Gli accordi di Helsinki sono stati chiamati in causa dall’invasione dell’Ucraina a febbraio, che ha messo in discussione tutta l’architettura di sicurezza europea creata nel 1975 nella capitale finlandese. Sovranità nazionale, non ricorso all’uso della forza, inviolabilità delle frontiere e integrità territoriale sono i princìpi minacciati dall’aggressione russa.

Proprio dalla Conferenza di Helsinki ebbe origine l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), che ha assunto questa denominazione vent’anni dopo. Intesa come camera di compensazione e piattaforma di dialogo tra est ed ovest durante la Guerra fredda, è sopravvissuta alla caduta del Muro di Berlino con accresciute competenze.

Ne fanno parte 57 paesi membri, inclusi Stati Uniti e Russia. La sede principale è a Vienna, paese storicamente neutrale, ma vi sono anche sedi distaccate a Varsavia, per i diritti umani e il monitoraggio elettorale, e a Copenaghen, con l’assemblea parlamentare. Dagli anni Novanta l’Osce si è dedicata a numerose iniziative nei paesi dell’ex blocco sovietico e in ex Jugoslavia, con missioni di assistenza allo sviluppo della democrazia, dello stato di diritto e della sicurezza. Si tratta di oltre una ventina di attività sul terreno, fra passate e presenti, inclusa quella in Ucraina.

Le missioni Osce in Ucraina

Al momento dell’invasione erano attive due missioni Osce nel paese: il Project Co-ordinator in Ukraine e la Special Monitoring Mission, con storie e mandati diversi. La figura del Coordinatore dei progetti Osce in Ucraina è stata istituita nel giugno del 1999 come prosecuzione della precedente missione nel paese. Per oltre vent’anni ha contribuito con numerosi progetti a riformare le istituzioni ucraine verso standard europei di stato di diritto, democrazia, politiche di sicurezza e della polizia, ma anche integrazione delle minoranze etniche e dialogo politico.

Dal 2018 l’ufficio con sede a Kiev era guidato dall’ambasciatore danese Henrik Villadsen e impiegava una cinquantina di funzionari, per la maggior parte locali. Il mandato del Coordinatore è scaduto il 30 giugno e la Russia ha posto il veto al suo rinnovo in seno al Consiglio permanente dell’Osce.

Mosca usa la sua presenza nell’Organizzazione regionale, come d’altronde alle Nazioni unite, contro l’Ucraina. Si interrompe così un’esperienza di decenni che ha permesso di influenzare in positivo le istituzioni di Kiev nella lotta alla corruzione, per aumentare la trasparenza e avanzare nelle riforme.

I dipendenti dell’ufficio hanno perso il lavoro, benché ad agosto, nel corso di una visita a Kiev, la segretaria generale, la tedesca Helga Schmid, e il presidente di turno, il ministro degli Esteri polacco Zbigniew Rau, hanno annunciato un nuovo programma di supporto con 25 progetti, con fondi diretti del segretariato.

Una missione pericolosa

L’altra missione Osce in Ucraina ha una storia diversa. La Missione speciale di osservazione (Smm) è stata istituita a marzo 2014 dopo l’annessione russa della Crimea e l’inizio della guerra con i separatisti filorussi nel Donbass. In quella circostanza, la Russia non ha potuto impedire l’invio della missione, perché negava di essere coinvolta militarmente nell’est.

Come parte della strategia asimmetrica russa, infatti, la Crimea è stata occupata dai cosiddetti “omini verdi”, cioè soldati russi senza insegne spacciati per insorti locali. Nel Donbass, invece, Mosca ha inviato analogo personale ma ha armato anche i separatisti, tra cui alcuni disertori dei servizi Sbu, come il capo locale dei commando Alpha divenuto comandante delle milizie filorusse.

La missione di osservazione aveva tra i suoi compiti quello di raccogliere informazioni sul terreno sugli incidenti di sicurezza, monitorare il rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e delle minoranze, ma anche fungere da canale di dialogo tra le due parti nei tentativi di de-escalation.

Negli ultimi anni la missione è arrivata a contare oltre 1500 osservatori, sparsi sulla linea di contatto nel Donbass, da Kharkiv a Mariupol. Dal 2019 è stata diretta dall’ambasciatore turco Yaşar Halat Çevik, a conferma del ruolo di mediazione che Ankara continua a svolgere nella guerra.

