che questi veicoli sono preda facile per la resistenza ucraina, che tende imboscate soprattutto alle cisterne di carburante di rifornimento. In base ad alcune stime, la Russia avrebbe bisogno di almeno mezzo milione di uomini per mantenere l’occupazione dell’Ucraina, senza considerare la feroce resistenza. Putin semplicemente non ha a disposizione questa forza.

L’ammiraglio Antony Radakin, capo di Stato maggiore britannico, sostiene che Mosca non possa più conquistare l’intero paese a causa delle gravi perdite subite. Ragione per cui Mosca sembra più propensa a negoziare.

Le armi occidentali funzionano

Benché sino ad ora abbia usato poco la componente aerospaziale, Mosca ha perso anche decine di aerei ed elicotteri da combattimento, un ritmo che non può sostenere per più di qualche settimana.

La leggenda del “fantasma di Kiev”, un misterioso asso dei cieli che avrebbe abbattuto numerosi piloti russi, è stata fatta circolare probabilmente dal governo ucraino per sollevare il morale, ma alla base ci sono le azioni eroiche di piloti veterani come il maggiore Stepan Chobanu e il colonnello Oleksandr Oksanchenko.

Tuttavia, anche la debole aeronautica ucraina è stata decimata. All’inizio del conflitto poteva contare su meno di cento caccia operativi, ma molti sono stati distrutti a terra dai primi attacchi missilistici e altri sono stati abbattuti.

Di questo passo, l’Ucraina potrebbe presto non avere più a disposizione velivoli da combattimento. Perciò la Polonia ha annunciato di cedere tutti i suoi 23 MiG-29 agli Stati Uniti nella base tedesca di Ramstein, che avrebbero il compito di recapitarli all’Ucraina – altra sfida logistica – senza che vengano immediatamente distrutti.

Il rischio nel passaggio di armamenti non riguarda solo i caccia. Tutto il materiale donato dai paesi europei è transitato per il confine polacco verso Leopoli, ma c’è il rischio che l’aviazione nemica cerchi di strozzare questa direttrice che porta vitali rifornimenti verso est, a Kiev e Kharkiv.

Per farlo, è necessario organizzare convogli che non diano nell’occhio dei satelliti e dei voli di ricognizione russi. Le armi occidentali recapitate comprendono principalmente tre categorie: armi leggere, armi anticarro e armi antiaeree.

Se fucili belgi ed elmetti tedeschi hanno uno scarso impatto sulle sorti della guerra, non è così per le decine di migliaia di armi pesanti cedute da quasi tutti i paesi europei all’esercito ucraino.

Missili come il Javelin, l’Nlaw, l’At4 e il Panzerfaust riescono a distruggere i carri armati russi, mentre i Manpads, acronimo di Man-portable air-defense systems, come gli Stinger, riescono ad abbattere elicotteri e cacciabombardieri.

Queste armi sono molto efficaci e relativamente semplici da usare, stanno dimostrando che la difesa ucraina può reggere se armata adeguatamente. La sfida logistica è garantire l’arrivo di questi dispositivi in tutte le zone del fronte, da Kharkiv a Nikolaev, per fermare l’assalto russo.

Telecomunicazioni e ferrovie sabotate

Un altro aspetto legato alla logistica in cui le forze armate russe dimostrano luci ed ombre sono le telecomunicazioni e la tecnologia.

Già durante la guerra in Siria erano emerse foto di piloti russi che usavano sui loro bombardieri navigatori Gps Garmin in libero commercio, lontani anni luce dai sistemi di navigazione disponibili sugli aerei occidentali.

In una telefonata intercettata tra un ufficiale dell’Fsb distaccato presso la 41a armata e il suo superiore in Russia, quest’ultimo chiede invano se possano parlare tramite il sistema Era. Si tratta di un sistema di telecomunicazioni criptato introdotto dalla difesa di Mosca nel 2021.

Siccome le truppe russe hanno distrutto tutti i ripetitori 3G nella zona di Kharkiv, nemmeno il sistema Era che si serve di tale rete può essere usato, quindi le telecomunicazioni sicure sono impossibili.

Anche le frequenze radio con cui comunicano le colonne russe sono state intercettate dopo che gli ucraini hanno catturato documenti con i codici, oltre ad avere un supporto Elint (electronic intelligence) dall’occidente.

L’uso di cyber-attacchi fa parte di questa strategia “disruptive” della catena logistica russa e si lega all’ultimo aspetto da menzionare. Infatti, hacker legati all’opposizione a Lukashenko hanno messo offline l’intero sistema delle ferrovie bielorusse.

Per chi conosce la dottrina russa sulla logistica in un’offensiva convenzionale su larga scala, è noto che le truppe e i rifornimenti si muovono su direttrici ferroviarie.

Infatti, la Russia è l’unico paese a disporre di ben dieci brigate ferroviarie con il compito di garantire la sicurezza e riparare la rete di trasporto che assicura l’afflusso di munizioni dalle fabbriche direttamente al fronte.

Paralizzare le ferrovie bielorusse, dunque, significa interrompere rifornimenti e rinforzi. Se non bastasse l’attacco hacker, partigiani bielorussi si sono incaricati di incendiare fisicamente l’infrastruttura nella regione di Gomel, impedendo a nuovi treni di entrare in Ucraina, paese che ha lo stesso scartamento della Russia ed è quindi vulnerabile sotto questo profilo.

Sabotare la rete ferroviaria può contribuire significativamente a paralizzare la macchina bellica russa.

I quattro fattori elencanti spiegano le difficoltà logistica riscontrata, ma Mosca potrebbe superare tali ostacoli. La creazione di corridoi umanitari russi, ad esempio, mira a ottenere i giorni necessari per far arrivare i rifornimenti e a svuotare le città dei civili per poi bombardare a tappeto i difensori.

Una soluzione diplomatica e la tenace resistenza degli ucraini lasciano però un finale aperto a questa criminale invasione.

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