È il 2017 quando Taza deve lasciare l’Afghanistan, il paese dove è nato e cresciuto. Non si tratta però di un cittadino comune, Taza Momand ha fatto una scelta precisa, che per il suo paese significa una possibile condanna a morte.

Di lavoro fa l’interprete, collaboratore delle forze speciali italiane in missione a Herat. La sua storia è stata raccontata nel reportage di Piazzapulita, in onda su La7. Per sette anni ha collaborato e rischiato la vita affiancando i nostri soldati in missione di pace che poi di pace non è mai stata.

«È addestramento, è sostegno alla popolazione, sono missioni casa per casa per scovare i talebani e provare ad eliminarli», dice Momand. La funzione dell’interprete in luoghi di conflitto è fondamentale per consentire le comunicazione delle forze armate con i gruppi militari sul territorio.

Il lavoro di Momand era quello di facilitare i rapporti e le comunicazioni tra i soldati italiani e le forze speciali locali, addestrate per combattere il nemico talebano. Taza Momand non si è mai tirato indietro in nessuna missione.

Il reportage di Sara Giudice per Piazzapulita

«L’ho sempre fatto per il mio paese. Non potevo vederlo sfiorire ogni giorno, nelle mani degli estremisti», dice.
La paura per la sua famiglia non gli ha mai fatto fare alcun passo indietro, ma tutto cambia nel 2017.

In quell’anno i talebani iniziano a cercare i collaboratori infedeli e dopo averli individuati li uccidono. Un suo caro amico viene massacrato mentre sta rientrando a casa, davanti ai suoi figli. La situazione precipita fino al recente drammatico epilogo con le truppe occidentali che si ritirano e la presa di potere, anche a Kabul, dei talebani.

Quando Taza Momand capisce che la sua vita è in pericolo, decide di scappare. L’amico trucidato davanti alla famiglia lo obbliga alla fuga: destinazione Europa. Siamo nel 2017 e in Afghanistan le forze alleate, così le truppe italiane, erano ancora sul territorio. 
Taza Momand però non prenderà mai un aereo militare, non sarà mai portato in salvo dal nostro paese, non riceverà mai alcuna menzione d’onore.

Percorre invece da irregolare la rotta balcanica, ci mette un anno prima di arrivare in Italia. Un traduttore, collaboratore delle nostre forze armate, costretto a scappare senza tutele e protezioni. L’arrivo in Italia non conclude l’odissea di Momand, da quel giorno inizia una lunghissima trafila per chiedere il ricongiungimento con la sua famiglia che non avverrà mai.

A nessuno serve più Taza Momand che comincia una nuova vita in Italia facendo l’autista ad Arezzo. Lavora e guadagna bene ma non vede la sua famiglia da quattro anni. Le sue tre bambine stanno ancora ad Herat e lo scorso agosto, come tanti altri cittadini afgani, finiscono nella lista nera dei talebani.
Taza Momand è disperato, non sa a chi rivolgersi, ancora una volta sembra essere abbandonato da tutti. Sarà l’intervento di Giuseppe Cossu, ex militare della Marina ora in congedo a salvare la vita a sua moglie e alle sue figlie.

Giuseppe infatti, smuovendo tutti i suoi contatti tra i vertici politici e militari riesce a far arrivare la famiglia all’aereoporto di Kabul, unico modo per poter mettersi in salvo ed uscire dal paese. Il ministero degli Esteri, grazie all’impegno della vice ministra Marina Sereni, inserisce nella lista del personale da evacuare anche la famiglia di Taza Momand.

Sono cinque le notti che passeranno schiacciati al gate di Kabul: una bambina di nove anni, una di cinque e l’altra di due insieme alla loro mamma. Le bambine con il volto tumefatto, i piedi sanguinanti, sono il simbolo dell’abbandono di un popolo, la sconfitta di un paese che ha lasciato soli i suoi fratelli.

Arrivate finalmente in Italia, il programma di protezione internazionale ha collocato la famiglia di Taza in Sardegna, al sicuro. Finalmente dopo quattro lunghissimi anni si sono potuti riabbracciare. Anche questo è accaduto in Afghanistan.

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