La missione ha spesso denunciato al Consiglio permanente di Vienna e alla comunità internazionale le restrizioni nell’attività di monitoraggio, specialmente con sistemi di jamming e interferenze elettroniche russe per inibire i droni di osservazione dell’Osce, avvenute nel 60 per cento dei lanci.

Nel 2017 l’auto su cui viaggiava un gruppo di osservatori Osce è saltata su una mina, è morto il paramedico americano Joseph Stone e sono rimasti feriti due colleghi ceco e tedesca. Ha continuato a essere una missione pericolosa per il personale impiegato, con alcuni osservatori che nel 2021 sono stati minacciati di morte da separatisti filorussi se avessero lanciato un drone. All’inizio dell’invasione, una osservatrice ucraina è morta in un bombardamento russo vicino Kharkiv e in quel frangente la segretaria generale ha disposto l’evacuazione di tutti gli osservatori, anche se molti dei paesi li avevano già ritirati alla vigilia del conflitto.

Il veto russo

Anche per la Missione speciale di osservazione, la Russia ha posto il veto al suo rinnovo ed è scaduta il 31 marzo. Naturalmente non avrebbe più potuto continuare a operare sulla linea del fronte con la ripresa delle ostilità, ma sarebbe comunque stata un’autorità terza e imparziale sul campo, scomoda per gli invasori.

Uno dei principali meriti della missione è stato quello di segnalare tutte le violazioni del cessate il fuoco, sia da parte separatista sia ucraina, oltre a riportare i movimenti di truppe. L’Osce, così come le Nazioni unite, non ha mai trovato alcun riscontro alle accuse della propaganda russa, secondo cui in Donbass gli ucraini avrebbero commesso un genocidio ai danni dei russofoni per otto anni. Anche perché le ostilità vere e proprie si sono consumate solo tra il 2014 e il 2015, mentre dopo si è trattato solo di scambi di artiglieria e sporadiche scaramucce.

I membri dell’Assemblea parlamentare dell’Osce sono stati i primi a condannare l’invasione lo stesso 24 febbraio, ad eccezione dei russi che l’hanno giustificata «per difendere il Donbass». La presidenza di turno dell’Osce per il 2022 è affidata alla Polonia, che infatti ha subito condannato l’aggressione e tentato di tutto per fermare la Russia con vari meccanismi.

Il meccanismo di Vienna

L’Osce ha siglato nel 1990 il cosiddetto “Documento di Vienna”, aggiornato nel 2011, che mira a costruire fiducia e dialogo tra i paesi membri. Tale accordo impegna a comunicare le esercitazioni militari e altre informazioni di difesa, con la possibilità di inviare osservatori alle manovre.

Nel 2021 la Russia ha attivato il meccanismo di Vienna per poter assistere ad esercitazioni in Lettonia, ma quando è stato chiesto altrettanto, Mosca ha rifiutato adducendo a motivazione il Covid, anche se l’esercitazione si è svolta comunque.

A febbraio, i Paesi baltici hanno invocato il meccanismo per poter ispezionare le truppe russe in Bielorussia, formalmente inviate per un’esercitazione congiunta. La Russia ha temporeggiato e i suoi diplomatici non si sono presentati alle riunioni convocate a Vienna dall’Osce, poi ha iniziato l’invasione dell’Ucraina.

Quarantacinque paesi membri dell’Organizzazione hanno invocato anche il cosiddetto “meccanismo di Mosca”, istituito nel 1991, che permette l’invio di una missione di verifica del rispetto dei diritti umani nei territori ucraini occupati dai russi. Naturalmente il Cremlino si è opposto anche a questa iniziativa.

Con la fine della presenza Osce in Ucraina, diventerà ancora più importante la missione dell’Unione europea “Euam” che impiega circa 300 persone dal 2014, per assistere il paese nelle riforme del settore sicurezza. Con l’invasione sono state sospese le attività a Mariupol e Kharkiv, ma sono recentemente riprese a Kiev, Leopoli e Odessa, anche se gli ufficiali della Guardia civil spagnola e della Guardia nazionale repubblicana portoghese operano al momento dalla Polonia. Questa missione ha aiutato la modernizzazione della polizia ucraina e l’istituzione della procura anticorruzione, che ha raggiunto importanti risultati.

La guerra in corso ha messo in evidenza la crisi del multilateralismo, da più parti invocato come strumento utile per la pace, ma che si è dimostrato vittima dei veti imposti dalle dittature come quella russa, all’Osce come alle Nazioni Unite.

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