Leopoldo López è sempre stato l’oppositore dei sogni di Nicolás Maduro, e prima ancora di Hugo Chávez. Ricco, bianco e bello, nemmeno una traccia di dna fuori posto in una nazione al novanta per cento criolla, facce e sangue misti; con moglie sportiva, bella e bionda, tre bambini perfetti, casa nel quartiere più chic di Caracas. E poi irriducibile nell’opposizione al chavismo, al punto che il suo partito Voluntad popular è inutilmente membro della Internazionale socialista: per tutti invece è l’estrema destra venezuelana.

Oppositore ideale dunque, per una dittatura ottusa. Primo perché López ha il volto di quella oligarchia razzista e reazionaria contro la quale Chávez ha costruito il successo (iniziale) della sua revolución bolivariana, e poco importa che lui non sia né l’una né l’altra cosa. Poi perché non ne ha azzeccata una in vent’anni di vita politica. Ha sempre sbagliato tempi e modi, pur strabordando di sue buone ragioni; e il chavismo è ancora lì al potere, seduto su un paese devastato, nell’economia e nella sua psiche.

La sua fuga da Caracas – Leopoldo López era rifugiato da un anno e mezzo nell’ambasciata spagnola – è oggi la fotografia perfetta di un regime a pezzi senza un’opposizione in grado di spaventarlo. L’annuncio è arrivato sabato dal suo pupillo Juan Guaidó, il presidente oppositore ombra: «Maduro, tu ormai non controlli niente in questo paese. Beffando il tuo apparato repressivo siamo riusciti a portare all’estero il nostro Leopoldo López».

Nel suo profilo Twitter, Guaidó ha poi lanciato l’ennesima e inutile mobilitazione contro il governo. Quasi nessuno ormai scende in piazza in Venezuela. Le file per procurarsi cibo, dollari e benzina (in arrivo dall’Iran, perché le raffinerie nazionali sono ormai ferme) sono sufficienti per esaurire le residue forze della gente. La sfida di Guaidó a Maduro, iniziata nel gennaio 2019 con l’appoggio di tutto l’occidente, è altrettanto stanca e senza una via d’uscita.

È possibile che anche l’ultima trovata di López finisca per aggiungere un mattoncino alla narrativa del chavismo terminale: avete visto, compañeros, di che pasta è fatto il loro eroe? Alla fine se l’è filata, dopo aver giurato mille volte che sarebbe rimasto in Venezuela. E poi, che speranze ha l’opposizione in questo paese se ormai i leader sono scappati quasi tutti, tra Miami e Madrid, e la classe media residua è rimasta a morire di fame?

Verso la Spagna

Nelle prossime ore López dovrebbe riapparire proprio a Madrid, dove già vivono la moglie Lilian Tintori, i figli e il padre, Leopoldo senior, deputato al parlamento europeo per i popolari spagnoli, che sono un po’ la testa di ponte dell’esilio venezuelano. Tutto lascia indicare che sia fuggito dall’ambasciata a Caracas nascosto in un furgone, e condotto alla frontiera con la Colombia, facile da attraversare di nascosto. Non è il primo, López, a beffare il regime chavista, un colabrodo di corruzione senza la minima efficienza di un regime totalitario. Altri oppositori noti sono spariti dai domiciliari o dalla clandestinità e riapparsi in Colombia, o sull’isola di Aruba, usando motoscafi nella notte.

López è stato il primo politico di peso a essere perseguitato da Chávez, proprio perché il suo fenotipo faceva gioco al “comandante”. A quel tempo, però, si usavano mezzi come la sospensione dei diritti politici. In galera ce lo mandò invece Maduro nel 2014, con accuse per aver provocato scontri di piazza con morti e feriti a Caracas. Uno dei tanti equivoci politici di López: era convinto che il regime stesse barcollando e che bastava mandare la gente a marciare contro il palazzo presidenziale per farlo cadere. Invece la repressione fu rapida e López finì in un carcere militare per tre anni.

Fu la moglie Lilian a prendere il suo posto con una intensa azione mediatica, anche internazionale, che l’ha trasformata in pasionaria. I giornalisti stranieri erano di casa nella bella villa di Palos Grandes, immersa nella foresta tropicale sulle alture della capitale, giocavano con i bambini e i cani. I cerberi dei servizi di repressione del regime guardavano senza intervenire, poi spedivano la polizia negli alberghi degli inviati con il foglio di via.

Il legame con Guaidó

Infine López passò ai domiciliari e da casa inventò la pedina Juan Guaidó, il presidente di turno del parlamento controllato dall’opposizione che si autoproclamò leader del Venezuela dopo i brogli elettorali che avevano rieletto Maduro.

Con un paese immerso nell’iperinflazione e i salari polverizzati a poche decine di dollari, le sanzioni americane e milioni di rifugiati all’estero, anche stavolta sembrava bastasse una spintarella per far finire l’incubo bolivariano. López e Guaidó tentarono di provocare una rivolta nelle forze armate, poi addirittura un intervento straniero. Seguirono un golpe fallito a fine aprile 2019 (López fuggì dai domiciliari, ma in qualche ora dovette riparare nella residenza diplomatica spagnola) e per finire un goffo tentativo di sbarco di mercenari americani, a metà tra la Baia dei Porci cubana e lìarmata Brancaleone. Un’altra idea di López, a quanto sembra.

Oggi Maduro si sente così tranquillo da aver convocato un’altra elezione farsa e persino liberato decine di oppositori per tentare di ripulirsi l’immagine. L’economia invece non dà segni di vita, mentre l’industria petrolifera del paese con le più grandi riserve del pianeta arrugginisce alle intemperie del tropico. Quel che López possa ancora inventarsi da Madrid, finalmente libero, resta un mistero.

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