Il presidente eletto Joe Biden continua a modellare il futuro prossimo venturo con le nomine per la sua amministrazione. Il racconto resta sempre lo stesso: «gli adulti sono tornati al posto di comando», come ha commentato il Financial Times, mentre le principali testate americane mettono in evidenza l’elemento della pluralità. Non c’è mai stata un’amministrazione tanto femminile e multietnica.

Il neopresidente seleziona in base all’esperienza, al rapporto di fiducia che intercorre fra lui e i nominati (rapporti, inevitabilmente, forgiati durante gli anni dell’amministrazione Obama), alla rappresentatività razziale e di genere e alle emergenze del paese. Va tenuto conto che a dettare l’agenda sono le emergenze: in politica estera, nella politica economica, nella risposta alla pandemia.

Non dobbiamo mai dimenticare quanta distanza possa esistere fra il disegno programmatico di un’amministrazione prima che entri in carica e le necessità imposte dalle emergenze, previste e impreviste. George W. Bush doveva essere il presidente che avviava una politica di ridimensionamento della proiezione militare del paese all’estero, ma finì cominciando due guerre.

Partiamo dalla politica estera e di difesa: la nomina del segretario della Difesa, Lloyd Austin, ha fatto rumore. Certo, si tratterà del primo afroamericano, un fatto rimarchevole. Ma sarà portatore di un conflitto di interessi – Austin siede nel board dell’azienda di Raytheon, un “cliente” del Pentagono per aerospazio e missilistica – ed è un ex-Generale (la prassi è quella di far controllare i militari da un civile).

Come tutto il resto del comparto delle nomine per esteri e difesa, è in totale continuità con l’asse clintoniana e obamiana dell’inizio del decennio: lo sono anche Jake Sullivan (nominato consigliere per la Sicurezza nazionale) e Avril Haines, che coordinerà l’intelligence. Eppure, come Austin, Biden difende le sue scelte con la necessità di un pacchetto chiavi in mano: che, nel caso di Austin, potrebbe essere anche sfruttare le sue competenze nella logistica militare per utilizzare l’esercito nella distribuzione dei vaccini per il Covid, per esempio.

Cosa conterà di più? La continuità con le scelte politiche del passato, il mindset dell’America “poliziotto del mondo” o il mantra dei nuovi membri dell’amministrazione Biden (sappiamo che il mondo è cambiato, rimetteremo le cose a posto ma siamo qui per collaborare con tutti per gestirne la complessità)? Insomma, se da un lato siamo certi che i democratici tenteranno di mettere a posto alcune cose che si sono rotte dall’altro non è chiaro abbastanza quanto l’amministrazione Biden sarà in grado pensare davvero out of the box.

Con l’economia le cose sembrano andare diversamente. La nomina di Janet Yellen come segretaria del Tesoro fa pensare che abbia acquisito spazio l’idea di dover invertire la rotta presto, anche rispetto agli anni obamiani. Su questo terreno, quello economico, si giocano un pezzo importante dei rapporti con la sinistra del partito, ma anche con il proprio elettorato di riferimento.

L’impressione rispetto al passato è che si stiano consolidando due tendenze: semplificando molto, da un lato la necessità di essere meno timidi nell’usare la mano pubblica per risanare in modo strutturale l’economia (compresa la lotta all’eccessiva disuguaglianza che caratterizza il paese); dall’altro, essere meno contigui al sistema finanziario di quanto non sia stato Obama.

Le nomine di Biden – come quelle di Jared Bernstein ed Heather Boushey, nel Consiglio economico – rappresentano due scelte filo-sindacali, di esperti cresciuti nell’assai progressista Economic Policy Institute, che si occupano di povertà, lavoro e potere di acquisto delle famiglie. Cecilia Rouse, che presiederà il Consiglio, è invece una specialista di istruzione. Non rappresentano il tipo di personale politico abituato a muoversi tra finanza e amministrazione: non sono i “Wall Street Democrats” (non si può dire lo stesso, però, di Brian Deese, altra figura di rilievo del team economico di Biden).

Continuità e discontinuità

Sì, l’obiettivo pare quello di occuparsi di lavoro e working class, come promesso in campagna elettorale: funzionerà? Sarà possibile? I progetti di rilancio dell’economia americana produrranno minore diseguaglianza?

Le nomine per le agenzie che regolano le banche, proteggono i consumatori e l’ambiente, fanno rispettare le leggi sul lavoro, quella sull’antitrust e sui reati dei colletti bianchi daranno un senso più chiaro della volontà del presidente eletto. Presenteranno discontinuità e continuità, o anche un carattere di “discontinuità nella continuità”, come nel caso della Yellen.

Bisogna tenere insieme partito e interessi ma, soprattutto, tirare fuori dalle secche dell’emergenza il paese. Possiamo cercare la visione di Biden quanto vogliamo, ma saranno come al solito la risposta alla pressione delle crisi a dirci davvero cosa vuole il presidente: se essere l’ultimo rappresentante del solito sistema democratico, oppure un innovatore suo malgrado, alla Lyndon Johnson. Prima, però, c’è da occuparsi del Covid-19: non è poco.

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