Lo scontro sull’innalzamento del debito pubblico, che si avvia verso un accordo, è anche la prima grande prova politica per Hakeem Jeffries, leader dei democratici alla Camera. Il deputato newyorchese non ha guadagnato molte prime pagine da quando è stato eletto. A differenza di chi l’aveva preceduto, ovvero l’ex speaker Nancy Pelosi, il suo coinvolgimento nei negoziati per l’innalzamento del tetto del debito pubblico è stato all’apparenza marginale.

Ma il suo ruolo è in realtà decisivo. Jeffries non è un moderato nel senso classico del termine: il suo impegno per gli ultimi lo qualifica indubbiamente come un progressista. Ma nel partito democratico di oggi si può dire che occupa una posizione di raccordo tra i centristi, che vengono spesso eletti con una manciata di voti di differenza in aree tradizionalmente ostili per i dem, e i radicali rappresentati appieno dalla sua concittadina Alexandria Ocasio-Cortez che, al contrario, possono contare su seggi blindati. Jeffries non ha registrato particolari problemi nel conciliare visioni così distanti, sin dal primo giorno, quando è stato nominato all’unanimità dall’intero gruppo congressuale.

Adesso però ha un compito di difficile soluzione: “vendere” l’accordo che la sua controparte repubblicana, lo speaker della Camera Kevin McCarthy, ha preparato dopo lunghe trattative con la Casa Bianca. Bozza legislativa che con tutta probabilità conterrà dei tagli anche indiretti al welfare, riguardante il congelamento degli attuali livelli di spesa che, in virtù di un’inflazione che rimane attorno al 5 per cento, sono dei tagli di fatto. E come convincere i membri della Squad ad approvare nuove condizionalità nel ricevere sussidi per quelle persone che vivono al di sotto della soglia di povertà stabilità su base federale?

Essendo un accordo bipartisan, però, Jeffries può anche gestire qualche defezione, che non dovrebbe portare a un respingimento del piano di innalzamento del tetto del pubblico e di conseguenza al default. C’è comunque il rischio che Biden abbia accettato condizioni troppo indigeste per la maggior parte del gruppo dem e secondo le indiscrezioni raccolte sui media americani, questo lascia un senso di angoscia tra i membri del partito del presidente.

Il futuro

Per dimostrare comunque la sua buona fede all’ala sinistra, Jeffries non ha mai fatto mancare attacchi pressoché quotidiani all’ala destra del gruppo repubblicano, i cui esponenti sono stati definiti «senza scrupoli», «crudeli» e «spietati» e sono stati paragonati a «rapitori che tengono in ostaggio le nostre pensioni». Anche perché, in caso di default, saranno proprio i cittadini più anziani a vedere interrotti i bonifici sui loro conti correnti. Tanto che il leader dem alla Camera ha preparato un piano per affrontare il peggio: insieme al suo team Jeffries ha preparato una petizione che innalza il livello del debito secondo i desiderata della Casa Bianca. In calce a questa richiesta ci sono già tutte le firme dei 213 dem.

In teoria non dovrebbe essere un’impresa impossibile trovare cinque repubblicani moderati che, in nome dell’amor di Patria, appongano i loro consenso per evitare il peggio. Bisogna considerare però che tale decisione porterebbe alla fine della loro carriera politica, provocando quasi certamente la sfida alle primarie del 2024 da parte di uno sfidante di destra radicale che li accuserà di “arrendevolezza” nei confronti «dell’estremismo di sinistra» dell’amministrazione di Joe Biden. Probabilmente non ci sarà bisogno di tutto questo, dato che un accordo che fornisca a entrambi i partiti alcune ragioni di contentezza appare più che possibile.

Jeffries però non si può permettere uno sfaldamento del gruppo dem che non solo metterebbe in pericolo la sua giovane leadership, ma mette a rischio anche la rielezione di Joe Biden nel 2024, per la quale serve che l’unità d’intenti del 2020 venga riproposta per contenere la sfida repubblicana che probabilmente avrà nuovamente il volto di un Donald Trump che ormai non occulta quasi più le sue pulsioni profondamente autoritarie e vendicative nei confronti di quelli che lo hanno “tradito”.

Insomma, Jeffries deve dimostrare di poter prendere lui le redini del gruppo per i prossim anni, quando potrebbe dover affrontare quello che Pelosi ha già fatto in passato, ovvero contenere le pressioni di un presidente repubblicano difficilmente contenibile come Donald Trump. Anche nel caso in cui il futuro leader della Casa Bianca possa essere Ron DeSantis che nei suoi anni da governatore della Florida ha mostrato di essere ben poco disponibile a scendere a compromessi.

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