«Ecco qui il rapporto Soros: i circoletti liberali stanno cercando di ridurre lo spazio politico di manovra dell’Ungheria nelle trattative europee». Così il portale filogovernativo ungherese Origo accoglie il primo rapporto della Commissione europea sul rispetto dello stato di diritto (“rule of law”) in ciascuno dei ventisette stati membri. Il rapporto scoperchia una questione che il Consiglio europeo di luglio, nel trovare un accordo tra governi sul Recovery fund, lasciava di fatto aperta, rinviandola alla Commissione. Il punto è se, e quanto, il rispetto dello stato di diritto debba costituire una condizione nell’accesso ai fondi europei. Adesso proprio sulla rule of law – su principi democratici come l’indipendenza della magistratura, il pluralismo dei media, l’equilibrio fra poteri – è in atto in Europa un braccio di ferro. Alcuni paesi e istituzioni (come Olanda ed Europarlamento) chiedono vincoli stringenti; altri (l’Ungheria per prima) vogliono procedure lasche. Entrambi i fronti minacciano di bloccare il piano comune per la ripresa, e insomma i soldi del Recovery, per spingere la loro posizione, anche se nessuno ha davvero interesse a fermare i fondi. Dagli esiti del negoziato si capirà se l’Unione avrà salvato i soldi (cioè lo stanziamento rapido dei fondi europei), l’anima (ovvero il rispetto dei valori comuni), o entrambi.

Lo stato della democrazia

La Commissione europea ha appena reso pubblico il suo primo rapporto sullo stato di diritto in ogni paese. L’obiettivo, ha detto Vera Jourova, la commissaria con delega alla rule of law, «è poterci dire a tutti gli effetti una Unione di democrazie». Bruxelles ha passato in rassegna gli stati membri, verificando quattro parametri: stato di salute del sistema giudiziario, lotta alla corruzione, pluralismo e libertà dei media, equilibrio fra poteri. L’Italia viene lodata per le iniziative anti corruzione, mentre finiscono nel mirino l’eccessiva durata dei procedimenti penali, la pressione politica sui media e i conflitti di interesse nel settore. Bruxelles annota pure «le campagne denigratorie contro le ong che si occupano di immigrazione». La Bulgaria preoccupa sul fronte giudiziario e per le minacce ai giornalisti, Malta per la corruzione... Poi ci sono Polonia e Ungheria, i paesi che da ormai tre anni attirano le attenzioni dell’Europa per le loro violazioni dei principi della democrazia liberale, ma che finora sono riusciti a bloccare ogni iniziativa per sanzionarli.

Per portare avanti l’iter attuale (il cosiddetto articolo 7, che sanziona la violazione dei valori comuni con strumenti come la sospensione dei diritti politici per il paese disobbediente) è necessaria l’unanimità fra gli stati, e i paesi sotto accusa si spalleggiano a vicenda. Ora il dossier Jourova mette nero su bianco tutte le vulnerabilità. Per l’Ungheria: sistema giudiziario non indipendente, poca libertà dei media, pressioni indebite sulla società civile, corruzione. Problemi simili in Polonia, con la mancanza di equilibrio fra poteri.

Prima ancora che uscisse il report, Varsavia e Budapest hanno annunciato la creazione di un proprio “istituto sullo stato di diritto” e mettendo in dubbio la imparzialità di Bruxelles; il premier ungherese Viktor Orbán ha attaccato Jourova chiedendone le dimissioni alla presidente della commissione Ursula von der Leyen.

Il vincolo sui fondi europei

Al momento il dossier della Commissione serve a fare il punto e a esercitare una moral suasion, ma ciò che potrebbe davvero costringere i paesi più problematici a cambiare direzione è un nuovo meccanismo a tutela dello stato di diritto.

Qui la questione si intreccia con il bilancio comune e con il Recovery fund. La Commissione europea già dal 2018 chiede di vincolare i fondi comuni al rispetto dello stato di diritto, almeno per ciò che riguarda corruzione, indipendenza della magistratura, e gli aspetti che a suo dire rendono finanziariamente non affidabile (oltre che poco democratico) un paese. Il Parlamento europeo, che deve licenziare il bilancio, chiede pure il rispetto dello stato di diritto. Visto che il bilancio comune e il piano di ristoro devono ottenere l’accordo delle varie istituzioni, e poi passare al voto dei parlamenti nazionali, la presidenza tedesca ha proposto un compromesso: dalla Commissione prende il nesso tra stato di diritto e fondi, ma lo annacqua. Dice che il rispetto dello stato di diritto è una condizionalità per avere i fondi, ma relega la questione alle «violazioni già conclamate» della rule of law. Soprattutto mantiene la possibilità per i governi di far scattare il “freno di emergenza” in consiglio, e rimette la faccenda in mano agli equilibri fra governi.

L’Italia sostiene questa soluzione di compromesso, che gli ambasciatori dei 27 hanno approvato ma senza unanimità. Si oppongono i paesi frugali, Olanda in testa: vogliono vincoli più stringenti. Votano contro, per il motivo opposto, Polonia e Ungheria. La prossima settimana gli europarlamentari socialdemocratici incontreranno il ministro degli affari europei tedesco: vogliono strappare alla presidenza tedesca una versione più ambiziosa. Intanto Olanda e Ungheria minacciano di bloccare il Recovery. E i parlamenti nazionali dovranno esprimersi.

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